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Gaza, l’ossessione di Israele

Dopo il blitz e la strage, sui giornali le analisi politiche

di Franco Bomprezzi

Continua il dibattito dai toni accesi sul blitz israeliano a bordo della nave che stava portando aiuti a Gaza, tentando di violare il blocco militare. Fa discutere la decisione italiana di votare contro la risoluzione dell’Onu che vuole, a maggioranza (con astensione di Francia e Gran Bretagna) un’indagine internazionale che accerti le responsabilità della strage. Molti i commenti e gli approfondimenti.

“Inchiesta su Israele, no dell’Italia”, annuncia il CORRIERE DELLA SERA nel titolo di prima pagina. Questa in sintesi la vicenda: «Sta diventando un caso internazionale. La risoluzione votata dal Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu  è condivisa in linea di principio dai Paesi aderenti. Ma ha avuto diverse defezioni sul metodo. La risoluzione chiede «l’invio di  una missione internazionale per indagare su violazioni del diritto internazionale» rispetto al blitz delle forze israeliane contro la flottiglia di pacifisti diretta a Gaza. Approvata da 32 dei 47 membri del Consiglio.  La Francia e il Regno Unito si sono astenuti.  Gli Stati Uniti si sono pronunciati contro. Come l’Italia. La  Farnesina ha sottolineato che non c’è stata «una posizione comune europea» a causa della posizione della Slovenia favorevole al testo dei palestinesi. L’Italia quindi ha votato contro in quanto  ritiene Israele «uno Stato democratico e perfettamente in grado di condurre un’inchiesta credibile e indipendente, il che non significa necessariamente internazionale».  Lo ha spiegato il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari». A pag 2 il CORRIERE illustra la posizione di Gerusalemme (“L’accusa di Netanyahu: «Una nave di terroristi»”): «Continueremo a difendere i nostri cittadini, è nostro diritto, nostro dovere» ha aggiunto il premier israeliano.  Secondo lui, «l’obiettivo della flottiglia non era  la pace e l’assistenza, ma forzare il blocco. Se fosse violato il blocco, vi sarebbero decine, forse centinaia di navi che approdano a Gaza». E questo, ha proseguito Netanyahu, è particolarmente pericoloso «perché la quantità di armi che può essere contrabbandata in una nave è molto maggiore di quello che si può portare in un tunnel». A pag 5 Lorenzo Cremonesi firma un bel pezzo dalla striscia di Gaza: “Gaza si prepara all’arrivo di altre navi. E Hamas ora spera nel grande rilancio”. Dice un infermiere: «Qui i pacifisti arrivano da due anni. Ma stavolta è diverso, stavolta può cambiare qualcosa», mentre un giornalista punta il dito contro le divisioni fra Abu Mazen e Hamas: «Noi giornalisti a Gaza abbiamo ben poca libertà di raccontarlo sui media locali. però è ovvio che le due parti rimangono profondamente divise…Non saranno ora certo poche navi di pacifisti stranieri a cambiare le cose». A pag 6, infine, due approfondimento: “La paura di essere solo al mondo. È questo lo sbaglio del mio amico Israele” di Bernard Henry-Levy e “Italia e comunità ebraica, duemila anni di amore e pregiudizi. La svolta cruciale del 1967” di Riccardo Calimani. 

LA REPUBBLICA sceglie il taglio centrale per la polemica sul voto alle Nazioni Unite: “Israele, no italiano alla richiesta dell’Onu”. Quattro pagine all’interno. Si comincia con Alberto Stabile che riferisce le posizioni di Netanyahu che ovviamente difende il blitz: il Marmara non era una Love boat ha detto, ma «una barca di odio, una flottiglia di fiancheggiatori di terroristi». Il loro obiettivo non era portare aiuti umanitari, ma spezzare l’embargo. Ergo: Israele non aveva altra scelta («se il blocco venisse forzato a Gaza arriverebbero centinaia di altre navi e si costituirebbe là un porto iraniano che rappresenterebbe una minaccia non soltanto per Israele ma anche per l’Europa»). Una posizione dura che non spiega come mai alla chetichella siano stati espulsi tutti i pacifisti, accusati di essere vicini ai terroristi. Quanto alle prove, nessun commento. I 6 italiani oggi arriveranno a casa.  Sul voto Onu, riferisce Vincenzo Nigro: l’organizzazione aveva chiesto di mettere ai voti l’ipotesi di aprire un’inchiesta sull’assalto israeliano alle navi pacifiste. L’Italia, assieme a Usa e Olanda, si oppone. Francia, Belgio e Gran Bretagna optano invece per l’astensione. Su 44 paese, 32 hanno votato a favore. Un diplomatico vicino a Frattini spiega così la decisione: «abbiamo condiviso l’idea che un’inchiesta gestita in quel modo da Comitato di Ginevra si sarebbe trasformata in un nuovo tribunale politico contro Israele». Diverso il parere dell’Idv e dei Verdi, il cui leader, Angelo Bonelli, dice: «il voto contrario è semplicemente scandaloso, non si comprende per quale motivo l’Italia si sia opposta all’inchiesta indipendente su un massacro avvenuto in acque internazionali». A concludere l’ampio spazio, l’analisi dello scrittore ebraico Amos Oz: “La flottiglia di Gaza e i limiti della forza ecco perché Israele si fida solo delle armi”. Comincia con una sorta di autocritica: «da vari decenni abbiamo noi  il potere di usare la forza. Ma è un potere che a lungo andare ci ha inebriato. A lungo andare immaginiamo di poter risolvere qualunque problema cui andiamo incontro usando la forza». «L’assedio israeliano alla striscia di gaza è una delle conseguenze negative di questo modo di pensare. Nasce dal falso presupposto che Hamas possa essere sconfitta con la forza delle armi… Ma Hamas non è solo un’organizzazione terroristica. Hamas è un’idea. Un’idea disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione di molti palestinesi…. L’unico modo che Israele ha per vincere su Hamas è stringere rapidamente un accordo con i palestinesi sull’istituzione di uno stato indipendente in Cisgiordania e nella striscia di Gaza in base ai confini stabiliti nel 1967».

Terroristi, punto e a capo. E’ questa la tesi su cui il quotidiano IL GIORNALE costruisce i servizi di pagina 12 e 13, coadiuvati dell’editoriale di Fiamma Nirenstein e un commento di Alessandro Meluzzi. «Lo scandalo che avvertiamo – scrive la Nirenstein – è per la mancanza di moralità, di integrità, di civiltà del mondo che ha subito dichiarato Israele criminale, riguarda il Consiglio di sicurezza dell’Onu, la commissione per i diritti umani, riguarda la corsa dei più svariati Paesi a dichiarare la loro disapprovazione per Israele: questo sì che è uno scandalo immenso, l’ondata di odio delle classi dirigenti europee e americane, della «main stream», della stampa internazionale con i titoli a tutta pagina eguali a condanne senza appello; l’odio soddisfatto degli accademici, degli studenti del movimento: un mucchio di paglia che aspetta solo che il fiammifero venga sfregato, divampa, e poi arriva miserevolmente a minacciare gli ebrei del ghetto di Roma».
Non meno schierata e definitiva è la cronaca dei fatti affidata a Gian Micalessin: «Ora è tutto chiaro. Ora anche l’ultimo tassello del trappolone costato la gogna internazionale ad Israele è evidente. Mentre in Israele l’intelligence indaga sull’identità di 50 misteriosi attivisti tutti senza documenti, ma tutti con in tasca qualche migliaio di dollari in biglietti dello stesso taglio, a Istanbul i giornalisti hanno già la risposta». E ancora Fausto Biloslavo ricostruisce le identità di alcuni “pacifisti” che fanno parte della Flotilla in “Ecco gli italiani amici di Hamas”: «Cosa ci fanno i padrini dei pacifisti, con sguardo orgoglioso, in una foto al fianco di Khaled Mashaal, il capo politico di Hamas, sulla lista nera del terrorismo palestinese?». Tesi di fondo, sempre quella: quelli arrestati non sono pacifisti, ma fiancheggiatori della causa palestinese se non veri e proprio terroristi. Chiude un articolo di spalla in cui il quotidiano diretto da Vittorio Feltri segnala un video israeliano da cui si evince che i soldati dello Tsahal non si aspettavano di incontrare una resistenza violenta, da cui la “necessaria” reazione dell’esercito israeliano. Insieme a un articolo di Sabrina Cottone sulla partenza di un’altra imbarcazione verso Gaza con l’intento di sfondare il blocco. Questa volta la barca si chiama Rachel Corrie, come la ventitreenne americana rimasta travolta da un bulldozer israeliano nella Striscia di Gaza nel marzo 2003, mentre faceva da scudo umano per impedire la demolizione di una casa. È un cargo che batte bandiera irlandese e porta milleduecento tonnellate di aiuti, più quindici attivisti, tra cui la premio Nobel Mairead Corrigan Maguire. Basti il titolo del pezzo per intuirne il taglio: “E i “pacifisti” sono già pronti a riprovarci”.

«Guai ai vinti» è questa la frase scelta come titolo d’apertura da IL MANIFESTO a sfondare sulla foto della nave irlandese “Rachel Corrie” che si appresta a forzare il blocco, con a bordo la Nobel per la pace Mairead Maguire. Il richiamo che rimanda alle quattro pagine che IL MANIFESTO dedica al tema spiega: «”Viviamo in Medio Oriente, un luogo dove non c’è pietà per i deboli”. Il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak rivendica il blitz contro la Freedom Flottilla e conferma il blocco navale a Gaza. Si teme una nuova prova di forza contro la nave Rachel Corrie (la pacifista uccisa in Palestina). Gli attivisti scarcerati: “Picchiati e tenuti in isolamento”…». Maurizio Matteuzzi firma il commento in prima pagina «L’Italia coi vincitori» dove si legge: «Vae victis, guai ai vinti. Lo disse,  con una frase destinata a fare epoca, Brenno, il capo dei Galli che aveva conquistato Roma nel 390 avanti Cristo o giù di lì. Da allora nel corso della storia molti altri, vincitori e vinti, hanno ripetuto e praticato quell’anatema. Ieri 25 secoli dopo è toccato a Ehud Barak (…)» e continua, dopo aver analizzato la situazione israeliana, commentando la situazione italiana: «Il ministro degli esteri italiano Franco Frattini, nella sua inconsistente frivolezza, è l’incarnazione del perfetto alleato di Israele (…) L’Italia è stato l’unico paese dell’Occidente a non chiedere la liberazione immediata e senza condizioni dei sei italiani sequestrati a Beersheva – forse perché quegli italiani della “Freedom flottilla” come i tre italiani di Emergency sequestrati in Afghanistan puzzavano di sinistra – e il serafico Frattini “si augurava” al massimo il loro rilascio». Matteuzzi conclude «(…) Frattini è il ministro degli esteri che l’Italia si merita».
 
IL SOLE 24 ORE dedica alla crisi mediorientale la pagina 15. “Inchiesta internazionale su Israele” è il titolo dell’apertura, con al centro la risoluzione del Consiglio dei diritti umani Onu, risoluzione a cui Usa e Italia hanno detto no (gli altri paesi europei si sono astenuti). Di spalla un reportage da Rafah, nella striscia, di Roberto Bongiorni, “La sposa mariam in fila al valico della speranza”: «Da quando Hamas, con una violenta guerra civile, ha estromesso le forze di Fatah dalla Striscia di Gaza, nel giugno del 2007, l’Egitto apre il valico con il contagocce (circa una volta ogni due mesi). Al di là di sporadici aiuti umanitari e urgenti casi medici, l’embargo  israeliano è quasi impenetrabile.  Vivere sotto embargo, lavorare sotto embargo,  sposarsi sotto embargo. La vita per i palestinesi  di Gaza è divenuta molto dura.  La comunità internazionale parla di crisi umanitaria, Israele lo nega. A Gaza non si muore di fame, ma l’economia è al collasso,  la disoccupazione ha raggiunto  tassi del 60%, e otto abitanti  su dieci vivono di aiuti. “Qualche attività privata esiste, ma usare la parola economia è scorretto – spiega Omar Shaban,  noto economista, indipendente –  perché economia significa  confini aperti, libera circolazione  di mezzi e persone, industrie,  servizi, produttività. Come possiamo  parlare di crescita quando il 90% dei prodotti disponibili  a Gaza proviene dai tunnel del contrabbando ai confini con l’Egitto?”». A piede un ritratto di uno degli italiani della Freedom Flottilla, “Fallis, tenore e anarchico da Pinelli al concerto di Gaza”: «Il “tenore anarchico” oggi dovrebbe  essere rimpatriato in Italia con gli altri cinque attivisti  italiani  che hanno partecipato alla Flottiglia della libertà, ma due anni  fa è riuscito a raggiungere la meta. A bordo della Dignity, nave  della seconda spedizione di Free Gaza, Fallisi stabilisce un primato: è “l’unico cantante lirico  al mondo ad avere avuto la possibilità, il piacere e l’onore di cantare al teatro Shawa di Gaza City” ricorda in un’intervista. (…)  Fallisi considera Gaza la sua famiglia,  i Gazawi i suoi fratelli e scrive  cinque canzoni per la Palestina:  Verrà (già incisa), Gaza vivrà, Life Line, O Madre Palestina, Fino all’ultimo  giorno.   L’attivista-cantante della flottiglia  diventa anarchico a 21 anni e tenore a 22. Nel 1981 rielabora, amplia e  mette in musica “La ballata del Pinelli” scritta nel 1970 poche  settimane dopo i funerali dell’anarchico Giuseppe Pinelli».

AVVENIRE apre con le parole del Papa “Violenza genera violenza”. L’editoriale di Andrea Lavazza “Se fosse Israele ad invocare piena chiarezza” osserva come «anche di fronte alla tragedia della «Mavi Marmara» viene riconfermata quella che si può definire l’unicità di Israele nello scenario internazionale». Unicità che risulta essere per il giornalista «l’”impossibilità” per lo Stato ebraico di essere un attore “normale” delle relazioni tra Paesi e popoli. Un’impossibilità drammatica, oggettiva e soggettiva». Impossibilità oggettiva perchè «Israele è probabilmente l’unico Paese che non solo è nel mirino dei terroristi e minacciato militarmente da Stati sovrani (come accade ad altri nel mondo), ma è anche tanto odiato da avere incombente la promessa di leader fanatici di cancellarne la presenza dalle carte geografiche. Senza poi dimenticare che l’antisionismo che colpisce l’entità politica si salda all’antisemitismo che s’abbatte sugli ebrei in quanto tali, con la loro fede e la loro cultura. E quindi non è consentito a chi vive “circondato” di abbassare la guardia e sottovalutare qualsiasi potenziale pericolo». Impossibilità soggettiva invece perchè «la coscienza della propria storia recente, a sua volta tragicamente eccezionale, e della propria situazione attuale ha reso i governanti e i generali di Israele (spesso i secondi diventati i primi) determinati a conservare quell’unicità come condizione permanente e modus operandi, funzionali al proprio scopo primario, quello della sicurezza». Una situazione che «crea di riflesso una sorta di moltiplicatore negli atteggiamenti e nelle scelte di tutti coloro che si trovano a interagire con Israele. Come se gli “amici” non potessero che manifestare sempre iper-indulgenza, anche di fronte a una vicenda in cui il torto sembra stare dalla parte di Tel Aviv, e coloro che “amici” non sono dovessero necessariamente preferire dittatori alla democrazia ebraica e attribuire a essa ogni nefandezza». E infatti nelle votazioni all’Onu si è rispettato il copione con gli stati “nemici” a chiedere l’indagine e quelli “amici” a rifiutarla. Secondo Lavazza «Per una volta potrebbe essere Israele a rompere lo schema dei riflessi condizionati e a dare piena collaborazione a un’investigazione indipendente. Ammettere un eventuale eccesso di uso della forza – invece di accusare le vittime – sarebbe, oltre che ulteriore prova di adesione ai valori delle democrazie, anche un modo per rompere quell’”unicità” che non pare nel lungo periodo giovare alla sua causa. Che, bene intesa, è anche la causa del mondo libero». Mimmo Muolo firma “Benedetto XVI: la violenza genera soltanto violenza” che riassume l’intervento del Papa sull’assalto alla nave pacifista «cordoglio per le vittime. Preoccupazione per la pace. Rifiuto della violenza e nuovo appello a quanti hanno responsabilità politiche affinché ricerchino soluzioni giuste per tutti».    

Il dramma della Freedom Flotilla sempre in primo piano su LA STAMPA di oggi da pagina 4 a pagina 7. Dopo il rilascio di tutti gli attivisti da parte di Israele, il premier Netanyahu conferma la volontà di non togliere il blocco di Gaza e in diretta tv afferma che «se il blocco marino fosse forzato arriverebbero decine, centinaia di altre navi». Grande risalto anche alla posizione dell’Italia che dice “no” all’Onu sulla richiesta di una missione internazionale d’inchiesta sul blitz israeliano. Il nostro Paese ha votato no insieme a Usa e Olanda, mentre Francia, Inghilterra e Belgio si sono astenuti. Deluso l’europarlamentare sloveno Ivo Vaigl che giudica “inspiegabile” il voto contrario, mentre Margherita Boniver, parlamentare Pdl e presidente del Comitato Schengen, sostenendo che Israele è una democrazia e non ha bisogno di ispettori, ha dichiarato: «Sono molto fiera della decisione italiana: è ferma e chiara, in un momento di confusione dei Paesi Ue, incapaci di trovare una posizione comune». Lo scrittore Aharon Appelfeld, intervistato da Alain Elkann, si dice «preoccupato per questa condanna unanime da tutti gli Stati del mondo. Io penso che la gente intelligente – aggiunge – sappia bene qual è la situazione di questo Paese, quanto sia complicata e abbia colori diversi. Non si possono usare le categorie del bianco o nero, dei buoni o cattivi». A pagina 6 viene ricordato invece  “Il giallo dei morti” tra gli islamisti turchi: i corpi senza identità recuperati dopo il blitz alla nave Marmara potrebbero essere di jihadisti forse venuti dalla Bosnia. Infine un reportage di Francesca Paci da Rafah racconta la realtà dei disperati al valico di Gaza: dopo l’apertura del confine con l’Egitto, sono centinaia i palestinesi accalcato in entrata e in uscita dalla zona. 

E inoltre sui giornali di oggi:

BERLUSCONI
LA REPUBBLICA – Editoriale di Ezio Mauro intitolato “La menzogna”. Durante l’ultima puntata di Ballarò, il premier ha telefonato per bollare come fasulli i sondaggi di Pagnoncelli e per difendere la legge contro le intercettazioni. «L’accusa all’Ipsos e a Pagnoncelli è la conferma di una visione totalmente ideologica del Paese e della politica, dove non c’è spazio per l’irruzione della verità e i sondaggi non certificano l’immutabilità perenne del consenso e del comando sono automaticamente “fasulli”» (nelle pagine interne LA REPUBBLICA mostra un nuovo sondaggio che conferma quello dell’Ipsos. Secondo Ilvo Diamanti, il cavaliere è solo, poco credibile quando chiede sacrifici dopo aver negato la crisi).

SCUOLA 
IL MANIFESTO – Si parla della “Stangata”, così il capopagina dedicato alla manovra che punta l’obiettivo sulla scuola: «Il governo penalizza l’istruzione. Gli insegnanti perdono l’11%» perché sottolinea ancora IL MANIFESTO «È la scuola a pagare il conto più salato del risanamento. Ai tagli già previsti, si aggiungono ora pesanti decurtazioni agli stipendi. L’orizzonte della manovra è la precarietà di massa. Come per i “socialmente utili” che fanno funzionare enti locali altrimenti fermi. Anche per questo, sabato 5, manifestazione nazionale a Roma dei sindacati di base», nell’articolo si osserva «Tanto rumore per nulla, insomma. A conti fatti, e tabelle alla mano, è chiaro chi sarà a pagare la crisi. Dipendenti pubblici ma anche privati (…). E la politica? E il grido di Calderoli sugli stipendi dei parlamentari da tagliare? Finisce più o meno a tarallucci e vino (…)».

AMBIENTE
LA STAMPA –  A pagina 13 un lungo articolo intitolato “Con i tagli spariscono gli sconti per la casa verde” spiega che ha i giorni contati la detrazione fiscale del 55% per rendere la casa eco-compatibile con una caldaia di ultima generazione o con i pannelli solari sul tetto. Spulciando la manovra finanziaria gli ambientalisti del Pd Stella Banchi e Fabrizio Vigni hanno notato che lo sgravio non è stato rifinanziato e se il governo non provvederà in tempo, l’agevolazione introdotta nel 2007 scadrà il 31 dicembre. Insorge anche il ministro Prestigiacomo dicendo che la green economy è il futuro.

RAI
ITALIA OGGI – “Masi dimezza le auto blu in Rai”. Anche la Rai deve fare dei sacrifici. Soprattutto dirigenti e conduttori. «Il direttore generale Diego Masi scrive ITALIA OGGI, «ha deciso che il buon esempio partirà dall’alto e dunque si comincerà dalle auto blu di cui la Rai fa largo consumo». Secondo quello riportato dal pezzo, il d.g. taglierà le auto blu del 50%. Nel pezzo, anche una interessante panoramica sul parco delle auto blu dei sistemi pubblici delle più importanti nazioni al mondo. Considerando che in Usa sono 72 mila, e in Germania 54 mila, con oltre 600 mila auto blu, scrive ITALIA OGGI, «l’Italia rappresenta uno scandalo mondiale».

I PHONE
CORRIERE DELLA SERA – Bel pezzo di Massimo Gaggi sulla Foxconn di Shenzen dove con turni massacranti e misere paghe si producono gli I-Phone: «Dall’inizio dell’anno 11 dipendenti dell’azienda di Taiwan che opera in Cina 11 dipendenti si sono tolti la vita gettandosi dai piani alti dei dormitori e altri due hanno cercato di suicidarsi senza riuscirci». L’azienda di Taiwan che opera in Cina è considerato il più grande contractor tecnologico del mondo. Questo il commento di Steve Jobs fondatore della Apple dal canto suo non ha esitato a difendere a spada tratta il suo fornitore. 

LOTTA AL TERRORISMO
IL SOLE 24 ORE – Segnalo l’esordio di Christian Rocca, passato dal Foglio al SOLE (fortemente voluto da Gianni Riotta). “Il drone può vincere la guerra sporca”, è il titolo del pezzo: «Uno dei pilastri della guerra asimmetrica  di Barack Obama ad al-Qaeda e ai  talebani è l’uso clandestino dei droni da parte della Cia, gli aerei senza pilota con cui Washington elimina estremisti e terroristi  in Pakistan, in Somalia e nello Yemen. Ora la strategia militare antiterrorismo della Casa Bianca è al centro di una contesa politica  e giuridica che avrà questa mattina una sua rappresentazione ufficiale nel corso della  14ª sessione del Consiglio dei diritti umani  Onu di Ginevra. Lo Special Rapporteur sulle esecuzioni extragiudiziali delle Nazioni  Unite, Philip Alston, ha preparato un rapporto  dettagliato contro le numerose uccisioni mirate eseguite dalla Cia per conto della  Casa Bianca con una richiesta al governo americano di abbandonare il programma antiterrorismo perché considerato in violazione delle  leggi di guerra internazionali. (…)  Il paradosso  è che gli obamiani per giustificare la continuazione della guerra al terrorismo – espressione ora ufficialmente bandita dal gergo burocratico di Washington – si affidano  all’architettura giuridica creata dagli avvocati  della Casa Bianca di Bush e fondata, subito dopo l’11 settembre,sull’autorizzazione del Congresso  a usare la forza militare. (…) In totale sarebbero  circa 500 le persone uccise dai missili  sganciati dai Predator e dai Reaper e gli analisti si dividono sulla percentuale di leader,  di militanti e di civili uccisi. (…) La guerra segreta di Obama funziona. Un paio di giorni fa si è avuta notizia che in un attacco di metà maggio è stato ucciso il numero  3 di al-Qaeda, Mustafa Abu al-Yazid, ma sui giornali e nei seminari dei centri studi  di Washington non mancano le analisi di chi sostiene che la guerra con i droni costituisca  un formidabile volano di reclutamento per i terroristi.»

MAREA NERA
CORRIERE DELLA SERA – Titolo di pag 22: “Marea, Bp chiede aiuto a mister Avatar”. Nel pezzo pubblicato ieri sulla versione on line del quotidiano però si sostiene esattamente il contrario di quanto descritto dal titolo del servizio di Guido Olimpio: «L’Agenzia di protezione ambientale ha invitato a una tavola rotonda a Washington insieme a scienziati, ingegneri, oceanografi ed esperti anche James Cameron, regista canadese di Titanic e The Abyss. La presenza del regista, interpellato in quanto esperto di tecnologie sottomarine, ha provocato l’ironia negli organi d’informazione americani.  «Per fortuna che c’è Cameron che viene in aiuto della presidenza Obama», ha commentato l’editorialista del New York Times, Maureen Dowd, ironizzando sul destino del «candidato che camminava sulle acque» e che adesso è «travolto da una crisi sott’acqua». Ironia forse fuori luogo, in quanto  Cameron è un appassionato della materia al punto da avere una flotta di mini-sommergibili, piattaforme da esplorazione e robot marini valutati 400 milioni di dollari che nei giorni scorsi ha messo a disposizione della Bp.  Ma la Bp ha rifiutato la sua offerta di aiuto. «In queste ultime settimane ho visto, come tutti noi, con crescente orrore e angoscia, quel che sta accadendo nel Golfo e ho pensato che questi imbecilli non sanno quello che fanno», ha detto il regista che non ha chiarito cosa volesse intenedere con il termine «imbecillli». Cameron ha raccontato che l’offerta di dare aiuto alla Bp e al governo Usa è stata «gentilmente» liquidata dal colosso energetico britannico. «Conosco gente davvero, davvero in gamba che lavora a profondità decisamente superiori a quella in cui si trova il pozzo (un chilometro e mezzo circa sotto il livello del mare); e pur riconoscendo che i suoi contatti nel settore non riguardano tecnici di perforazione petrolifera, ha detto che molti sono abituati a lavorare con veicoli subacquei e sistemi elettronici di fibra ottica».

CONDIZIONE FEMMINILE
ITALIA OGGI – «C’è una pasionaria del velo» è il titolo dell’articolo che ITALIA OGGI

dedica a Rowdha Yousef, la 39 enne che in Arabia Saudita ha lanciato la campagna «Il mio tutore sa che cosa è meglio per me» contro le donne che chiedono più diritti. «A lei non va giù questa smania di chiedere il diritto di guidare l’auto, di poter scegliere se indossare o meno il velo, di lavorare senza il permesso del consorte», scrive Elisabetta Iovine. La sua petizione «rifiuta le richieste ignoranti di chi incita alla libertà, domandando addirittura punizioni per chi vuole l’uguaglianza». La Youssef afferma che «le sostenitrici delle riforme sono influenzate dalle correnti di pensiero occidentali che , però non capiscono le necessità e le credenze delle donne saudite». Dalla pagina degli esteri di ITALIA OGGI: «In Germania le lavoratrici prendono il 23% in meno», titolo dell’articolo di taglio basso. Roberto Giardina riferisce di una «indagine di settore» che vedrebbe la Germania agli ultimi posti per la discriminazione tra i sessi e l’Italia ai vertici: «Qui le donne che lavorano guadagnano appena il 4,9% dei signori uomini». Peggio della Germania «solo in Austria (26%), Repubblica Ceca (26,2%) e Estonia (30,3%)».

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