Medio Oriente

Gaza: per troppo tempo abbiamo fatto finta di non vedere l’odio che cresceva 

«Abbiamo chiuso gli occhi», dice Mario Giro, viceministro degli esteri nei governi Renzi e Gentiloni e membro della Comunità di Sant’Egidio. «Come si spiega la pace? Con la storia: a cosa hanno portato gli ultimi 75 anni di conflitto? A niente, per entrambi i popoli»

di Anna Spena

Basta. Basta è la voce che si sta alzando dalla società civile. Basta temporeggiare: Hamas deve liberare, e senza condizioni, gli oltre 200 ostaggi israeliani, il Governo di Israele deve smetterla di bombardare la Striscia di Gaza, o – ormai – quello che ne resta. Basta ospedali distrutti, teste maciullate, basta brandelli di corpi lasciati sulle strade polverose. E se non si può dire basta alla guerra tra Israele e Hamas, almeno basta con la chiusura dei valichi di frontiera, che sia almeno concessa l’apertura di quello di Rafah, al confine con l’Egitto, dove c’è una fila di tir, lunga dieci chilometri, carichi di aiuti umanitari.

Ma come si arriva a questo “basta?”?. Lo abbiamo chiesto a Mario Giro, amministratore di Dante Lab. Giro è stato professore di relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia; sottosegretario agli esteri nel governo Letta e viceministro degli esteri nei governi Renzi e Gentiloni, esercitando le deleghe sulla Cooperazione allo sviluppo. È membro della Comunità di Sant’Egidio.

Sono giorni drammatici, la guerra non è iniziata lo scorso sette ottobre. Per capire questi giorni dobbiamo guardare al contesto, un contesto che si è costruito in decenni di errori. Eppure le immagini che arrivano dalla Striscia di Gaza, così come quelle che abbiamo visto al rave party in corso nel deserto del Negev, travalicano il contesto, tanto sono brutali. Ma cosa per tanto tempo abbiamo fatto finta di non vedere? Come siamo arrivati a questo?

Abbiamo fatto finta di non vedere l’odio. Odio che si è concentrato e si è condensato in maniera esagerata, direi parossistica, tra due popoli israeliano e palestinese. L’abbiamo lasciato crescere questo odio, senza renderci conto che poteva travolgere tutto e tutti. Non si può lasciare congelato un conflitto che va avanti da 75 anni, senza soluzioni. Non lo puoi ignorare e in questo “non guardare” c’è la responsabilità non solo dei due protagonisti, ma anche di altri: dei governi occidentali, dei Paesi arabi, della comunità internazionale. 

Lei è un membro della comunità di Sant’Egidio. “Per la Comunità di Sant’Egidio”, si legge nella presentazione della realtà, “conflitto e povertà sono strettamente connessi. La guerra è la madre di tutte le povertà, e distrugge il futuro di interi popoli. Le popolazioni civili sono le prime vittime del conflitto, schiacciate nella tenaglia di opposti schieramenti. Tra i civili i più colpiti sono i poveri che nessuno difende, spesso vittime della violenza di entrambe le parti. C’è in Sant’Egidio la convinzione spirituale che la guerra è un male, che non è un destino ineluttabile nella storia dell’umanità e che la pace è sempre possibile. Occorre trovare le vie per realizzarla anche quando queste sono tortuose. La forza che sorregge gli sforzi della Comunità è la volontà di pace dei popoli ostaggi della guerra e della violenza, che non trova sbocco nella mediazione politica”. 

Di solito si dice che sia la povertà a causare la guerra. Ma per noi questo è un automatismo che non funziona. È la guerra a creare povertà. Inoltre non tutti i Paesi poveri sono Paesi in guerra. La guerra non è uno strumento ne è la politica fatta con altri mezzi. La guerra si impossessa degli uomini e dei leader. Si tratta di una miccia facilissima da accendere e trasformarla in un incendio. Ma poi diviene difficilissimo spegnere quell’incendio. La guerra non funziona come gli interruttori della luce, chi lo pensa così s’illude. La guerra è il male in sé che cerca di perpetuarsi. 

Questa guerra sta distruggendo il futuro di israeliani e palestinesi. Ma – arrivati al punto in cui siamo – come si realizza la pace? Come spieghiamo ai familiari delle vittime israeliane, o ai bambini che vivono nella Striscia di Gaza o nei territori occupati della Palestina, che esiste un’alternativa alla violenza? Come facciamo a far diventare credibile questa narrazione agli occhi di chi ha davanti solo disperazione e morte? 

Tutto ciò si spiega con la storia degli ultimi 75 anni. Qualcuno dei due protagonisti ha avuto una qualche forma di soddisfazione? I palestinesi sono riusciti ad avere il loro Stato e vivere in pace? E gli israeliani sono più sicuri e senza paura? Non mi pare. Esiste allora un’alternativa alla violenza? Certo che esiste, bisogna raccontarla e praticarla. Questa guerra endemica a cosa ha portato? A nulla: oltre la violenza prodotta bisogna avere il coraggio di ammettere che è stata inutile. Nondimeno dobbiamo continuare a credere all’aspirazione profonda dei popoli alla pace. Nessuno vuole morire, da entrambe le parti. Le persone vogliono vivere in pace, e la guerra non è la soluzione. 

Che ruolo hanno i governi occidentali? Non le sembra che sia tutto un po’ sfociato nella “tifoseria da stadio” e si trattano le vite umane come numeri e invece le vittime sono persone che avevano una famiglia, una storia, dei sogni, prospettive per la loro vita?

I governi occidentali devono smetterla di distrarsi. Le guerre non risolte, riesplodono e poi tutto sfocia nella tifoseria da stadio. Ma non serve ora capire dove sta il torto e dove la ragione. Perché dopo 75 anni tutti hanno torto. I palestinesi hanno le proprie ragioni, come gli israeliani. Ma nessuno “ha ragione” in maniera assoluta. Nessuno può trovare l’origine delle ragioni dell’uno o dell’altro dentro la fog of war. Chi ha cominciato?”, “Di chi è la colpa?”. Sono domande che non hanno senso, visto che la volontà di guerra, di uccisione dell’avversario e di rifiuto della pace ha coinvolto tutti nell’ odio. I civili vengono rapiti, gli ospedali bombardati, e le vittime stanno sempre lì, e restano vittime. Ripeto: in una guerra che dura da 75 anni nessuno può avere ragione. 

Dobbiamo dire basta. Ma come tracciamo la strada, non per la fine, ma per l’inizio di un percorso nuovo?

Qui, per me, entra in gioco la politica. Dobbiamo coinvolgere nel dialogo i Paesi arabi e islamici che sostengono Hamas. Sono loro che possono ottenere qualcosa, un rovesciamento della situazione. Tutti gli ostaggi devono essere liberati. Poi la comunità internazionale deve chiedere un cessate il fuoco immediato. Serve un nuovo governo per i palestinesi, l’autorità nazionale palestinese è debole, non li rappresenta. Serve anche un governo unitario sia per il West Bank che per la Striscia di Gaza. Bisogna ripartire dai negoziati e dal progetto dei due Stati anche se sappiamo che non sarà facile. Il parlamento israeliano ne deve discutere approfonditamente. È la sola strada percorribile. 

Photo © Saher Alghorra/Avalon/Sintesi

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