Romanzi
Genitori, figli, nonni: tutte le età sono “fragili”
Donatella Di Pietrantonio racconta il suo libro "L'età fragile", in cui le dinamiche tra tre generazioni di una famiglia abruzzese si intrecciano con le vicende di un brutale femminicidio realmente avvenuto nel 1997
Tutte le età sono fragili. Anche – e forse soprattutto – quella in cui si è genitori. Sono proprio le figure di riferimento per antonomasia, infatti, che spesso nascondono insicurezze e vulnerabilità. Proprio quando devono farsi carico della vita e dell’educazione dei loro figli e, a volte, di padri e madri ormai anziani. Un ruolo “di mezzo”, che non sempre è facile da gestire. Donatella Di Pietrantonio, ospite lo scorso weekend al Festival del Pensare contemporaneo di Piacenza, ha vinto il premo Strega del 2024 col suo libro L’età fragile (Einaudi), in cui queste complesse dinamiche familiari si intrecciano alle vicende di un brutale femminicidio, realmente avvenuto in Abruzzo nel 1997.
Qual è “l’età fragile” che dà il titolo al libro?
Nell’idea iniziale doveva essere quella di Amanda, una giovane di oggi, una ragazza che torna indietro dalla città che ha scelto per i suoi studi e per la realizzazione dei suoi sogni, con un senso di sconfitta e di fallimento. Andando avanti nella costruzione dei personaggi mi sono accorta di come anche la mamma, Lucia, colei che avrebbe dovuto sostenerla, deve affrontare le sue fragilità di donna adulta, che si trova a farsi carico delle fragilità degli altri, della figlia e dell’anziano padre.
Lucia deve affrontare le sue fragilità di donna adulta, che si trova a farsi carico delle fragilità degli altri, della figlia e dell’anziano padre.
In effetti, leggendo il libro, viene da pensare che sia proprio Lucia la più fragile.
Perché lei è chiamata a occuparsi dei suoi cari, ma non trova mai lo spazio per sé stessa. In più è portatrice di una fragilità fin da giovane, perché ha vissuto da vicino un trauma molto importante che nessuno le ha curato. Insomma, nel momento in cui un personaggio – quello di Amanda – sembrava incarnare un concetto di fragilità, poi in realtà tutti gli altri lo reclamavano per sé. Anche il nonno, un tempo un patriarca molto forte, si ritrova a fare i conti con la vecchiaia.
In un passaggio del libro, Lucia si rende conto che ad Amanda è accaduto un fatto molto traumatico a Milano e che non le è stata abbastanza vicino. Spesso i genitori si trovano, come questa mamma, nella situazione di non sapere quanto entrare nella vita dei figli. Qual è, secondo lei, la misura?
Io non so la misura, così come non la sa Lucia; lei commette un errore di valutazione, con la paura di essere invadente e impulsiva e non la raggiunge in un momento in cui invece la sua presenza sarebbe stata invece necessaria, di conforto e consolazione. Sono errori possibili per ogni genitore.
Nel libro c’è anche un padre assente, una famiglia che si sfalda in maniera quasi “passiva”.
C’è anche questo elemento che in qualche modo contribuisce alla fragilità di Amanda, una separazione che avviene lentamente, senza parole, mascherata con un trasferimento per lavoro. È un aspetto che si ripete tante volte nel libro, in tante relazioni, una grande incomunicabilità.
Lucia non sa come prendere la figlia, che rimane sempre a casa, finché non si appassiona in una lotta per salvare i terreni di famiglia. Per dare slancio vitale ai giovani che non trovano una strada, la riscoperta delle radici e dell’impegno politico può essere un modo?
Io non mi sento di generalizzare, di dare una soluzione o una ricetta. Quello di Amanda è solo un caso, in questo silenzio, in questa chiusura, c’è comunque qualcosa che accade dentro di lei. È in una fase di incubazione silenziosa. Quello che appare un ritiro sociale è in realtà una preparazione. Tornando indietro, al suo luogo di origine, da cui era scappata, trova una motivazione. Questo però non accade sempre.
Questa storia di relazioni tra genitori e figli nel suo libro si mescola al racconto di un brutale femminicidio di due sorelle modenesi ospiti in un campeggio abruzzese. Come mai ha fatto questa scelta?
Il tema della fragilità si intreccia con la storia di quelle ragazze, compresa Lucia, che è stata testimone di quel fatto di cronaca, in cui molte cose non erano state dette ed elaborate. Volevo rinominare con le parole dell’oggi quest’evento, che all’epoca era stato presto dimenticato perché era scomodo, perché sporcava di sangue un luogo che tutti avevano bisogno di sentire proprio, di sentire puro.
Quelle ragazze furono uccise proprio in quanto donne, non per caso
E non c’era l’attenzione che per fortuna c’è adesso sul tema dei femminicidi.
Sicuramente. Non c’era nemmeno la parola. All’epoca si parlò di “Delitto del Morrone” o “Strage del Morrone”, non fu messa abbastanza in evidenza la circostanza che quelle due ragazze morirono proprio in quanto donne, non per caso.
E come ha tratteggiato l’assassino?
Era una persona singola, quinci c’era una responsabilità individuale, ma anche una costruzione sociale. Questo ragazzo così giovane, coetaneo delle sue vittime, era anche il risultato dell’isolamento in cui era stato mantenuto dal suo datore di lavoro e in generale da questa comunità di pastori, che prendeva a lavorare dei ragazzi stranieri tenendoli in una condizione di separazione dagli altri.
La segregazione e la mancanza di inclusione, quindi, può portare a problemi sociali importanti.
In questo caso si. È come se superasse i confini dell’umano, perché vive isolato, in simbiosi con gli animali. Assiste alla monta delle pecore e nel momento in cui vede queste ragazze così belle, non riesce gestire i suoi impulsi, la sua eccitazione sessuale e si comporta così come ha visto fare ai montoni. Questo non lo assolve e non lo giustifica, spiega soltanto il suo atto.
Altre vite spezzate sono quelle dei genitori delle ragazze uccise e della ragazza sopravvissuta.
Si trovano in situazioni diversamente drammatiche. I primi sono chiamati in questi boschi in cui le figlie erano andate semplicemente a camminare e in cui invece sono state uccise. I genitori di Doralice, la ragazza sopravvissuta, sono anche i gestori del campeggio in cui erano ospiti le ragazze e si trovano ad affrontare un doppio dramma: due giovani che erano sotto la loro responsabilità sono state assassinate e il trauma che ha subito loro figlia, che ha cambiato per sempre la sua vita. Anche loro, in qualche modo, perderanno Doralice, che troverà come unica soluzione quella di andarsene in un altro continente.
In apertura e all’interno foto Ufficio stampa Festival Pensare contemporaneo.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.