Mondo

Gheddafi, chi l’ha visto?

Scomparso pubblicamente da giorni, dopo i raid della Nato

di Franco Bomprezzi

Dov’è Gheddafi? In un luogo segreto, dicono adesso le agenzie citando gli insorti libici, ma la giornata di ieri è stata contraddistinta dall’ipotesi che il rais fosse morto durante uno dei tanti raid aerei delle forze della Nato, che hanno sicuramente colpito il suo bunker a Tripoli. Torna dunque sulle prime pagine dei giornali, assieme alle esternazioni del presidente del Consiglio, la vicenda libica. Ecco come.

“Gheddafi svanito da giorni. La Nato non sa se sia vivo” titola in prima il CORRIERE DELLA SERA, a corredo di una fotonotizia, con una poltrona vuota, sulla quale campeggia una foto del dittatore libico. Caustico Giannelli, nella sua vignetta, due soldati commentano: “Non si sa se Gheddafi è vivo o morto”… “Le bombe non dicono mai chi colpiscono. Sono veramente intelligenti”. E in prima parte l’analisi di Guido Olimpio: “La nuova strategia della caccia al rais”. Servizi nelle prime pagine del quotidiano di via Solferino. Interessante, sempre in prima, l’editoriale di Giuseppe De Rita: “Nobiltà e miseria dell’Occidente”. Eccone un passo: “Per cui, alla fine, di fronte alle orgogliose dimostrazioni di potenza occidentale, finiscono per avere paradossalmente più dinamica storica e sociale quelle confuse e un po’ scalcinate «rivoluzioni nordafricane» , che agiscono senza armi, senza tecnologie, senza soldi; ma che hanno una «fame di mondo» che la cultura occidentale non ha più modo neppure di desiderare. Forse perché essa non sente più nel suo profondo quell’esortazione ad «avere mondo» , che ci hanno lanciato di recente alcuni grandi giudaico-cristiani (da Levinas al Giovanni Paolo II del «non abbiate paura» ), nella convinzione che chi ha ambizioni e volontà di leadership (ebreo, cristiano, musulmano che sia) porta sempre dentro di se un’impronta abramitica, la chiamata cioè ad uscire dalla propria terra per fare mondo. Perché, rispetto ai recinti di potenza autoreferenziale, il mondo è altrove, per fortuna ancora altrove”. Giusi Fasano racconta da Bengasi a pagina 2: “Le bombe Nato martellano Tripoli «Gheddafi? Potrebbe essere morto»” e scrive: “Una pioggia di bombe. Tripoli ha vissuto la sua notte più lunga dall’inizio del conflitto: gli aerei della Nato hanno sorvolato il suo cielo per ore ed esplosioni a ripetizione, otto delle quali molto violente, sono state sentite in ogni angolo della città. Testimoni oculari riferiscono che fra gli obiettivi colpiti ci sarebbero il bunker di Muammar Gheddafi, Bab El Aziziya, diverse installazioni militari, un’antenna per le comunicazioni telefoniche, le sedi della radio televisione di Stato Al Jamahiriya e dell’agenzia di stampa ufficiale Jana, un palazzo governativo e un edificio che ospita uffici dell’intelligence libica. In mattinata i funzionari del regime hanno parlato di «almeno quattro bambini rimasti feriti, due dei quali gravi» e hanno spiegato che è stata distrutta la sede dell’Alta commissione per l’infanzia”. A pagina 3 Guido Olimpio: “Ucciso o «immerso» Le ipotesi sul leader e le ansie dei lealisti”. Scrive il giornalista del CORRIERE: “Nel clima d’assedio nessuno ha risposte precise. Se il Raìs ha dribblato ancora una volta le bombe— come nel 1986— si è «immerso» . Ossessionato dalla sicurezza, diffidente, ha capito che neppure gli scudi umani gli garantiscono protezione. Avevano raccontato, in aprile, che cambiasse spesso nascondiglio, scegliendo quartieri densamente abitati. Il modo in cui è stato ucciso il figlio ha cambiato le regole. Il leader può restare al coperto, ma non all’infinito. Perché il regime si identifica con la figura del Colonnello. Un’assenza prolungata rischia di aumentare le difficoltà dei governativi. Sul piano militare i lealisti appaiono in difficoltà e l’alleanza, probabilmente, è riuscita ad aprire una breccia nel cerchio di ferro attorno al Colonnello. Una o più talpe che collaborano. E poi ci sono gli oppositori. Non abbastanza forti per prendersi Tripoli, ma ben inseriti nel tessuto cittadino per segnalare i movimenti del clan”. Inquietante lo scenario conclusivo: “Intanto gli amici di Gheddafi sono inquieti. L’Algeria ha proseguito a mandare aiuti, compresi centinaia di pick-up acquistati in Siria e fatti passare dalla Tunisia. Ma anche l’Iran — secondo fonti mediorientali — è pronto a muoversi nonostante si sia espresso a favore degli insorti. La Guida Khamenei, superando le resistenze del capo della diplomazia, ha approvato un piano segreto per dare una mano a Tripoli. Il vero obiettivo non è appoggiare Gheddafi, quanto piuttosto allungare i tempi del conflitto in modo da trascinare gli alleati in una palude insidiosa. Gli iraniani hanno allo studio un paio di opzioni. La prima è un aggiramento dell’embargo per rifornire di armi, in particolare lanciamissili anti-aerei portatili, il regime. E a questo fine dovrebbe essere usato il Sudan come punto d’appoggio. La seconda ipotesi — più delicata — è fornire alla Libia assistenza militare diretta o attraverso dei «volontari»”.

REPUBBLICA apre con la polemica di Berlusconi sui poteri del Quirinale, il caso Gheddafi occupa invece la fotonotizia di prima pagina sotto il titolo: “Bombe sul bunker di Gheddafi. La Nato: non sappiamo se è vivo”, che raffigura uno degli edifici colpiti lunedì notte dalle bombe della Nato. I servizi interni rimandano alle pagine 12 e 13. Due i titoli principale. “Bomber sul bunker di Gheddafi, la Nato: «Non sappiamo se è vivo»”, introduce il pezzo di Andrea Bonanni da Bruxelles che parla della sparizione da 11 giorni del Rais. “Rotto l’assedio di Misurata, gli insorti in marcia verso ovest: “La nostra bandiera nella capitale” è invece il titolo del pezzo di Pietro del Re che parla anche di «crisi umanitaria drammatica: mancano cibo  e farmaci”. Da leggere al solito il Taccuino strategico dell’ex generale Fabio Mini: “La ripartenza della missione”. Scrive Mini: «L’intensificazione degli attacchi aerei Nato sulla Libia e sui centri abitati può sembrare un cambio di strategia che prelude a chissà quale grande battaglia finale. In realtà sembra una ripartenza dopo la falsa partenza della missione alleata tra limitazioni irrealistiche e ammiccamenti politici al regime di Gheddafi e ai suoi oppositori…Infine Gheddafi sembra sparito. Non significa necessariamente che sia rimasto vittima dei raid: può essere rintanato o già all’estero. La sua assenza rende però inutili le titubanze della Nato, motiva i ribelli e deprime i suoi miliziani. Niente di meglio per ripartire, in guerra. 

Lancio in prima a firma di Fausto Biloslavo e commento della battagliera Fiamma Nirenstein a pagina 11. E’ questo lo spazio che dedica IL GIORNALE alla presunta scomparsa del Rais. «Il colonnello Gheddafi è morto, ferito, oppure in perfetta forma, nonostante le bombe – scrive l’inviato – e salterà fuori con la sua ennesima e prolissa apparizione televisiva? Il dubbio è d’obbligo, dopo i pesanti bombardamenti di Tripoli di lunedì notte, che avrebbero puntato anche ai rifugi segreti del nemico numero uno della Nato». E la Nirenstein commenta: «Quali farfalle andiamo acchiappando quando decidiamo ora di aiutare, ora di sanzionare, ora di lodare, ora di redarguire, ora di promuovere, ora addirittura di fare la guerra? La domanda ha risposte penose e a volte persino manicomiali». Ma arriviamo al punto, dribblando fra mancanza di coraggio da parte dell’Europa e cattivi nemici come l’Iran, pronti a sganciare la bomba atomica fra Berlino e Roma: «L’America ha sempre un po’di buon senso, la sua idea dei rapporti internazionali è che la ferocia e la violenza nel mondo metta a rischio il suo universo, come ha dimostrato il terrorismo. Così 27 senatori americani hanno chiesto a Obama di smettere con i fondi all’Autonomia Palestinese. L’Europa invece subito dopo l’unificazione ha destinato all’Autonomia Palestinese 85 milioni di euro su richiesta del primo ministro Salam Fayyad per necessità immediate. Ma ora da quelle parti c’è Hamas che sa far soldi e usarli per il terrore: ha moltiplicato il portafoglio per tredici avendo oggi 540 milioni di dollari mentre era a 40 cinque anni fa. Ha incrementato i suoi dipendenti fino a 40mila persone di cui 21mila armati». 

Taglio basso in prima pagina de IL MANIFESTO sul raid contro il quartier generale di Gheddafi. Il titolo sottolinea l’understatement con cui la Nato affronta la questione: “Morto? Non ci interessa”, sono le parole di un non citato generale italiano, in quanto «Gheddafi non è l’obiettivo» delle bombe umanitarie. Anche se, sottolinea il quotidiano, “otto incursioni aeree nella notte fra lunedì e martedì sul compound del colonnello” non possono essere casuali.  Vengono evidenziate le uniche due voci “fuori dal coro ma destinate a perdersi nel mare di menzogne e ipocrisie”, quella di Valerie Amos, responsabile affari umanitari Onu, che ha lanciato l’appello per una tregue immediata, e del vescovo di Tripoli, monsignor Martinelli, che da Radio Vaticana ha “rinnovato la sua richiesta per un immediato cessate il fuoco per fermarsi e riflettere sulle possibilità di un dialogo politico-diplomatico, perché l’aspetto politico-diplomatico è stato molto trascurato”. In evidenza, più che le sorti del rais, il dramma dei profughi dispersi (abbandonati?) nel Mediterraneo, caso sollevato dal Guardian giorni fa: “L’Alleanza si difende dalle accuse di mancato soccorso, ma contro di lei ci sono nuove testimonianze di altri profughi”.

“Il raìs è l’obiettivo non dichiarato” è il titolo dell’analisi di Alberto Negri sul SOLE 24 ORE a pagina 8: «La caduta del regime», scrive Negri, «è l’obiettivo, celato dietro la foglia di fico della missione umanitaria e della risoluzione dell’Onu, dei raid della Nato in Libia. Lo affermano in molti, anche un intellettuale moderato di origini libiche come Karim Mezran, direttore del Centro studi americani di Roma, autore di un libro fresco di stampa, “L’Africa mediterranea”, che vede comunque nell’intervento internazionale forse “l’unica possibilità di affermazione nel suo Paese di un nuovo sistema politico”. Quindi anche Gheddafi è un target, nonostante le smentite ripetute, e un po’ stucchevoli, dei comandi dell’Alleanza. Non è questa la prima volta che il Colonnello, nel mirino anche in passato dell’Occidente, viene dato per spacciato: il 2 aprile del 1986 una bomba da una tonnellata sganciata dai caccia di Ronald Reagan centrava – come è accaduto ieri – il bunker di Tripoli, la caserma di Bab el-Aziziyah, uccidendo Hanna, una delle figlie adottive del raìs. Anche allora si disse che il Colonnello era morto. (…) È quello che accadrà dopo il Colonnello l’interrogativo oggi più inquietante. La diplomazia internazionale, mossa da folto un corteo di attori, da Washington a Roma, da Parigi, Londra ad Ankara, si sta muovendo per trovare una soluzione. Questa vicenda, iniziata con i bombardamenti francesi, una decisione presa da Sarkozy con sospetta rapidità, continuata con l’atteggiamento ambiguo degli americani e proseguita con il coinvolgimento dell’Italia, deve trovare una via di uscita che non si esaurisce con la fine di Gheddafi».

AVVENIRE si chiede “Dov’è finito Gheddafi?” nel titolo di apertura a tutta pagina e il Primo Piano di pagina 5 è tutto dedicato al Colonnello “sparito” da dieci giorni. AVVENIRE sottolinea le parole del generale Gabellini, a capo della pianificazione delle operazioni: «In fondo neppure ci interessa quello che fa, il nostro compito è proteggere i civili, non prendere di mira singoli individui. I nostri obiettivi sono esclusivamente militari» e commenta: «Al di là delle smentite ufficiali, sembra chiaro in realtà che la Nato stia cercando la svolta, dopo quello che appare sempre di più come uno stallo. A premere sono soprattutto britannici e francesi che anzi vorrebbero attacchi ancora più mirati contro Gheddafi. Al quartier generale si ripete che si vuole arrivare alla fine “meglio prima che dopo” anche se – ha avvertito giorni fa l’ammiraglio Di Paola – “la fine della missione sarà decisa da Gheddafi” e cioè dal suo stop all’offensiva militare contro i ribelli, meglio ancora con la sua uscita di scena. Certo è che pochi giorni dopo l’offensiva, avviata il 31 marzo, l’Alleanza parlava trionfalmente di una riduzione del 30% del potenziale militare di Gheddafi, mentre gli alti comandi, a cominciare dall’ammiraglio Di Paola, parlano piuttosto del cambiamento di tattica del Colonnello, che camuffa i suoi militari in abiti civili per confonderli con i ribelli, o li fa sparare da dentro i centri abitati». La Nato intanto aumenta il pressing: solo lunedì ha effettuato 46 attacchi (complessivamente le sortite tra il 31 marzo e il 9 maggio sono state 5.968 con 2.372 attacchi), mentre i ribelli sembrano guadagnare terreno nell’Ovest del Paese: «venti di rivolta tornano a soffiare anche a Tripoli e a Misurata una forte controffensiva dell’opposizione fa indietreggiare le forze governative».

“La Nato bombarda il bunker di Gheddafi”. Titolo in sesta pagina su LA STAMPA sul giallo sulla sorte del rais con un articolo da Bruxelles che spiega come funzionano gli attacchi Nato: sono state compiute oltre seimila missioni dal 31 marzo, alcune delle quali hanno centrato il bunker di Gheddafi, la tv di Stato e l’agenzia Jana. Un fondo di Guido Ruotolo parla di una possibile accelerazione interna alla Libia, dove anche la Tripolitania si è schierata contro Gheddafi e i ribelli potrebbero nelle prossime ore posizionarsi per marciare sulla capitale.

E inoltre sui giornali di oggi:

ACQUA
REPUBBLICA – “Acqua, niente miracoli: “le caraffe col filtro sono inutili o dannose – Inchiesta a Torino: troppo sodio e potassio”, titola il quotidiano romano a pag 11. Le analisi sono state condotte però da Ivo Pavan, dell’università di Torino, incaricato dalla procura del capoluogo piemontese a seguito di un esposto di Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua che sostiene che dopo il passaggio dei filtri l’acqua diventerebbe non più potabile. 

CANDIDATI
ITALIA OGGI – Pubblica un fondo di Massimo Tosti “Perché ci sono tanti candidati sicuramente perdenti?”. Tosti si aggiunge a quanto scritto ieri da un altro quotidiano. «La politica per molti italiani  somiglia alle pensioni di invalidità alle quali ricorrono, in modo truffaldino,  molti cittadini per sbarcare il lunario. Se non hai un lavoro c’è sempre la politica che può aiutarti. Se finisci in Parlamento, ipotesi più probabile comunque di un 6 al Superenalotto) è sufficiente una legislatura per garantirsi una pensione più o meno della consistenza promessa da Win for life, un altro concorso della Sisal. Non essere eletti, purtroppo è nella norma.  Ma se in campagna elettorale ti sei fatto notare, la speranza di ricavarne un compenso sociale  diventa concreta.  Non è da oggi che litania è il Paese della raccomandazioni e la sollecitazione giusta passa quasi sempre dalla politica. Farsi notare in campagna elettorale è il miglior trampolino di lancio per una successiva collocazione in quota amici. All’insegna della regola «di quello ci possiamo fidare, curerà i nostri interessi». Questo vale per il paese di 30mila abitanti, ma vale anche per Torino che domenica sceglierà  fra 1500 candidati in consiglio comunale.

IMMIGRAZIONE
AVVENIRE – La Pagina 7 è dedicata all’esodo dal Nordafrica. Dopo le morti in mare e le polemiche internazionali la Nato torna a smentire ufficialmente di aver abbandonato alla sorte un gruppo di profughi africani su un barcone e lancia un nuovo allarme: le truppe del regime di Gheddafi stanno costringendo gli immigrati a salire su imbarcazioni inadeguate per affrontare il mare aperto. «A due giorni dal vertice straordinario dei ministri dell’Interno dei 27», scrive da Bruxelles Giovanni Maria Del Re, «avverte che la libera circolazione è come le fondamenta di un edificio, se viene meno tutto crolla». Nell’articolo di taglio basso “Turisti a Lampedusa. Il rischio deserto” l’inviato Claudio Monici racconta che le prenotazioni sono quasi a zero contro una media di 700mila arrivi a stagione e raccoglie l’allarme degli albergatori: «Ora siamo noi ad aspettarci la solidarietà degli italiani».

LA STAMPA – “Gettati in mare per placare le onde”. Scioccante il reportage di Francesco Grignetti che ha raccolto testimonianze secondo le quali alcuni migranti africani sarebbero gettati in mare dagli scafisti in una sorta di “rito propiziatorio” per calmare le onde, oppure per timore di ribellioni o di malattie. Vittime senza nome che si aggiungono alle altre vittime, della crudeltà o dell’indifferenza.

FONDAZIONI
IL SOLE 24 ORE – “La scalata della Lega alle fondazioni” titola il SOLE a pagina 14: «Che la Lega abbia «quasi in mano il Paese» – come dice Umberto Bossi – è di certo un’iperbole ma che la scalata sia man mano più aggressiva è la realtà. Soprattutto al Nord perché non c’è niente che per i leghisti valga di più: non un sottosegretario o un viceministro a Roma ma piuttosto poltrone nei Cda delle fondazioni bancarie o delle multiutilities padane. Sono quelle il target e queste elezioni amministrative serviranno per “riallineare” – come dice un leghista raffinato – alcune posizioni tra Pdl e Carroccio. Già perché i voti si contano nelle urne ma poi “pesano” nei luoghi di potere come sono appunto le Fondazioni e tra queste la Cariplo. La prossima tornata amministrativa, infatti, mette in palio oltre che sindaci o presidenti della provincia anche la loro capacità – se eletti – di esprimere dei nomi per la Fondazione guidata da Giuseppe Guzzetti. E tra tutte le città e province che sono in gara, le sfide più interessanti dal punto di vista degli equilibri sono senz’altro Mantova e Milano. È da lì che potrebbe arrivare una nuova iniezione di padani nella struttura di governance visto che adesso Mantova è amministrata dal centro-sinistra e che la sfida per conquistare la “roccaforte rossa” l’ha lanciata la Lega. (…) Attualmente c’è già una pattuglia di consiglieri e commissari di area leghista in Fondazione. Ci sono quelli espressi dalla provincia di Varese – Giorgio Gaspari – e di Sondrio – Marco Antonio Dell’Acqua – così come c’è il consigliere del Cda Luca Galli (“leghista guzzettiano”) e l’economista Rocco Corigliano, in più nel collegio sindacale c’è Andrea Bignami. A questi nomi se ne aggiungerebbe uno espresso dalla provincia di Mantova – se la Lega vincerà – e un altro tra i tre che deve esprimere Milano. Se il vicesindaco sarà leghista è chiaro che uno dei tre nomi sarà di area padana. Insomma, un probabile “più due” per il Carroccio in Fondazione. (…) Inutile spiegare l’influenza che questo “più due” potrà avere sull’assetto bancario e innanzitutto su Intesa San Paolo di cui la Fondazione Cariplo detiene il 4,68% (con l’eventualità di arrotondarla). Senza contare il ruolo strategico che le Fondazioni hanno nella Cassa depositi e prestiti, luogo di strategie tremontiane. Del resto, che l’ingresso della Lega in banca abbia cambiato qualcosa è dimostrato dalla vicenda che ha visto l’uscita di Alessandro Profumo da Unicredit: si ricorda il ruolo determinante giocato dai vertici del Carroccio e dal sindaco di Verona Flavio Tosi (attraverso Cariverona) per capire quanto conti misurare – e aggiornare – i rapporti di forza.  Ma le amministrative per la Lega non vogliono dire solo banche o Fondazioni. L’altro boccone succulento sono le multiutilities. È noto che il bersaglio grosso è la A2A – frutto del matrimonio tra l’Aem di Milano e l’Asm di Brescia – oggi guidata da Graziano Tarantini, uomo di Comunione e liberazione, ma anche vicepresidente di Bpm. Da tempo circolavano rumors che lo volevano al vertice di Bpm proprio per liberare il suo posto alla presidenza del consiglio di sorveglianza dell’A2A che tanto “interessa” al Carroccio».

IL GIORNALE – Marcello Zacché firma il pezzo di apertura della sezione Economia. Titolo: “Cariplo, Guzzetti prepara il terzo mandato”. «Giuseppe Guzzetti si prepara a candidarsi per il terzo mandato di presidente della Fondazione Cariplo, gigante nonprofit con 6,3 miliardi di patrimonio, il 4,7% di Intesa e 190 milioni di erogazioni l’anno. La scadenza non è dietro l’angolo: l’incarico (esennale) al vertice della Commissione di Beneficenza e del cda termina l’anno prossimo. Ma il tema è di attualità perché, con il voto di domenica e lunedì, l’intero quadro politico dei grandi elettori della Fondazione sarà completo: le consultazioni nel Comune di Milano e nelle Province di Pavia e Mantova sono i tre anelli ancora mancanti rispetto ai presidenti della Regione e delle altre Province lombarde e piemontesi «azioniste» della Cariplo, le cui elezioni si sono tenute per lo più nel 2009 (…) Basta guardare il colore delle giunte provinciali lombarde (più Novara e Verbania) per capire che la prossima Commissione sarà ben diversa da quella insediatasi nel 2007: allora solo tre delle 13 province rappresentate in Cariplo erano verdi; sette del Pd e tre di Forza Italia. Dopo queste elezioni (e quelle del 2009) la Lega può arrivare fino a otto, con il Pdl a cinque e il Pd fuori dai giochi (Mantova è l’ultimo baluardo). Sulla carta un quadro non certo ideale per il profilo culturale legato alla sinistra democristiana tanto cara a Guzzetti e Bazoli. Ma qui entrano in gioco altri fattori. (…) Resta solo da capire come egli vorrà gestire la sua età: al momento del rinnovo Guzzetti avrà 79 anni e con un mandato pieno arriverebbe a 85. Probabile allora che sia lui stesso a proporre una strada intermedia, un mezzo mandato, anche al fine di preparare la successione. E lasciare la Fondazione in mani sicure e stabili. Ma per questo è ancora presto». 

DESTRA
IL MANIFESTO – A pag. 9 un’intervista al politologo francese Jean-Yves Camus sulla crescita della destra in Europa, a partire ovviamente dal caso francese di Marine Le Pen e sul sentimento generale che cresce in tutti i paesi Ue nei confronti dello straniero, che diventa “il nuovo paradigma della paura”.

GRECIA
AVVENIRE – “Grecia, la corsa dell’Europa contro il crac” è il titolo di pagina 9 sulla crisi di Atene. Gli ispettori Ue, Bce e Fmi studiano una nuova tranche di aiuti che potrebbe essere di 60 miliardi, sei volte più dei 10 miliardi già accordati. I banchieri centrali sono contrari alla ristrutturazione del debito, ma per il cancelliere tedesco Angela Merkel è necessario aspettare la conclusione della missione della “troika” prima di prendere qualsiasi decisione.

PREMIO AL TITOLISTA 
IL GIORNALE – Il podio oggi se lo aggiudica il caporedattore o chi per lui ha titolato il pezzo a pagina 20. Un raro esempio di retrodatazione culturale che tradisce una certa banale misoginia vestita di nuovo, eccolo: “Moglie scansafornelli. E il marito-lavoratore pranza col panino”, catenaccio “In 9 milioni consumano il pasto fuori casa mangiando male e sborsano un capitale”. 


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