Mondo

George e Hugo, nemici a parole ma soci in affari

Bush e Chávez sono ideologicamente agli antipodi.

di Paolo Manzo

La vittoria di Hugo Chávez Frías nel referendum revocatorio che, secondo i desideri dell?eterogenea coalizione della Coordinadora democrática (un coacervo di politici di differenti tendenze, organizzazioni imprenditoriali e sindacali, ex militari, ex guerriglieri, franchi tiratori ed arrivisti) doveva mandare a casa l?ex tenente colonnello dei parà, ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai mercati internazionali del petrolio e – anche se non lo ammetterà mai – a George Walter Bush. Sono impazzito? Niente affatto. Come i talebani definivano ?grande Satana? gli Usa negli anni in cui (con l?amministrazione Clinton) facevano affari in partnership con Washington (leggete La verità negata, libro illuminante edito da Il Saggiatore), il ?grande nemico? di Chávez – da lui stesso definito più volte pendejo (che non è un complimento), una volta conosciuto l?esito del revocatorio, lunedì 16 agosto, deve aver tirato un grosso sospirone di sollievo all?interno della Sala Ovale. Alcuni dati servono a capire l?entità della soddisfazione di Bush jr. Mai Caracas ha avuto relazioni commerciali floride come oggi con gli Usa, il fulcro delle quali è l??oro nero? venezuelano, croce e delizia di quello che in realtà è un Paese saudita che solo la geografia – casualmente – ha trapiantato di fronte al mar dei Caraibi. L?ascesa di Chávez non ha intaccato, nella realtà delle cifre, il ruolo di ?nazione più favorita? del Venezuela nell?interscambio commerciale con Washington che è il principale destinatario del petrolio della PDVSA – Petróleos de Venezuela. Caracas contribuisce, infatti, al 40 per cento del greggio non raffinato che arriva nel golfo del Messico e al 15 per cento del totale delle importazioni petrolifere di Washington. Il trasporto avviene via mare e la vicinanza geografica fa sì che in una sola settimana il petrolio venezuelano possa arrivare negli Usa. Nulla in confronto al mese e mezzo necessario per l?importazione di greggio di Washington dai Paesi del Golfo. E il costo del ?crudo? venezuelano è un vero e proprio affare per gli Stati Uniti, non solo per i minori costi di trasporto, ma anche per la consistenza assai più bituminosa (ed economica) dell??oro nero? venezuelano. Al di là delle schermaglie oratorie e populiste di Chávez e Bush (nemici acclarati in pubblico), i vincoli molto stretti tra Washington e Caracas sono confermati dal fatto che il presidente venezuelano ha di recente avviato, tramite un?impresa di consulting, un programma per migliorare la propria immagine negli Stati Uniti, per convincere le multinazionali petrolifere Usa della propria affidabilità. Ma più delle rassicuranti operazioni di marketing di Chávez, è stata la difficoltà nel far funzionare a pieno regime i pozzi iracheni, la crisi finanziaria della Yukos e la ?concorrenza? della domanda cinese a far cambiare l?atteggiamento Usa nei confronti della república bolivariana de Venezuela. Tra i primi a rendersene conto il Financial Times. «Funzionari e diplomatici statunitensi ci hanno detto espressamente che Washington ha cambiato la sua politica nei confronti di Caracas poche settimane prima del referendum, quando si è resa conto che Chávez avrebbe vinto», spiega Andy Webb-Vidal, inviato dell?autorevole quotidiano. Del resto Macchiavelli docet, il fine giustifica i mezzi e fa sì che le differenze ideologiche passino in second?ordine. Oggi, con 1,54 milioni di barili al giorno, il Venezuela di Chávez è il terzo fornitore di petrolio agli Usa, dopo Canada e Messico (con 1,57 milioni di barili al giorno), con un incremento rispetto allo scorso anno del 56,38 per cento. Seguono Caracas, a debita distanza, Paesi considerati assai più ?petroliferi? nell?immaginario collettivo, come Arabia Saudita (con ?solo? 1,16 milioni di barili al giorno), Nigeria, Iraq, Algeria, Angola, Kuwait e Russia. Inoltre, le proiezioni dei prossimi 10 anni svolte dai principali istituti di ricerca, prevedono che nel 2015 il Venezuela coprirà da solo il 25 per cento delle importazioni statunitensi di ?oro nero?. Se a ciò si aggiunge che la Cina sta tentando disperatamente di sostituirsi agli Usa, nel ruolo di principale importatore di petrolio venezuelano, è chiaro che il ruolo del Venezuela è fondamentale per Washington. Persino Indymedia ammette che la tattica degli Usa non è stata quella di ?spingere? la caduta di Chávez, appoggiando la Coordinadora democrática al referendum, bensì di evitare scontri violenti e instabilità che avrebbero rallentato il flusso in entrata del petrolio venezuelano. E, a dimostrazione di come i legami petroliferi tra Usa e Venezuela siano solidi, c?è la partecipazione al 100% della PDVSA in Citgo Petroleum, terzo maggior gruppo statunitense nella raffinazione del greggio. Citgo ha fatturato 12 miliardi di dollari tra raffinerie e oleodotti, e sta dando lavoro a oltre 150mila cittadini statunitensi. Una partecipazione al 100%, quella di PDVSA in Citgo Petroleum, che ha convertito Caracas in un attore rilevante nell?economia a stelle e strisce, e che costituisce un ulteriore collante tra Bush e Chávez.


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