Famiglia

Genitori fragili, apriamo quelle porte

«Ho ucciso mio figlio, venite a prendermi»: è successo questa mattina a Voghera. Tutti gli studi parlano dell'importanza di dare supporto ai genitori nei primi mille giorni di vita dei figli: un'azione prevista anche nel nostro Piano Infanzia e nel Pnrr. In Italia i casi di figlicidio sono stati 535 negli ultimi vent'anni. Per l'Oms uno strumento efficace per prevenire i maltrattamenti sull'infanzia è l'home visiting. Ecco come funziona e perché in Italia è ancora un servizio intermittente

di Sara De Carli

«Ho ucciso mio figlio, venite a prendermi»: è successo questa mattina a Voghera (Pavia). Il piccolo, Luca, aveva soltanto un anno. Pochissimo si sa in questo momento della vicenda. Ma anche oggi, come un anno fa (coincidenza vuole che proprio in questi giorni, nel 2022, le cronache parlavano della piccola Diana, anche se dalle prime notizie i contesti in cui sono maturate le due tragedie sono diversissimi, con quest'ultima avvenuta nonostante la mamma del piccolo fosse seguita da uno psicologo per la depressione post partum e la famiglia fosse molto presente) l’unico commento che pare sensato fare è quello di dire che non basta che ci siano psicologi, servizi, associazioni, porte a cui bussare. Occorre uscire per andare a cercare chi non sa che può chiedere aiuto, chi non sa di aver bisogno di aiuto, chi sta troppo male persino per chiedere aiuto.

È quello che fa l’home visiting, indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità – Oms come uno degli interventi di prevenzione del maltrattamento all’infanzia che avviene all'interno delle famiglie stesse. Secondo l’Oms, il maltrattamento riguarda 18 milioni di bambini in Europa (dati 2013) e pochi giorni fa le agenzie hanno battuto la notizia secondo cui in Italia, negli ultimi 20 anni, i casi di figlicidio sono stati 535, di cui 31 dal 2020 ad oggi. L’anno nero è stato il 2014, con 39 figlicidi. Anche in Italia è ampiamente diffusa la consapevolezza di quanto i primi “mille giorni” contino per il benessere dei bambini (presente e futuro) e di quanto sia importante sostenere la genitorialità in questo primo periodo, con un intervento di prossimità, a bassa soglia. In più documenti – V Piano Infanzia, Child Guarantee, Pnrr per fare alcuni esempi – si stanziano risorse e si definiscono azioni per la prevenzione della vulnerabilità delle famiglie. Ma a che punto siamo? E qual è la concreta situazione di fragilità dei genitori (soprattutto dei neogenitori e delle neomamme) vista da chi nelle case ci entra per davvero?

Lo abbiamo chiesto a Marianna Giordano, assistente sociale, responsabile di un servizio di home visiting a Napoli e da pochissimo presidente del Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso dell’infanzia – Cismai. L’organizzazione ha elaborato le “Linee Guida per gli interventi di home visiting”.

Se potessimo entrare insieme a lei nelle case dei neogenitori che seguite, che situazione vedremmo oggi nel Paese?

Le mamme oggi più di ieri vivono una grande solitudine, la difficoltà di chiedere aiuto, il sentirsi in colpa se non vivono con gioia la nascita di un figlio. A volte la non accettazione del figlio è legata al fatto che il bambino ha delle difficoltà o problemi di salute oppure perché il bambino è un figlio non voluto, frutto di violenza oppure di incidente di percorso. Oltre a ciò, spesso c’è la riattivazione dell'eventuale infelicità infantile della neomamma, il suo aver vissuto traumi come l’essere stata una bambina non voluta, non vista, maltrattata o abusata, per cui il figlio da un lato è un riscatto del proprio passato e dall’altro qualcosa che ti ci rimette in contatto. La relazione di prossimità che propone l’home visiting – la presenza di una persona che entra in casa e affianca il genitore – può riparare quel senso di vuoto o di rabbia verso i propri vissuti infantili non in senso psicologico o terapeutico ma con un intervento psicosociale educativo a bassissima soglia. Tutto si fa più complicato quando non c’è una relazione di coppia supportiva, magari con partner maltrattante e violento in tanti modi. Vediamo un bisogno crescente, sia perché c’è una solitudine maggiore e meno supporto da parte delle famiglie di origine, sia perché il livello di malessere psicologico che incontriamo è più alto, meno gestibile da sole e porta reazioni più estreme.

Vediamo un bisogno crescente, sia perché c’è una solitudine maggiore e meno supporto da parte delle famiglie di origine, sia perché il livello di malessere psicologico che incontriamo è più alto, meno gestibile da sole e porta reazioni più estreme.

In cosa consiste l’home visiting?

Si fanno tra i due e i tre interventi a settimana, di 2 ore ciascuno, presso il domicilio, con il coinvolgimento del padre – quando c’è – almeno una volta ogni 15 giorni. L'intervento dura in generale tra i sei mesi e l’anno, dopodiché il nucleo viene affidato alla rete del territorio. Si lavora sulla salute fisica e psicologica. In casa si fanno interventi per i legami nutrienti, a sostegno della relazione madre/figlio, sull'accudimento e sul legame di attaccamento. Poi ci sono interventi con il padre, sulla relazione con le famiglie di origine per costruire relazioni di supporto che non siano né di delega né di intromissione. Si fanno interventi sugli ambienti, perché anche in case molto piccole il bambino abbia un suo spazio o si possano distinguere gli spazi per il giorno da quelli per la notte. Una terza dimensione riguarda la relazione con l’esterno, per sostenere la madre nell'uso dei servizi: la relazione con il pediatra, la cura di sé, l'iscrizione al nido, l’incontro con altre madri, se necessario il rapporto con il servizio sociale.

Quando inizia?

Idealmente negli ultimi mesi della gravidanza, dal settimo mese fino ai tre anni, i famosi mille giorni. È particolarmente prezioso intervenire già durante la gravidanza perché in quel momento c’è una maggiore disponibilità a chiedere e ricevere aiuto, soprattutto quando c’è la cosapevolezza che la nascita del bambino sarà un cambiamento radicale, perché è il primogenito o perché si aggiunge a una fratria ma dentro una famiglia ricomposta, con il papà del nascituro che non è lo stesso degli altri fratelli. Ci sono criteri condivisi a livello nazionale per individuare precocemente le madri a rischio, quelle per cui la nascita può riattivare difficoltà che rendono difficile esercitare la funzione genitoriale. Per questo già nei corsi in preparazione al parto si dovrebbero prefigurare alle madri gli aiuti che possono ricevere, nelle dimensioni della salute fisica e psicologica, intercettare precocemente le madri in difficoltà e non aver paura di fare loro una proposta di aiuto. Dobbiamo porci attivamente la domanda “come sta questa donna?” e creare una rete tra ospedale e territorio per attivare interventi precoci.

Ci sono criteri condivisi a livello nazionale per individuare precocemente le madri a rischio, quelle per cui la nascita può riattivare difficoltà che rendono difficile esercitare la funzione genitoriale. Già nei corsi in preparazione al parto si dovrebbero intercettare precocemente le madri in difficoltà e non aver paura di fare loro una proposta di aiuto

Chi è l’operatore che entra nelle case?

Essendo le regioni autonome, l’home visiting non è ancora una realtà presente a livello di sistema, è un servizio ancora “intermittente”, lasciato alla occasionalità, alla sensibilità di dirigenti di aziende sanitarie o di enti locali o a progettualità del Terzo settore: per questo a seconda di come nasce può avere a volte una impostazione più sanitaria o più socio-educativa. La sua specificità tuttavia è lavorare molto sulla parte relazionale. Per questo, più che una laurea specifica conta la formazione specifica a stare nella prossimità e sostenere legami di attaccamento tra la madre e il bambino. A volte c’è l’ostetrica, a volte l’assistente sociale, a volte l’educatrice, a volte la psicologa. Quello che caratterizza il servizio è una forte formazione e una intensa supervisione durante l'intervento, perché questa prossimità espone l’operatrice a un grande stress, che ovviamente cresce più la madre è sofferente. In casa, ricordiamolo, “comanda” la madre, non l’operatore: è diverso dal setting del servizio. Quindi è faticoso restare su un piano professionale ma insieme di grande vicinanza che apre alla trasformazione.

Qual è il vantaggio di un intervento così a bassa soglia?

L’operatrice dell’home visiting ha il vantaggio di non essere stigmatizzante, in alcune esperienze addirittura sono delle mamme peer. Questo può facilitare l’accesso ad un aiuto specialistico, per esempio con uno psicologo o uno psichiatra, un tipo di aiuto aiuto che è visto ancora coma qualcosa di stigmatizzante. Se ci si arriva attraverso la mediazione con una figura a bassa soglia, è più semplice che la proposta venga accolta.

Foto di Gigin Krishnan su Unsplash

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