Welfare

Genova 2001, chi ne ha raccolto l’eredità?

Con Giuseppe “Beppe” Caccia, uno dei leader del movimento delle Tute Bianche protagoniste delle movimentazioni contro il G8 genovese, analizziamo come le lotte di allora siano oggi in cima alle agende globali e chi, a distanza di 20 anni, ha raccolto quell'eredità culturale e di lotta

di Lorenzo Maria Alvaro

Giuseppe “Beppe” Caccia, tra il 2001 e il 2005 assessore alle politiche sociali del comune di Venezia e uno degli esponenti più attivi delle Tute bianche, oggi a 52 anni è armatore di Mediterranea Saving Humans. A Genova in quel 2001 quando andò in scena il tristemente celebre G8 degli scontri, di Carlo Giuliani, della Diaz e di Bolzaneto, per le strade della città ligure c'era anche lui. Che ne è stato di quei gruppi, di quelle istanze e di quel percorso? L'intervista


Tra il 1995 e il 2004 l'ondata di attivismo definito come “il movimento dei movimenti”, che a Genova visse il suo apice, si caratterizzò per aver posto con forza una critica di sistema al modello di globalizzazione neoliberista, da cui l’altra definizione di “No global”, fatta propria dagli attivisti. Al suo interno furono presenti numerosi aspetti, anche non lineari fra loro: dai Social forum agli “assedi” contro le grandi assisi degli organismi internazionali, componenti cattoliche, marxiste, ecologiste e anarchiche. Che ne è oggi di quei gruppi?
Intanto direi una cosa: vent'anni è un tempo, soprattutto nella nostra epoca, lunghissimo in cui è davvero cambiato molto. Siamo in uno scenario diverso rispetto a quello in cui il movimento di allora si sviluppò. Della sua domanda condivido l'dea di collocare gli eventi di Genova di quel luglio 2001 all'interno di un ciclo molto più lungo. Spesso, purtroppo, si ragiona di Genova come un singolo evento, qualcuno ha scritto "un '68 durato tre giorni". Non è così. Alla metà degli anni '90 vengono gettati i primi semi di quella pluralità di culture politiche, voci, esperienze e pratiche che daranno vita al movimento. Prende le mosse da esperienze che, in tutto il mondo, hanno percepito un netto cambio di fase, a monte del quale ci furono grandi trasformazioni storiche. La fine del mondo diviso in blocchi contrapposti, i grandi cambiamenti produttivi con la fine della società fabbrica, quello che è stato chiamato il postfordismo. Si struttura in quegli anni quello che abbiamo definito come il ritorno di una forma "imperiale" di comando sovranazionale, che metteva in discussione anche la forma degli stati nazionali per come li avevamo conosciuti fino ad allora e, di conseguenza, anche tutte le forme di organizzazione sociale e politica che alla dimensione nazionale erano collegate.

Quindi la risposta è no?
Oggi gran parte delle esperienze organizzate che avevano alimentato quel ciclo di movimenti non esistono più, sono state superate. Perciò immaginare una continuità tra Genova 2001 e oggi è pressoché impossibile. Anche soggettivamente. Molte delle ragazze e dei ragazzi attivi in quei movimenti allora, oggi fanno altro. Fanno cose anche molto diverse da quelle pratiche. In questo non ravviso alcuna continuità, tanto meno dal punto di vista organizzativo.

Il cosiddetto movimento “altermondialista”, un soggetto composito e internazionale che muoveva da istanze economico-sociali rivendicando una globalizzazione diversa e alternativa da quella che si stava imponendo dopo la fine della Guerra fredda, sintetizzata nello slogan “Un altro mondo è possibile” però portava in dote istanze che invece sono più attuali oggi che allora…
Questo sì. È chiaro che molte delle ragioni di quel movimento, come la critica di fatto alle tante ingiustizie, che allora si proponevano per la prima volta su scala planetaria, sono certamente oggi ancora attuale. Se vogliamo quelle ragioni sono ancora più forti oggi rispetto ad allora.


Rileggendo la storia ci sono alcuni avvenimenti chiave che confermano i timori di quel movimento. Due su tutti: la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia…
Se ci pensiamo, quel movimento aveva come uno dei motivi fondamentali, forse non abbastanza esplicitato allora, il richiamo di tutti a una responsabilità globale e alle ricadute planetarie che ogni scelta politica, economica e sociale andava a generare. Certo si iniziava a discutere di cambiamento climatico. Ma la dimensione della crisi ecologica come crisi ecosistemica non era ancora apprezzata nella sua reale portata. È chiaro però che, quando allora si diceva che il modello di sviluppo neoliberista, affermatosi su scala globale e presentato come l'unica strada possibile di costruzione di uno spazio globale, un modello produttivo ed economico che investiva l'insieme relazioni sociali, aveva conseguenze pesantissime. Non solo dal punto di vista delle ineguaglianze sociali e di una crescente polarizzazione della ricchezza, tra nord e sud, centro e periferia, i pochi e i molti. Si denunciavano anche le possibili conseguenze dal punto di vista ambientale. Il fatto che quel modello produttivo ed economico andava a mettere in discussione l'equilibrio ecosistemico. Tutte cose che oggi verifichiamo drammaticamente. Già allora questa relazione tra giustizia ambientale e giustizia sociale era nel nostro vocabolario. Ma certo non con la diffusa consapevolezza che c'è adesso.

In questo senso un altro avvenimento storico conseguenza di quel modello sono le migrazioni che oggi sconvolgono il mondo. Anche qui il movimento di movimenti era stato profetico…
Io voglio ricordare una cosa spesso dimenticata. Le giornate di mobilitazione a Genova vengono aperte da una grande manifestazione per la libertà di movimento e per l'apertura delle frontiere. Un corteo di 50mila persone che aveva come principali protagonisti le comunità migranti di Genova e della sua area metropolitana. L'unica manifestazione, per altro, che non venne attaccata dalle forze di polizia. La cosa interessante è che fu un corteo che dava il segno della forza di quel movimento: proiezione globale e forte radicamento locale. Le donne e gli uomini di quella manifestazione erano migranti che vivevano a Genova e che erano stati protagonisti di grandi lotte con l'associazione Genova città aperta per i permessi di soggiorno, la regolarizzazione e il diritto alla casa. Quindi sbaglia chi pensa che quel movimento fosse una sorta di "internazionale dei globetrotter della protesta". Quella manifestazione fu una sorta di anticipazione del futuro. Ricorda a tutti che non è possibile investire le grandi questioni del nostro tempo senza affrontare il tema della mobilità umana, della libera circolazione delle persone e del diritto per tutti di scegliere dove costruire il proprio futuro. Ecco perché, per alcuni di noi, oggi Genova 2001 è diventata l'impegno in mare, nelle missioni di soccorso civile dei profughi.

A tal proposito, se dovessimo identificare oggi chi ha raccolto il testimone del movimento no global, anche inconsapevolmente, a chi guarderemmo?
Prima vorrei sottolineare una differenza. Quel ciclo di movimento, che si conclude nelle grandi mobilitazioni contro la guerra del 2003, aveva un approccio di carattere generale che oggi manca. I movimenti oggi nascono localmente e si proiettano su scala globale. Esiste una serie straordinaria di lotte e di conflitti aperti. Sul tema della giustizia ambientale e dei cambiamenti climatici abbiamo Fridays For Future e Extinction Rebellion. Movimenti che traggono la loro forza da migliaia di attività locali e si proiettano immediatamente su scala globale. Un altro esempio è la battaglia delle donne, il movimento transfemminista di “Non una di meno”. Un'onda che nasce in America Latina sul tema della violenza patriarcale e diventa lotta globale ai rapporti di potere di genere. Pensiamo alla forza di Black Lives Matters, che nasce dalla denuncia delle violenza razziali della polizia negli Stati Uniti e diventa movimento globale per i diritti. E ancora i movimenti delle lavoratrici e lavoratori precari di tutto il mondo, i movimenti per un nuovo welfare, là dove la pandemia ha mostrato la necessità di poter contare su sistemi pubblici di sicurezza e solidarietà sociale rinnovati e universali. Pensiamo cos'è oggi la battaglia contro la proprietà intellettuale privata sui vaccini e l'importanza di garantire equo accesso su scala globale alle cure. Le due encicliche di papa Francesco sono dirimenti in questo senso. Nel 2001 ci trovammo a sfilare insieme a settori significativi del mondo cattolico. Oggi i discorsi che una minoranza di attivisti cattolici facevano allora sono diventati il cuore del messaggio e della pratica della Chiesa di Francesco. Non è un'eredità da poco di quel movimento. Per cui devo dire che davvero le istanze di allora, chiaramente attualizzate, vivono oggi in una pluralità di soggetti, in un ricco e articolato arcipelago di movimenti.

Non abbiamo fatto cenno alle violenze e ai soprusi di quei giorni. Troppo spesso quella storia dimentica i contenuti per guardare esclusivamente alla cronaca drammatica…
La risposta violenta da parte degli apparati statali che c'è stata a Genova è cosa nota. Ed è certamente importante ricordarla. Ma penso anch'io che era sbagliato allora e sarebbe sbagliato oggi appiattire la lettura di quel movimento solo sulla risposta repressiva che gli era stata data. Perché rispetto ad alcune interpretazioni che circolano non è stato quello a chiudere quel ciclo. Nonostante tutto quello che successe – e la sospensione che ci fu in quei giorni dello stato di diritto è un fatto – per diversi anni il movimento ha dimostrato forza e vitalità. Credo invece che la mancata traduzione politica e istituzionale delle domande di quel movimento abbia condizionato non poco le vicende politiche italiane degli anni successivi. Forse c'è stata anche una responsabilità nostra: avremmo dovuto inventarci un modo più intelligente e creativo per investire la dimensione politico-istituzionale. Ma è su questo che mancò il coraggio, nostro e dei nostri potenziali interlocutori.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.