Medio Oriente
Gaza, siamo davanti al dispregio del diritto internazionale umanitario
«All’inizio del conflitto Israele ha dichiarato che avrebbe portato avanti “un assedio totale della Striscia” e così sta facendo», dice Marco De Ponte, segretario generale dell’organizzazione ActionAid. Le organizzazioni umanitarie hanno le mani legate: «L’unica soluzione è aprire tutti i valichi di frontiera e far entrare in grandissime quantità i beni di cui la popolazione ha bisogno. Le realtà dovrebbero coordinarsi con le forze occupanti, ma quando le forze occupanti ti sparano addosso c’è una sospensione del contratto sociale: siamo ormai alla legge della giungla»
di Anna Spena
Sette operatori umanitari dell’organizzazione World Central Kitchen sono stati uccisi durante un attacco delle forze di difesa israeliane nella città di Deir al Balah.
I cooperanti arrivavano da Australia, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti e Canada. Con loro viaggiava un autista palestinese. «Questo non è solo un attacco contro World Central Kitchen, è un attacco alle organizzazioni umanitarie che si presentano nelle situazioni più terribili, dove il cibo viene usato come arma di guerra. È imperdonabile», ha dichiarato Erin Gore, Ceo di World Central Kitchen.
E in effetti è dallo scorso sette ottobre che l’aiuto umanitario nella Striscia di Gaza ha le mani legate. «Gli operatori internazionali presenti da anni a Gaza, molti anche italiani, sono pressoché tutti usciti dalla Striscia», ha scritto Nino Sergi, presidente emerito di Intersos in questo articolo “Strage di cooperanti, Netanyahu non vuole testimoni scomodi”. «Sono stati obbligati a farlo perché, come i giornalisti, erano diventati testimoni indesiderati e quindi quotidianamente sotto tiro di spari “non voluti».
La situazione è catastrofica: «Da qualunque angolo la si guardi», dice Marco De Ponte, segretario generale dell’organizzazione ActionAid, «siamo senza parole. Oramai siamo davanti al dispregio del diritto internazionale umanitario».
Dopo l’uccisione dei sette cooperanti il Governo del premier israeliano Netanyahu si è affrettato a parlare di un errore e le forze di difesa israeliane hanno annunciato che stanno “conducendo un esame approfondito ai più alti livelli per comprendere le circostanze di questo tragico incidente”. «Però», spiega De Ponte, «gli operatori e i mezzi su cui viaggiavano erano riconoscibili». E infatti la stessa organizzazione World Central Kitchen in una nota ha affermato: «Il team stava viaggiando in una zona di deconflitto con due auto blindate con il logo World Central Kitchen e un veicolo a pelle morbida. Nonostante il coordinamento dei movimenti con le forze di difesa israeliane, il convoglio è stato colpito mentre lasciava il magazzino di Deir al-Balah, dove il team aveva scaricato più di 100 tonnellate di aiuti alimentari umanitari portati a Gaza sulla rotta marittima».
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Bisogna «andare oltre questo singolo episodio», dice De Ponte, «e domandarci cosa resta oggi di quell’autocontrollo su cui si basa il sistema giuridico di protezione del diritto umanitario in tempo di conflitto. Anche nel linguaggio comune si usa spesso l’espressione “non si spara sulla Croce Rossa”, ma nella Striscia di Gaza – di fatto – sta accadendo questo. Attacchi ad ospedali, ambulanze, attacchi a mezzi che trasportano beni essenziali. Al di là dei singoli fatti è gravissimo il messaggio che si sta dando al mondo. E con quello che sta accadendo Gaza è come se si stesse dicendo che si possono superare le richieste di un cessate il fuoco della corta internazionale di giustizia, dell’Onu, dell’alto commissariato per i diritti umani. La narrazione di quello che sta accendendo si fa scudo, qui in Occidente, con l’antisemitismo. Come se qualunque ebreo dovesse per forza avere gli obiettivi dell’agenda sionista. Non si riduce un territorio in questo stato senza l’obiettivo preciso di annullarlo. All’inizio del conflitto Israele ha dichiarato che avrebbe portato avanti “un assedio totale” e così sta facendo».
Sono diverse le realtà che si sono viste obbligate – per tutelare l’incolumità dei cooperanti – ad abbandonare la Striscia di Gaza. «E comunque», spiega De Ponte, «quelle che si sono fatte fino ad oggi e che si continueranno a fare sono azioni di testimonianza, nessuna delle risposte che l’umanitario è riuscita a fare fino ad oggi è adeguata alle necessità della popolazione. Sono oltre 30 le strutture sanitarie distrutte, la gente è affamata, è malata. L’unica soluzione è aprire i valichi di frontiera e far entrare in grandissime quantità, e in sicurezza, tutti i beni di cui la popolazione ha bisogno. Le realtà dovrebbero coordinarsi con le forze occupanti, ma quando le forze occupanti ti sparano addosso c’è una sospensione del contratto sociale. Siamo ormai alla legge della giungla».
Ap Photo/Ismael abu dayyah
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