Medio Oriente
Gaza, l’evacuazione di Rafah avrà conseguenze disastrose
A Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, sono rifugiate oltre un milione di persone. «Costringere i palestinesi ad evacuare senza una destinazione sicura non solo è illegale, ma porterebbe a conseguenze catastrofiche. La comunità internazionale deve agire rapidamente per prevenire ulteriori atrocità», denuncia l'organizzazione umanitaria ActionAid
di Anna Spena

L’esercito israeliano ordina di evacuare Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza. Ma è lì dove si sono rifugiate 1,2 milioni di persone. Prima del sette ottobre ci vivevano in 250mila. Di conseguenza, Rafah (20mila persone per km2) è quasi due volte più densamente popolata di New York City (11mila persone per km2). Circa la metà della popolazione è costituita da bambini, molti dei quali sono stati sfollati più volte e si rifugiano in tende o in alloggi informali.
«Rafah adesso è una città di bambini, che non hanno un luogo sicuro in cui andare a Gaza. Se inizieranno le operazioni militari su larga scala, non solo i bambini saranno esposti a rischio di violenza, ma anche di caos e panico, in un momento in cui lo stato fisico e mentale è già debole», denuncia Catherine Russell, direttrice generale dell’Unicef. «Centinaia di migliaia di bambini che sono adesso a Rafah sono feriti, malati, malnutriti, traumatizzati o vivono con una disabilità. Molti sono stati sfollati diverse volte e hanno perso case, genitori e cari. Hanno bisogno di essere protetti insieme ai servizi rimanenti da cui dipendono, comprese strutture mediche e rifugi».
È stato il Gabinetto di guerra di Israele ad approvare all’unanimità l’operazione di terra a Rafah. Per ora l’avvertimento ai civili palestinesi riguarda la parte est di Rafah. «Costringere oltre un milione di palestinesi sfollati a evacuare senza una destinazione sicura non solo è illegale, ma porterebbe a conseguenze catastrofiche. I nostri operatori umanitari segnalano alcune delle condizioni più gravi degli ultimi tempi, con malattie diffuse, fame e caos. Vogliamo essere chiari: non esistono zone sicure a Gaza. La comunità internazionale deve agire rapidamente per prevenire ulteriori atrocità e chiedere conto a sé stessa, oltre che al governo israeliano, della propria incapacità di intervento. Se l’invasione di Rafah è la nostra “linea rossa”, saremo capaci di fare tutto il possibile per fermare questo attacco imminente?», denuncia l’organizzazione ActionAid.

La rivista dell’innovazione sociale
Disponibile anche in formato digitale.
Per leggerci tutto l’anno, ovunque e su ogni device.

«L’offensiva militare di Israele a Rafah potrebbe portare alla fase più letale di questo conflitto, infliggendo orribili sofferenze ai civili sfollati nell’area», spiega Jan Egeland, segretario generale del Consiglio norvegese per i rifugiati. «Gli ordini di trasferimento emessi oggi da Israele a migliaia di gazesi, con la disposizione di trasferirsi ad Al-Mawasi, sono oltremodo allarmanti. L’area è già sovraccarica e priva di servizi vitali. Non ha la capacità di ospitare il numero di persone che attualmente cercano rifugio a Rafah, senza alcuna garanzia di sicurezza, di una sistemazione adeguata o di ritorno una volta terminate le ostilità per coloro che sono costretti a trasferirsi. L’assenza di queste garanzie fondamentali di sicurezza e di ritorno, come richiesto dal diritto umanitario internazionale, qualifica le direttive di Israele sul trasferimento come trasferimenti forzati, che equivalgono a una grave violazione del diritto internazionale. Qualsiasi operazione militare israeliana a Rafah – che è diventato il più grande agglomerato di campi di sfollati al mondo – causerà potenziali atrocità di massa».
Credit foto: AP Photo/Fatima Shbair
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.