Famiglia

Gerusalemme. La terra vietata ai bambini

In Palestina lo stillicidio continua. E colpisce soprattutto i più piccoli. Che non vanno a scuola perché i check-point sono insuperabili. (di Francesca Chiara)

di Redazione

Gerusalemme, aprile Ieri sera guardavo la televisione con Saleh, il figlio dodicenne dei miei amici B. e M. di Ramallah. Al-Jazeera mostrava le immagini dei check-point in Iraq, con i soldati americani che fermavano e perquisivano uomini, donne con bimbi piccoli, persone anziane. “è terribile”, mi ha detto Saleh, “guarda, fanno come gli israeliani”. Gli ho chiesto perché era così scioccato, in fin dei conti per lui dovrebbe essere normale: “è questo il punto, mi ha risposto, noi ci siamo abituati, ed è una cosa che non auguro a nessuno”. Urla nel sonno Saleh, così? come tutti i bambini palestinesi che conosco, ogni notte dorme con la luce accesa e spesso parla, urla nel sonno. Sua sorella Ranim, di sei anni, dorme nel letto dei genitori. Il padre, che è preside in una scuola, mi racconta che, dall?inizio della seconda intifada, il rendimento scolastico dei bambini ha avuto una caduta spaventosa. Lo scorso anno le scuole in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza sono state chiuse mediamente per un terzo del tempo totale delle lezioni, a causa del coprifuoco e delle chiusure di intere aree. Quando poi i bambini riescono ad arrivare a scuola, sono spesso assonnati, deconcentrati e demotivati. Ma osservando il contesto in cui vivono i ragazzini palestinesi, la mancanza di istruzione sembra un problema minoritario. Il 5 aprile scorso, Omar Matta, 15 anni, del campo profughi di Qalandia, è morto a causa dei proiettili sparati da un soldato israeliano, che lo hanno colpito alla testa e alla gola. Insieme ad altri ragazzini stava tirando pietre contro i militari israeliani, armati di mitragliatori M16 e dotati di giubbotto antiproiettile, al check-point di Qalandia. Quello di Omar non è un caso isolato, questi episodi fanno parte ormai di una tragica normalità. Su 2.359 morti palestinesi dall?inizio della seconda intifada, 302 avevano meno di 15 anni e più della metà sono stati colpiti alle parti alte del corpo. Eyad el Sarraj è un famoso psichiatra ed è direttore del Gaza community mental health program, una ong palestinese fondata nel 1990, due anni e mezzo dopo lo scoppio della prima intifada. Mi spiega che il 98% dei bambini nella Striscia di Gaza è affetto da una patologia chiamata Sindrome da stress postraumatico. I traumi più frequenti derivano dall?aver subito la demolizione della casa da parte dell?esercito israeliano, dall?aver avuto un parente ucciso, dall?aver assistito a un omicidio, dall?esser stati feriti o picchiati dai soldati o dai coloni. Il Centro cerca di informare la gente sulle reazioni che generalmente si sviluppano in seguito al trauma, e di far capire che spesso si tratta di reazioni automatiche con sintomi curabili. I disturbi di cui soffrono maggiormente i bambini sono incontinenza notturna, incubi, difficoltà ad esprimersi verbalmente, scarso rendimento scolastico, paura del buio o di star soli, mal di testa psicosomatico, esasperata aggressività. Circolo vizioso I bambini vedono i genitori umiliati, picchiati, a volte uccisi, soprattutto il padre. Questo annienta il loro senso di sicurezza, i loro riferimenti vengono demoliti. Per un processo sub-cosciente di autodifesa, è facile che una persona traumatizzata si identifichi con l?aggressore. In questo caso il bambino si identifica con il soldato israeliano, e non è più capace di agire senza far ricorso alla violenza. La violenza subita è il punto di partenza di un circolo vizioso: dai soldati israeliani si diffonde dinamicamente nella società palestinese. Spesso, quando giro per i campi profughi, i bambini mi fanno paura. Sono aggressivi, violenti, mi si accalcano intorno, mi tirano le pietre. A volte mi chiamano “yahood yahood” (ebreo) e mi salutano con la parola ebraica, “shalom”. Riescono a distinguere da lontano il rumore degli F16 e degli elicotteri Apache e conoscono tutti i tipi di munizioni usate dall?esercito israeliano. Una volta a Rafah un ragazzino di 11 anni mi ha chiesto cosa ne pensassi della resistenza palestinese, degli shoada (martiri) che si fanno scoppiare. Ho cercato di imbastire un discorso con il poco arabo che conosco, dicendogli che non ero d?accordo, che la miglior resistenza è andare a scuola, studiare, preparasi culturalmente. Si è messo a ridere e mi ha dato della stupida. Una ?stupida? che non sa cosa vuol dire andare a scuola con tre check-point da attraversare senza nessuna garanzia di riuscirci. Giovedì scorso a Betlemme, era previsto uno spettacolo per bambini sulla piazza della Mangiatoia, in solidarietà con i coetanei iracheni sotto le bombe americane. I 3mila bambini presenti (dai 4 ai 12 anni), provenienti dalle scuole della città e dai tre campi rifugiati, avrebbero dovuto cantare, recitare, lanciare palloncini colorati nel cielo con messaggi di solidarietà. Assedio continuo Quattro jeep di soldati israeliani hanno rovinato la festa, sparando in aria e lanciando lacrimogeni e bombe sonore. Tre bimbi sono stati feriti, una si è spaccata la testa cercando di fuggire, nel delirio collettivo. Ero con il mio amico Abdel, direttore del centro al-Rowwad (che fa attività teatrale, danza, musica, doposcuola) del campo rifugiati di Aida. Era scioccato. “Sono solo bambini”, mi ha detto, “ma loro (gli israeliani) cosa vogliono? Che cresciamo una generazione di malati di mente? Che futuro ci stanno preparando?”. Francesca Chiara www.palestina Palestine monitor www.palestinemonitor.org Dossier Amnesty International sui bambini palestinesi ?Uccidere il futuro: bambini nel mirino? Amnesty International Defence Children International – Ramallah – Palestine Defence for Children International


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA