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Georgia, venti di guerra nel Caucaso

Dopo gli attentati dei giorni scorsi, sempre più tesa la situazione nelle regioni secessioniste di Ossezia del Sud e Abkhazia. La conferma arriva dalle parole della programme officer dell'agenzia Onu per i rifugiati, presente nel paese caucasico

di Daniele Biella

In Georgia soffiano venti di guerra. Proprio così, e il rischio è quello di un ‘nuovo Kosovo’. Perchè sull’onda della dichiarazione d’indipendenza della regione balcanica, anche le regioni autonome di Ossezia del Sud e Abkhazia, nel Caucaso, non vogliono stare a guardare. Gli attentati degli ultimi giorni parlano chiaro: quattro morti a Gali, enclave georgiana in Abkhazia, per una bomba scoppiata in un bar. Altri due, e decine di feriti, in scontri tra fazioni diverse lungo il confine tra Ossezia del Sud e Georgia. “Si avverte per le strade, nei discorsi della gente che l’escalation del conflitto sta aumentando come mai prima d’ora”, spiega a Vita Maura Morandi, programme officer dell’Unhcr (l’agenzia Onu per i rifugiati) in Georgia e presidente dell’associazione Eos di Trento, che nella capitale Tbilisi gestisce un centro culturale.

Un conflitto che ha origine quasi 20 anni fa: attribuite alla Georgia dal 1991, all’indomani del crollo dell’impero sovietico, le due regioni non hanno mai voluto riconoscere il governo di Tbilisi. Anzi, hanno da subito instaurato un loro autogoverno, assolutamente indipendente, anche economicamente, dalla Georgia. Fino al 1995 c’è stata battaglia tra guerriglieri ed esercito georgiano, poi, anche grazie all’appoggio russo, le forze indipendentiste hanno avuto la meglio: da quel momento per il governo georgiano Ossezia del Sud e la quasi totalità dell’Abkhazia (le uniche zone di accesso per i militari georgiani sono l’enclave di Gali e la zona del Kodori Gorge settentrionale, posti a 25km dalla caiptale secessionista Sukhumi) sono zone off-limits.

“Dopo 13 anni di ‘conflitto’ congelato, ora si torna a fare sul serio”, aggiunge Morandi, che la prossima settimana si reca in Ossezia del Sud e in Abkhazia per monitorare la situazione dei rifugiati interni. “Almeno 80mila quelli dell’Ossezia del Sud, 250 mila quelli che dall’Akbhazia sono scappati in Georgia. Tutti in condizioni spaventose, con pochissimi beni primari”, continua la funzionaria dell’Unhcr.

Cosa ci si aspetta per il futuro prossimo? “Per ora la Georgia non sembra intenzionata a reagire alla provocazioni”, dice Morandi, “dall’altra parte, le due ragioni indipendentiste sono sempre più legate alla Russia, che a fine aprile ha stretto con loro, per la prima volta, accordi di tipo economico”. Quasi un riconoscimento ufficioso del loro status perchè ufficialmente Mosca non si è finora mai espressa. “Nel caso che il conflitto degenerasse e iniziasse la guerra, la Russia di certo non starebbe a guardare e, memore dello smacco subito in Kosovo, non esiterebbe ad appoggiare Ossezia del Sud e Abkhazia”.

La conferma alle parole della programme officer dell’Unhcr è arrivata meno di due ora fa da Mosca, da dove il ministero degli Esteri russo, con un comunicato, ha chiesto a Tbilisi di firmare un documento in cui si impegna a non usare la forza nei conflitti con le province separatiste e a ritirare le sue truppe dall’Abkhazia.

Nel frattempo, anche la comunità internazionale sta dando i primi timidi segni di vita: alla molta preoccupazione espressa due giorni fa dal rappresentante dell’Unione europea Javier Solana, è seguita la convocazione, per mercoledì 16 luglio, di una conferenza stampa a Roma dedicata alla crisi in Georgia, organizzata dalla Croce rossa Italiana alla presenza del presidente della Commissione giustizia del Senato, di Leoluca Orlando, membro della Commissione affari esteri della Camera, e di Lelio Orsini, vicepresidente dell’associazione italo-georgiana Scudo di San Giorgio.


Nota: le opinioni espresse da Maura Morandi nell’articolo sono da attribuirsi unicamente all’autrice e non riflettono necessariamente la posizione dell’UNHCR.


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