Associazioni&Salute
Geni Jolie: il 23 febbraio sia giornata nazionale Brca
La richiesta di istituire una Giornata nazionale della consapevolezza Brca viene da 10 associazioni di pazienti, coordinate da aBRCAdabra, per diffondere la conoscenza dei "geni Jolie" e dell'importanza dei test per individuare le varianti genetiche che aumentano il rischio non solo di cancro al seno e ovaie, ma anche di altri tumori
«Chiediamo di istituire una Giornata nazionale della consapevolezza Brca e che questa giornata sia il 23 febbraio. A sostenerci è Mary-Claire King, la genetista americana cui si deve la scoperta del gene Brca 1 e del ruolo dei geni Brca1 e Brca2 nell’ereditarietà del cancro al seno». A presentare l’appello che viene dal basso, da dodici associazioni di pazienti oncologici riunite e coordinate da aBRCAdabra, è Antonella Campanella, presidentessa e fondatrice della prima associazione nata in Italia per le persone portatrici di mutazione patogenetica Brca. «A un anno di distanza dal video manifesto che abbiamo presentato alle istituzioni con otto richieste relative a tutte le questioni sanitarie che restano da risolvere per la tutela delle persone portatrici delle varianti patogenetiche Brca, pensiamo sia il momento di accendere ancora di più i riflettori su questo tema di salute che riguarda un crescente numero di persone, diffondendo consapevolezza e conoscenza».
Si eredita il rischio di ammalarsi non solo a seno e ovaie
Il ruolo della variante patogenetica dei geni Brca, noti anche come “geni Jolie”, per la scelta della celebre attrice di sottoporsi a chirurgia profilattica (mastectomia e poi ovariectomia) per ridurre il suo altissimo rischio di ammalarsi in quanto portatrice della variante, è ancora oggetto di intensa ricerca. Tali varianti patogeniche aumentano il rischio di sviluppare il cancro al seno e alle ovaie, da cui hanno preso il nome (BReast CAncer genes). Negli anni, si è compreso che tali varianti aumentano il rischio anche di altri tumori, e non solo nella donna, come il cancro al pancreas, che in circa l’8% dei casi possiede le mutazioni Brca, allo stomaco, alla prostata e anche in un tumore tipicamente ambientale come quello al polmone. Infatti, le associazioni coinvolte nell’appello sono Acto e Loto per l’ovaio, Andos, Fondazione Incontradonna, Europa Donna e Salute Donna per il seno, Apaim per il melanoma, Codice viola per il pancreas, Walce per il polmone, Europa Uomo per la prostata.
Un termine semplice, per salvare vite
L’appello per l’istituzione della giornata nazionale del 23 febbraio include anche la richiesta di etichettare con un unico nome, Sindrome di King, la presenza di tali varianti geniche con lo scopo di svincolarsi dall’idea ormai errata che Brca significhi rischio unicamente per seno e ovaie, come porterebbe a pensare il termine Hboc che sta per sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio. Ciò consentirebbe di raggiungere un maggior numero di persone con misure preventive e trattamenti efficaci, come già proposto da un commento di Colin C. Pritchard della University of Washington School of Medicine su Nature intitolato «Un nuovo nome potrebbe aiutare a salvare vite umane».
L’importanza di fare i test
«Il rischio conferito da queste mutazioni varia da individuo a individuo, il background genetico di ciascuno modula questo rischio aumentato, così come i fattori ambientali, tanto che la sfida è riuscire ad arrivare a programmi preventivi individuali» ha spiegato la genetista Liliana Varesco, responsabile del Centro Tumori Ereditari, IRCCS Ospedale San Martino di Genova e membro del Comitato Tecnico Scientifico di aBRCAdabra. Conoscerne lo stato mutazionale di Brca e varianti patogenetiche simili nel singolo individuo rappresenta un passo importante sia a livello di prevenzione oncologica che di terapia medica. Il counseling oncogenetico è necessario: in caso di individuazione di variante patogenetica in portatori sani vengono intrapresi percorsi di prevenzione oncologica personale e familiare, «per arrivare prontamente alla diagnosi in chi è positivo alla mutazione» ha spiegato Laura Cortesi, direttrice della genetica oncologica del Policlinico di Modena. In caso di mutazione pericolosa, infatti, è necessario partecipare ad alcuni screening prima del previsto ed valutare la chirurgia preventiva, con l’asportazione di seno e ovaie. «La presenza di una mutazione pericolosa, inoltre, è un fattore predittivo di risposta alla terapia, di farmaci importanti come i parp-inibitori». Nonostante tutto ciò, ancora oggi il test viene fatto nella maggioranza dei casi dopo la diagnosi. L’appello delle associazioni intende anche risolvere il problema della disomogeneità regionale nell’accesso al test e nell’esistenza di percorsi strutturati di presa in carico della persona portatrice della mutazione.
Photo by Hannah Busing on Unsplash
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