Sostenibilità

gelato a piramide? attenti agli ingredienti…

I consigli degli artigiani per un cono sano e naturale

di Chiara Cantoni

Cambiano i gusti, passano le mode, ma l’amore per il gelato non conosce recessione: morbide creme dal sapore pieno, delicati gusti frutta, proposte minimal da nouvelle cuisine e ghiotte soluzioni da irriducibili gourmand. Tutto vale, purché a base di ingredienti freschi e naturali. Così, almeno, vorrebbe l’antica tradizione artigianale, tallonata a vista dalla crescente diffusione di semipreparati. «Legittimi, certo, ma il consumatore dovrebbe esserne informato», dice Raffaele Valente, presidente del Gruppo gelatieri Epam di Milano. «Da tempo si discute l’opportunità di introdurre un disciplinare del gelato artigianale per certificare le produzioni fatte ad arte. Ritengo invece che la soluzione migliore sia quella di apporre un’etichetta accanto ad ogni gusto con l’elenco degli ingredienti contenuti».
Titolare della storica gelateria Cream Garden, con adiacente laboratorio artigianale, che rifornisce una gamma di clienti top della ristorazione meneghina (come Dolce & Gabbana, Grand Hotel et de Milan, Hotel Principe di Savoia), Valente ha adottato da tempo la formula dei cartellini individuali, con tanto di calorie all’etto: «In questo modo i clienti hanno gli strumenti per valutare da sé, sapendo cosa mangiano». Accurata scelta dei fornitori, controllo delle materie prime e del prodotto in uscita, lavorazione strettamente artigianale, bollo Cee, e una produzione parallela certificata bio da QC&I, ne fanno una delle mete più accreditate fra i golosi di Milano.
«Si è rivelata vincente la scelta dei pozzetti che, meno appariscenti dell’esposizione in vaschetta, assicurano però una temperatura costante, una perfetta conservazione e un’igiene assoluta». Come dire, occhio alle vetrine troppo esuberanti, con solide piramidi cremose dalle tinte sgargianti («I coloranti? Un castigo di Dio», dice), che si stagliano a sfidare la forza di gravità: dietro l’aspetto accattivante, si cela a volte un prodotto poco protetto, ricettacolo di batteri, contaminato dagli aromi dei gusti vicini, spesso gonfiato da grassi idrogenati. «Produco gelato da 45 anni e senza snobismo posso dire di aver provato tutto: liofilizzati, surgelati, ecc. Ma non c’è niente da fare: per un buon gelato al limone bisogna mettersi a spremere limoni. Freschi e non trattati. E bisogna stare attenti che il succo non prenda aria, perché altrimenti si ossida e il sapore ne risente. La frutta a buccia dura va disinfettata, quella a buccia morbida no. Lo stoccaggio va fatto in maniera opportuna. Il latte deve essere fresco e di qualità. Perché sono i dettagli a fare la differenza». Il vero artigiano lo sa. E il consumatore attento lo sente.


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