Mondo

Gaza, quelle bombe nella scuola dell’Onu

Il conflitto nel cuore della Palestina mentre si attende il cessate il fuoco.

di Franco Bomprezzi

Guerra, morti, spesso bambini: a Gaza il fuoco non cessa, e la tregua è ancora solo una richiesta dalle mille sfaccettature. La prima edicola del 2009 purtroppo non può che essere dedicata al dramma del conflitto fra Israele e Hamas, nel cuore della Palestina.

Repubblica apre su “Gaza, strage nella scuola” e dedica alla bomba israeliana caduta sul rifugio Onu molte pagine. Il bilancio del raid israeliano ha causato 42 morti, molti dei quali bambini. Cronaca soprattutto alle pagine 2 e 3. In tutto sono oltre 600 i palestinesi uccisi dall’inizio del conflitto. Nella scuola Onu erano ammassate circa 1000 persone. Molto preoccupata la Croce Rossa: l’ultima notte è stata la più «spaventosa». Un milione di abitanti della Striscia di Gaza non ha elettricità da dieci giorni, 600mila non hanno più acqua da venerdì sera. Le distribuzioni delle organizzazioni umanitarie sono ferme, i magazzini vuoti.
Il ministro della difesa israeliano ha detto  ieri che «le operazioni stanno procedendo secondo i piani ma che non tutti gli obiettivi sono stati ancora raggiunti». Grande spazio ai commenti e alle reazioni politiche, fra le quali quella di Massimo D’Alema. L’ex ministro degli Esteri scrive una lettera al direttore Ezio Mauro: “Io, Hamas e la comunità ebraica”, nella quale il politico Pd richiama un intervento dello scrittore Yehoshua e definisce «sproporzionata la reazione israeliana». «Con gli assassini ancorché mirati non si risolvono le questioni politiche», prosegue sottolineando che dal fallimento della politica Hamas trae nuova forza. 
A pagina 4 Repubblica con Mario Calabresi riferisce della prima posizione del presidente eletto: “Obama «preoccupato per i civili»” titola il pezzo che inizia con un avvertimento di Obama: «dopo il 20 gennaio avrò molto da dire su questo conflitto». Nel frattempo l’amministrazione Bush auspica «un cessate il fuoco durevole, che se fosse immediato sarebbe il benvenuto». Mentre Obama promette un impegno consistente, Al Qaeda fa sapere , con un messaggio audio su Internet di Ayman Al Zawahiri, che l’offensiva israeliana a Gaza fa parte della «crociata» dell’Occidente contro l’Islam e ha la benedizione degli Usa. Nel frattempo in Europa (Giampiero Martinotti, a pagina 6) crescono gli attacchi antisemiti, in Francia come in Belgio: il primo altolà è di Sarkozy («non tollereremo che la tensione internazionale si traduca in violenze fra comunità»).
Segnalo l’intervento di Adriano Sofri, dalla prima a pagina 3, “Quelle immagini che il mondo non può ignorare”. Scrive, Sofri, dell’uso delle immagini dei corpi straziati, della cautela necessaria, dell’orrore. E aggiunge: «La maggioranza della popolazione ammassata in quel fazzoletto di terra è composta di bambini e ragazzini: un giardino d’infanzia in un miserando zoo umano. Non c’è nessun Erode geloso a mandare aerei e carri sulla striscia di miseria e rancore. Gli israeliani vogliono davvero ridurre al minimo le vittime civili. Non possono essere così disumani né così imbecilli da mirare a colpire i bambini. Ma quando si interviene con un simile spiegamento di forza in un enorme giardino d’infanzia, tanti (quanti?) bambini moriranno, resteranno feriti e mutilati, e quelli che sopravviveranno non lo dimenticheranno più, e assicureranno altre generazioni al trionfo dell’odio e della vendetta».
Tre i commenti nella pagina degli approfondimenti (dalla prima). “La posta in gioco” di Sandro Viola, “La piazza islamica” di Gad Lerner e “Preghiera e libertà” di Joaquin Navarro-Vals che in sostanza non si meraviglia ed anzi getta acqua sul fuoco delle polemiche relative alla manifestazione islamica in Piazza Duomo a Milano e invita a rendersi conto che «la libertà di cui l’Europa può andare fiera… passa sempre e soltanto attraverso l’espressione della libertà religiosa degli altri… Vedere che in Italia è permesso a dei musulmani di praticare l’Islam, davanti a una cattedrale cattolica, smuoverà certamente le coscienze di molti musulmani di tutto il mondo a riconoscere almeno in parte quegli stessi diritti mai concessi alle minoranze cristiane e islamiche».

Il Sole mette di spalla in prima la notizia del giorno: “Gaza, strage a scuola. La svolta degli usa, cessate il fuoco subito”. La corrispondena è firmata da Ugo Tramballi, dal Sderot. Tramballi insiste sul fatto che la «gente falciata dalle schegge davanti e dentro la scuola di Jabaliya si era radunata lì obbedendo a un avviso israeliano». Da New York Marco Platero invece racconta la svolta della diplomazia americana. La richeista di cessate il fuoco viene dalla portavoce della Casa Bianca Dana Perino: «durevole, sostenibile e non atempo limitato», queste le richieste della Casa Bianca. Invece Platero evidenzia come Al Jazeera abbia sbeffeggiato l’atteggiamento di Obama, mettendo in onda le immagini della sua vacanza alle Haway.

Il Corriere della Sera apre con un editoriale di Pierluigi Battista che parla del cessate il fuoco, universalmente invocato sia dalle autorità morali che dai capi di stato, come di un’esigenza improrogabile. Con un nota bene: «Il fronte della “tregua” non è privo di basi politiche, oltre che morali. Ma è la “retorica della tregua” che rischia di renderle fragili e destinate all’inconcludenza. Tutte le espressioni che modulano con ripetitiva monotonia l’esigenza della tregua (…) presuppongono una condizione fondamentale che è proprio quella assente nell’inferno di Gaza: la tregua, perché sia tale, si fa sempre in due. È ragionevole, è realistico, è possibile che Hamas voglia essere una delle due parti a rispettare una tregua? Non l’ha violata lanciando razzi Qassam  sulle città israeliane per fare espressamente vittime civili?». Battista invita quanti insistono (da Sarkozy in poi) sulla «sproporzione» della reazione israeliana e che però non negano la legittimità di una reazione a un evidente torto di Hamas, a indicare quale debba essere la reazione «proporzionata», dovrebbe spiegare come sopperire alla «latitanza degli organismi internazionali e come ovviare alla tragica mancanza di credibilità dell’Onu». Parallelamente, Mussa Abu Marzuc, numero due di Hamas a Damasco, intervistato da Lorenzo Cremonesi, nega che Hamas abbia rifiutato di rinnovare la tregua scaduta il 19 dicembre: «Nei sei mesi di cosidetta tregua, Israele ha compiuto più volte operazioni militari contro di noi. Molti blitz unilaterali che nessuno ha mai denunciato e che hanno causato una quarantina di morti palestinesi. A ciò si aggiungano il blocco economico e il totale isolamento per la popolazione di Gaza. Gli accordi della tregua stipulavano confini aperti. Israele non li ha rispettati ben prima che noi rifiutassimo di rinnovarla». Auspica poi un ruolo attivo dell’Europa, ma non crede che Sarkozy sia l’uomo giusto, a meno che non cambi linguaggio.
Nel frattempo le cronache parlano di stragi e bombardamenti. A pag. 2 si riporta delle scuole bombardate, la prima dell’Onu ieri mattina con tre morti; la seconda, Fakura, sempre delle Nazioni Unite, sotto gestione dell’agenzia per i profughi palestinesi (l’Unrwa), letteralmente polverizzata nel pomeriggio. Dentro si erano rifugiati «poveracci scappati dal campo di Beit Lahya». Si è trattato della «carneficina più impressionante degli undici giorni di Piombo Fuso: almeno 30 morti, bambini con le loro mamme, 55 feriti». Se Onu e palestinesi rivendicano la crudeltà e l’inutilità di un simile bombardamento, Israele sostiene invece che dalla scuola erano partiti colpi di mortaio. Il tutto sarebbe stato registrato da un drone, un aereo senza pilota che sorvolava la zona. Tsahal fornisce particolari: fra le macerie sarebbero stati recuperati i cadaveri di due cecchini, Iman e Hassan Abu Askar, «la prova che Hamas», sostengono gli israeliani, «ci attacca facendosi scudo di moschee, ospedali, scuole, popolazione civile». L’episodio non è isolato: si moltiplicano gli errori e il fuoco su  obiettivi civili e sulle strutture Onu. La situazione è peggiorata con l’invasione di terra e l’uso degli obici sparati dai carriarmati: «armi studiate per “coprire un territorio” e non per centrare bersagli specifici», dice l’esperto israeliano Ron Ben Yshai. Uno studio dell’Intelligence and Terrorism Information Center di Tel Aviv mostra come Hamas avrebbe costruito la sua infrastruttura militare nel cuore della città per attirare l’esercito israeliano nelle zone residenziali. Infiamma il botta e risposta su quali possano essere definiti obiettivi “legittimi” e quali no, ma capire cosa avvenga realmente non è facile, anche perché la striscia è chiusa alla stampa internazionale e sebbene la magistratura abbia riconosciuto il diritto di cronaca e sia stata organizzata una sorta di “lotteria” fra i giornalisti accreditati per fare sopralluoghi, «il primo pool di “fortunati estratti” viene ogni giorno rimbalzato».
Obama rompe per la prima volta il silenzio che si è imposto in politica estera e si impegna a risolvere il conflitto in Medio Oriente: anche se non fornisce indicazioni specifiche, il segnale è chiaro «dopo il 20 gennaio avrò moto da dire su questo tema». L’uscita di Obama è una risposta alle due critiche opposte, da un lato, di avvallare con il suo silenzio l’attacco israeliano, e dall’altro  di non esprimere il suo sostegno alla Stato di Israele. Secondo Paul Berman, teorico liberal della «diplomazia muscolare», quella del neopresidente Usa è stata «una dichiarazione cauta perché non può ancora agire». Secondo lo studioso, il problema principale per Israele e Palestina è rappresentato dall’Iran, di cui Hamas può essere avanguardia. Ma Obama farà ciò che Bush non è riuscito a fare: «creare una coalizione occidentale, mondiale, che contenga l’Iran».

 

Anche Avvenire apre sul conflitto: “Bombe e razzi, Gaza nel caos”. Colpiti anche istituti sotto protezione Onu, morti 4 soldati israeliani a causa del «fuoco amico», mentre i razzi usati da Hamas sono a gittata sempre più lunga. Molte le pagine che il quotidiano della Cei dedica ai bambini morti. Cronaca e commenti fra cui quello del politologo Abdul-Hadi intervistato da Camille Eid: “Nascerà una nuova entità palestinese”. «Nel 2006 la vittoria elettorale di Hamas è stata definita come un “terremoto politico”… E si è fatto di tutto per circoscriverlo… Il “terremoto militare” attuale intende capovolgere questa situazione. Ma in questo modo ci siamo ritrovati con il conflitto arabo-palestinese che è tornato al punto di partenza». Ampio spazio anche all’appello del Papa: “Va incoraggiato chi cerca il dialogo”. Anche ieri Benedetto XVI ha sottolineato che continua «a seguire con viva apprensione i violenti scontri armati in atto nella Striscia di Gaza»… e ribadito «che l’odio e il rifiuto del dialogo non portano che alla guerra» mentre vanno incoraggiate le iniziative e gli sforzi di quanti vogliono riprendere il dialogo.
In una breve si riferisce dell’impegno dell’associazione Giovanni XXIII che intende portare soccorsi alla popolazione di Gaza e ha reso noto un documento in cui condanna i razzi di Hamas (che forniscono un «inutile alibi all’aggressione israeliana»).
Segnaliamo un reportage di Giorgio Ferrari “A Hebron l’«altra» Hamas che si nasconde e produce”. A Hebron (166mila abitanti, di cui 165mila palestinesi) si produce il 36% del Pil dei Territori, il 70% del marmo da costruzione e il 60% di scarpe di rigorosa imitazione italiana. Qui Hamas ha stravinto le elezioni, ma ora si nasconde: non solo perché la Cisgiordania è protettorato di Fatah ma anche perché appartenere ad Hamas ormai costa caro. Il cuore produttivo insomma avrebbe voltato la faccia ad Hamas scegliendo il business… In Agorà approfondimento su Parents Circle, associazione formata da israeliani e palestinesi con lo scopo di elaborare il dolore delle morti. In 10 anni sono oltre 500 le persone che hanno vissuto questa esperienza di riconciliazione e che ovviamente dicono no alla violenza.

“La strage degli innocenti” è il titolo di copertina del manifesto a corredo di una drammatica foto proveniente da Gaza, in una prima pagina che il quotidiano dedica alla Palestina con richiami e commenti. Tommaso Di Francesco scrive “Gaza siamo tutti noi”: «Gaza è sotto una muraglia d’acciaio, bombardata da cielo, terra e mare, invasa da centinaia di carri armati ultratecnologici e da migliaia di soldati. Non è un combattimento ma una strage. E senza possibilità di fuga. Tutto alla fine porterà ulteriore appoggio ad Hamas. Che, ricordiamolo, nel gennaio 2006 vince democraticamente le elezioni in tutti i Territori occupati. (…) Ora la palla passerà a Barak “Hussein” Obama. Ma già ha pesato il suo silenzio. Perché solo gli Stati Uniti possono invertire la rotta. (…) Guardate gli occhi sbarrati dei bambini di Gaza. Ci dicono che non finirà con un cessate il fuoco necessario ma, ahimé, tardivo. Chi subisce il terrore abbandonato da tutti è destinato a riprodurlo. Così nasce l’odio, così nascono i “terroristi”. Israele bombarda il proprio futuro(…)». All’argomento il manifesto dedica poi le pagine 4, 5 e 6. A pagina 6 in particolare, dopo le prime due dedicate a reportage dalla Palestina, si punta l’obiettivo sulla diplomazia e sull’azione di Sarkozy da un lato e dall’altro sulla rottura del silenzio di Obama «preoccupato per vittime civili». Un articolo datato Parigi racconta di un attacco a una sinagoga. «Parigi teme il contraccolpo del conflitto a Gaza» è il titolo dedicato all’attentato.

In copertina il Giornale titola “Gaza, colpita una scuola Onu: strage di civili”. Nell’occhiello la sintesi della giornata di ieri “I tank israeliani assediano la roccaforte di Hamas. Gli Usa chiedono un cessate il fuoco”. Il servizio a pagina 9 di Cristiano Gatti titola “Nel furore delle immagini ci perdono solo i bambini” per via delle foto dei piccoli corpi straziati che inondano i media ma servono anche alla propaganda di una parte sola. Gatti scrive: “Gli integralisti di Hamas sfruttano l’immagine di minori in diverse occasioni. Alle manifestazioni i bambini sono vestiti di verde e sventolano bandiere.I bambini feriti sono esibiti alle telecamere per suscitare la condanna del nemico invasore. Quest’ultima di Gaza resta una guerra così come la vogliono raccontare da dentro: con le bombe sui bambini e mai un palestinese armato”. Luciano Gulli inviato a Hebron raccoglie alcune dichiarazioni, fra queste quella che si riferisce al voto dato a Hamas: «Oggi non lo daremo più». Gulli scrive: «La piega che in questi mesi ha preso Hamas non è piaciuta ai cittadini della cittadina che è la capitale industriale e commerciale della Cisgiordania. Non è piaciuta agli industriali, alla borghesia ma anche al popolino che si è fatto due conti in tasca e ha visto che quando non si spara e non c’è Intifada si campa meglio e girano anche più palanche». Il commento di Fiamma Nirenstein a pag. 8 titola “Israele paga il prezzo di tutti i luoghi comuni dell’odio”. A pag. 10 la polemica: sabato scorso centinaia di musulmani in piazza Duomo hanno pregato a margine della manifestazione pro-palestinesi. Sull’accaduto l’arcivescovo di Milano ignora la vicenda e così il Giornale titola: “La svista di Tettamanzi. Neanche una parola sugli islamici al Duomo” e Maria Giovanna Maglie scrive: «Sul sagrato si è consumata la sfida a un simbolo alto del cattolicesimo italiano».

“Colpo di Mortaio su una scuola morti 40 civili” titola La Stampa in prima pagina. Un articolo di pura cronaca della giornata di ieri. Alla fine si sono contati 42 cadaveri e decine di feriti. Per Ban Ki Moon segretario generale  dell’Onu, gli attacchi Israeliani contro strutture Onu sono inaccettabili  e non devono essere più ripetuti. Israele ha risposto che da quella scuola dove si erano ammassati centinaia di soldati, erano state sparate granate contro le forze israeliane. Un portavoce delle Nazioni Unite ha specificato che l’edificio era chiaramente distinguibile dall’esterno ed ha assicurato che al suo interno c’erano solo civili. Israele invece, ribatte spiegando che i militari hanno reagito con i mortai per neutralizzare il pericolo.
Proseguendo nella cronaca, La Stampa riporta che nella giornata di ieri sono state colpite altre due scuole dell’Urwa aperte con altre 20 per dare ospitalità a 15 mila sfollati. Israele ha anche rafforzato la morsa intorno attorno a Gaza. Nella zona meridionale, le truppe hanno avanzato fra le città di Khan Yunes e rafah. Nel settore centrale è stata bombardata Deir el Balah. Quattro militari israeliani sono rimati uccisi  in due episodi di fuoco amico. Tre militari della brigata Golani sono morti in seguito alla cannonata di un tank che erroneamente riteneva di avere nel proprio mirino miliziani di Hamas. La deflagrazione ha fatto crollare un intero edificio sui militari che si sono trovati imprigionati fra le macerie ed esposti al fuoco di Hamas. Nel secondo episodio, un ufficiale è stato ucciso da una cannonata. Un altro militare israeliano è stato abbracciato da un combattente suicida che ha poi attivato il proprio corpetto suicida. Un altro miliziano, vestito da soldato israeliano, è stato ucciso prima che potesse aprire il fuoco.
In una giornata di rastrellamenti i militari hanno riferito di aver trovato moschee trasformate in bunker, con reti di  tunnel  scavati alla loro basi e con quantità di armi al loro interno. Una scuola invece, era stata trasformata nottetempo da miliziani palestinesi in un edificio esplosivo. Hamas invece, è riuscita a lanciare 30 razzi sul territorio palestinese. A pagina 37 Vittorio Emanuele Parsi commenta: “La tregua possibile”. Una potenziale tregua, non garantirebbe in modo credibile la cessazione del lancio dei missili qassam. E’ anche irrealistico che Israele rinunci ad eliminare completamente a presenza organizzativa di Hamas.  E allora? Parsi ripone fiducia nella politica. Esistono infatti solo due alternative a una potenziale tregua: quella del conseguimento per via politica di quanto militarmente non è stato possibile fare, (sulla falsariga della crisi in Libano nel 2006), oppure quella di un consolidamento politico di un successo militare ottenuto grazie alla supremazia militare. In fondo Israele parte dal presupposto che non si può tornare indietro, che Israele non ritiene accettabile il ristabilimento del semplice status quo. Alla base di questo convincimento sta la consapevolezza, che nel giro di due o tre decenni, il bilancio demografico tra israeliani di religione ebraica da un lato, e arabi di Israele e palestinesi dall’atro, segnerà un saldo permanente e non modificabile neanche attraverso nuove quanto improbabili ondate di immigrazione ebraica. Il semplice dato demografico si trasforma in minaccia se si considera come il radicalismo di matrice islamista abbia fatto e stia continuando a fare proseliti in gran parte della Umma. Secondo Parsi, entro il 2010, l’attuale quadro della sicurezza regionale sarà insostenibile  deve perciò essere modificato nella direzione di una reciproca accettazione tra i diversi soggetti politico-territoriali del Medio Oriente. Affinchè ciò avvenga è però necessario indebolire le capacità militari e la presa politica delle formazioni estremiste.
Anche se le cose, sul piano militare, dovessero volgere al meglio per Israele, è però difficile immaginare il consolidamento politico dell’eventuale successo in assenza di interlocutori. Quando Israele lascerà Gaza, la tregua dovrà essere concordata con qualcuno. Una tregua senza garanzie, riprodurrebbe esattamente quello scenario precedente la crisi che Israele non può accettare. Diverso sarebbe se, con la mediazione della Lega Araba ed egiziana, un terzo soggetto si incaricasse di svolgere trattative per una tregua tra le parti, offrendosi di vigilare sulla garanzia del suo rispetto con un proprio contingente militare e non inviando qualche pattuglia di osservatori.
A pagina 2 “Al Zawahiri: questi attacchi sono un regalo di Obama”. «Le bombe di Israele sono un regalo di Obama ai palestinesi per la sua investitura». E’ la spiegazione che offre ai fedelissimi di Al Qaeda il numero due dell’organizzazione terroristica, Ayman Al-Zawahiri, in un messaggio diffuso ieri sui siti internet islamici e ripreso da  AL Jazeera. «Quello che avete davanti è un anello della catena della campagna  sionista contro i musulmani e l’Islam.. La bugiarda macchina della propaganda americana ha cercato di dipingere Obama come un salvatore del mondo che avrebbe  cambiato la politica». Zawahiri non se la prende solo con Obama, ma anche con Mubarak che ha definito traditore e ha chiamato gli egiziani a uno sciopero di massa proponendo loro come  esempio il soldato egiziano che nel 1985 sparò ai turisti israeliani. Per ora però mancano conferme dell’autenticità dell’appello con la voce del numero due di Al Qaeda.

E inoltre sui giornali di oggi:

Maltempo
Repubblica – Sull’Italia stretta dalla morsa del gelo, da segnalare la notizia di un clochard, il 48enne Paolo Manara, che a Bologna ha l’obbligo di dimora sotto i portici. La decisione è del giudice che lo ha condannato, fino al 26 gennaio, a stare sotto i portici dalle 21 alle 7, cioè durante le ore più dure. Il rischio ovviamente è quello di morire di freddo (come è capitato a un altro poveretto, a Milano). Gli avvocati sono al lavoro per trovare una soluzione (cioè spostare la dimora obbligata in un dormitorio, ad esempio).

Emergenza energetica
Il Sole 24 Ore – L’apertura del Sole è dedicata alle ripercussioni che la vicenda gas avrà sull’Italia. Meno 30% dell’import di gas, riserve per un mese. Il Sole rilancia anche il caso delle risorse energetiche italiane, spesso bloccate a livello di autorità locali. In particolare si racconta il caso del petrolio in Basilicata e delle riserve di metano a Vittoria in Sicilia.

Il manifesto – Le pagine 2 e 3 sono dedicate al problema del gas russo “Chi ha chiuso il rubinetto?” è il titolo dell’articolo con Astrit Dakil. In mezza Europa non arriva più il gas russo, o ne arriva pochissimo. Lo scontro commerciale fra Mosca e Kiev strumentalizzato dall’Europa occidentale «Guerra del gas? Siamo seri, la guerra è un’altra cosa, come vediamo ogni giorno nella martoriata Gaza. (…) Anche se non c’è motivo di allarme immediato, però la sola idea dei rubinetti chiusi – unita al fatto che di mezzo ci sia la Russia, sempre più etichettata come potenziale nemico dell’Occidente – ha fatto scattare la gara a chi grida più forte: grida spesso ipocrite e faziose. (…) L’assurda querelle si gonfia a dismisura perché tutti, per un verso o per l’altro, ci inzuppano il pane. Yushenko se ne serve per presentarsi sempre più come campione dell’Ucraina filooccidentale e antirussa (…); i Paesi della “Nuova Europa” se ne servono a loro volta per chiedere alla Ue “mano dura” contro la prepotenza di Mosca (…)».

Il Giornale – Apertura (ma i servizi sono a pagina 12 e 13) su come pagare meno luce e gas orientandosi fra i diversi gestori e quindi scegliendo le diverse tariffe.

Gomorra

Il Giornale – A pag. 19 intervista a Renzo Arbore e a Luciano De Crescenzo sulla polemica innescata da Cannavaro in merito al film Gomorra. Arbore dice: «Giusto raccontare il cancro della città. Da sempre l’arte è anche denuncia». Al contrario De Crescenzo : «Ma oggi Napoli non è più così. La gente per strada si sta svegliando».

Azzardo
Il Sole 24 Ore – Il quotidiano dà i numeri delle Lotterie e giochi in Italia: +12,5% sul 2007, per un totale di soldi  spesi di 47 miliardi di euro: all’erario sono finiti 8 miliardi. L’Italia è prima in Europa. Lottomatica è il gruppo leader in Europa con 1,6 miliardi di ricavi.

Bioetica

Avvenire – Intervista a Paola Binetti che contesta Marino, suo collega di partito: la sua proposta di legge (di Marino) non va bene, bisogna rendersi conto che nel Pd c’è un pluralismo di posizioni e che soprattutto si deve nutrire e che in ogni caso l’ultima parola spetta al medico.

Welfare

Avvenire – “Social card, il problema? Sapere che c’è”. Solo in 600mila hanno chiesto il contributo, mentre la stima degli indigenti che ne avrebbero bisogno/diritto si attesta sul milione e mezzo. Un progetto Caritas-Cisl per spiegare in parrocchie e comunità come accedere al bonus. Doppia intervista: a Marsico (Caritas) che sottolinea come siano poche le risorse e quanto siano grandi i problemi di informare gli aventi diritto; a Vacchina (Acli) secondo il quale il meccanismo della social card sta rendendo visibili indigenti prima invisibili (accolta nel frattempo la richiesta di proroga fino al 28 febbraio del termine della presentazione delle domande).

 

 

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