Non profit

Genitori: scrive il papà di Olga, cerco una struttura per educarmi “all’altro”

Il papà di una disabile "di mezzo" scrive a Vita.

di Riccardo Bonacina

Sono il genitore di una Olga, 14 anni, che a causa di una parto andato male ha subito gravi danni celebrali per cui cammina in modo bizzarro: in punta di piedi e con le braccia ben larghe per bilanciarsi meglio; scrive in modo illeggibile in quanto priva di controllo di movimenti fini; parla, usando magnifici congiuntivi, ma in modo poco comprensibile a causa di uno scarso controllo della fonazione; le sue capacità di apprendimento sono limitate senza per questo impedirle una comprensione profonda di argomenti complessi e un certo piacere per la lettura, che pratica con lentezza. Quasi perfettamente autosufficiente Olga è capace di analisi psicologica profonda; di intuizioni verticali; a lei nulla sfugge, a lei non si può mentire anche perché tutto ricorda. Con noi maschera le sue capacità per vivere di rendita: sembra che non sappia contare, o che il concetto di divisione le sfugga, ma quando esce da scuola sa bene quanti cioccolatini può acquistare con gli spiccioli che ha in tasca. Solare, bella e simpatica Olga sa intrattenere la platea anche con una semplice battuta capace di interrompere la conversazione dei “grandi”. Non è nemmeno il caso di dirlo ma come tutti i ragazzi handicappati è esclusa dall’interazione con i suoi coetanei: ha pochissimi amici che si fanno vivi raramente. Le patologie e i disordini organizzativi di Olga – dimentica quasi di tutto ciò che non sia di cioccolato o bello come Richard Gere – le impediscono di svolgere un lavoro ma dall’altra parte non è neppure pensabile di lasciarla vivere nell’ozio. Oggi frequenta la prima superiore però con scarsi risultati e limitati obiettivi. Disabile “di mezzo”, Olga è dotata di autocoscienza che la consegna talvolta all?angoscia del “vago avvenire” mentre la solitudine la spinge verso la depressione; un’ombra che col passare degli anni è destinata ad allungarsi perché si amplia la distanza da cui i normodotati la guardano. Tempo fa l’ho sgridata dopo averla “pizzicata” a rubare cioccolata dalla dispensa; in risposta lei mi ha chiesto – un gesto definitivo ed essenziale – di aiutarla a guarire dal bisogno di cioccolata. Mentre l’abbracciavo travolta dall’onda del senso di colpa, questa guarigione mi è parsa l’esito, non scontato, di una terapia di lunga durata, non soltanto rivolta ad Olga ma anche a noi (padre, madre e fratello di 10 anni). Ho cominciato allora a scandagliare il settore del no-profit, delle organizzazioni di volontariato, ONLUS (insomma la parte buona del mondo disgustoso da cui Dio si è ritirato come sospetta Giovanni Paolo II), alla ricerca di una struttura (casa famiglia, kibbutz, comunità, cascina, chiamatela-come-vi-pare) capace di essere un luogo dove Olga possa vivere (ed amare) ma non l’ho ancora trovarla. Da questa prima ricerca mi sembra di poter concludere che la “società della solidarietà” non è ancora attrezzata per rispondere ad esigenze “difficili” come quella di Olga; difficili proprio perché intermedie; perché non esattamente inquadrabili né come disagio psichico, né come disturbo della personalità, comportamentale o sociale. Spero che l’intelligenza collettiva della rete sappia indicarmi una realtà, un’organizzazione, un luogo, una “terra di mezzo” forse una situazione “ibrida” dove convivono persone con caratteristiche e bisogni eterogenei. In ogni caso, ribadisco, credo che ci sia una domanda non solo insoddisfatta ma addirittura inespressa di “soluzioni intermedie” ovvero capaci di dare “sollievo” – momentaneo, periodico o continuo – alle famiglie su cui, per necessità, grava il peso della cura di persone con handicap medio, sia questo fisico, psichico o comportamentale. Ovviamente sto pensando una soluzione “sistemica” per Olga da qualche anno. Comunque cerci di figurarmela, di pre-vederla, non riesco a concepirla separata da me, non riesco a vederla come un posto dove mettere mia figlia. Credo che questa impossibilità certamente da una parte tradisca un amore viscerale, una sorta di resistenza alla separazione ma dall’altra sia anche il frutto di quella inevitabile alterazione del senso della vita provocata dalla testimonianza dell’handicap, dalla prossimità dell’alterità. Insieme a mia moglie – medico – abbiamo maturato idee che premono per divenire progetto. Tutto ciò è stato premesso per motivare il desiderio di entrare in contatto con chi abbia già portato a compimento un progetto analogo ed abbia la voglia e la grazia di insegnarmi, di fare segno al cammino che ha percorso. In cambio offro il mio tempo per ogni lavoro possa svolgere con utilità. Non credo che ci si possa scoprire capaci di far del bene dalla sera alla mattina, anche col sostegno di Madre Necessità. Così, per concludere, cerco una struttura per educarmi all’altro (nel senso indicato da Levinàs). Vi ringrazio e spero di leggervi presto nella mia casella e-mail: enricoandreoli@tiscali.it


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