Medio Oriente

Gaza, la tregua umanitaria può fare la differenza tra la vita e la morte

Slittata di un giorno la tregua tra Israele e Hamas. Tra i punti principali il rilascio di 50 ostaggi israeliani e l’ingresso di più tir con beni essenziali all’interno della Striscia. Tra i quali, anche se non è stato ancora confermato, anche una quantità limitata di carburante che però: «è un bene salvavita», spiega Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Serve soprattutto a rimettere in funzione gli ospedali: una settimana fa siamo stati costretti a chiudere quello di Gaza City. Non ci sono solo i feriti di guerra, ma persone che malate lo erano già prima: senza cure muoiono tutti»

di Anna Spena

Sono tutti in attesa. I civili stremati della Striscia di Gaza, i 240 ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, ferocemente rapiti lo scorso sette ottobre durante l’attacco dell’organizzazione terroristica. Sono in attesa, oltre i valichi di frontiera chiusi, le loro famiglie. In attesa che la tregua umanitaria, con il cessate il fuoco, richiesto dalla comunità internazionale e della società civile di tutto il mondo, non fanno eccezione quella palestinese e quella israeliana, finalmente diventi da parole a fatto concreto.

Dopo settimane drammatiche, Israele e Hamas, con la mediazione del Qatar sostenuto da Egitto e Stati Uniti, hanno raggiunto un accordo. Una tregua di quattro giorni per permettere l’ingresso, tramite il valico di Rafah, al confine con l’Egitto, di aiuti umanitari per sostenere la popolazione di Gaza e lo scambio di 50 ostaggi israeliani con 150 detenuti palestinesi. Un accordo che sarebbe dovuto partire questa mattina, giovedì 23 novembre, e che sembrerebbe essere stato posticipato a domani 24 novembre. Al valico di Rafah gli aiuti umanitari sono pronti per essere trasportati dall’altra parte del confine. «Attendo con ansia l’attuazione della pausa umanitaria e spero che porti a un cessate il fuoco umanitario a più lungo termine, per il bene della popolazione di Gaza, di Israele e non solo», dichiara Martin Griffiths, sottosegretario generale dell’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) e coordinatore degli aiuti di emergenza. «Le agenzie umanitarie sono mobilitate e pronte ad aumentare il volume degli aiuti portati a Gaza e distribuiti nella Striscia».

Quanti, cosa, e come passano gli aiuti umanitari

«In questo momento è difficile fare una previsione sulla quantità di beni che riusciranno ad essere trasportati», spiega Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Stiamo capendo come funzionerà la tregua, mancano ancora dei dettagli nella comunicazione. Però possiamo dire con certezza quello che siamo pronti a fare e quello che è necessario fare. Sono settimane che chiediamo un cessate il fuoco, perché se non si fermano i combattimenti, la protezione dei civili diventa molto complessa. Se non si fermano i bombardamenti è difficile creare uno spazio umanitario. Da quello che abbiamo visto nell’ultimo mese e mezzo possiamo affermare che nella Striscia di Gaza nessun luogo si può considerare un luogo sicuro. E dobbiamo anche ricordare che con i suoi due milioni e 300mila abitanti, in uno spazio di poco più di 300 chilometri quadrati, la Striscia è uno dei posti più densamente popolati al mondo». Una volta partita la tregua, dal Valico di Rafah, passeranno tir umanitari carichi di cibo, acqua potabile, medicine. «Una questione da non sottovalutare», continua Della Longa, «è che sta arrivando l’inverno anche lì. Sono centinaia e centinaia le case distrutte, oltre un milione e mezzo gli sfollati interni. Dobbiamo affrontare, dal punto di vista umanitario, anche l’emergenza freddo, quindi far arrivare nella Striscia coperte e tende». Dalla fine di ottobre, quando è stato concesso l’ingresso di qualche camion umanitario (ma che non conteneva rifornimento di carburante)  sono riusciti ad entrare nella Striscia solo «circa 1220 tir», dice Della Longa, «un numero simbolico. Basti pensare che prima del sette ottobre ne passavano dai 400 ai 500 al giorno, che trasportavano anche carburante e alcuni beni commerciali». 

Gli aiuti non mancano

L’abbiamo spiegato diverse volte: gli aiuti passano solo dal Valico di Rafah. L’Egitto è diventato un hub di coordinamento per gli aiuti umanitari. L’unica realtà che ha il permesso esclusivo sul trasporto attraverso il Sinai è la Mezzaluna rossa egiziana. Ora la Mezzaluna rossa egiziana è per la cooperazione internazionale l’interlocutore più importante. L’unica città del nord dell’Egitto, più vicina al valico, e dotata di un aeroporto e di un porto, è Al-Arish. Diversi beni arrivano lì e poi vengono trasportati fino al valico. «La macchina logistica è molto ampia», spiega Della Longa. «La mezzaluna rossa egiziana si occupa dei siti degli aiuti, ma gli aiuti non arrivano solo dalla Croce Rossa e dalle Nazioni Unite. Anche perché da sole non risolverebbero il problema. Tutto il settore umanitario, tutte le ong, tutto il mondo della cooperazione, sono pronti a far entrare in maniera massiccia gli aiuti di cui la popolazione ha estremamente bisogno. La preoccupazione non è sulla quantità, ma sulla possibilità di portarli all’interno della Striscia e una volta dentro di raggiungere le comunità di Gaza, soprattutto quelle al Nord, che sono completamente tagliate fuori a causa dei pesantissimi bomabrdamenti e combattimenti. Speriamo soprattutto nell’ingresso e nella distribuzione del carburante».

Perché il carburante è un bene salvavita

Il carburante per la popolazione di Gaza è – a tutti gli effetti – un bene salvavita. «Un bene fondamentale», spiega Della Longa. «Non solo serve alle ambulanze per spostarsi e trasportare feriti, o ai camini che trasportano gli aiuti a procedere con la distribuzione. Nella Striscia di Gaza il carburante serve anche ad alimentare i generatori dell’elettricità che significa, tra l’altro, avere la possibilità di potabilizzare l’acqua e desalinizzarla. Senza carburante la popolazione non ha acqua. Il carburante serve anche a rimettere in piedi gli ospedali…».

Gli ospedali

Quello degli ospedali è «un circolo vizioso», come lo chiama Della Longa. Nella Striscia di Gaza, prima del sette ottobre, c’erano 56 strutture sanitarie: oggi oltre la metà è fuori uso. «Durante la guerra il primo pensiero va ai feriti del conflitto. Ma ci sono tante persone che malate lo erano già prima del sette ottobre. Chi ha il diabete e non ha l’insulina, muore. Chi ha bisogno di fare la dialisi, e non può fare la dialisi, muore, chi ha un tumore e non può fare la chemioterapia forse non morirà dopo aver saltato un ciclo, ma comunque aumenteranno le possibilità che lo porteranno a un decesso. Le strutture sanitarie servono a tutti, e nella Striscia di Gaza le strutture sanitarie sono collassate». La Mezzaluna rossa palestinese gestiva due ospedali: «Una settimana fa siamo stati costretti a chiudere quello di Gaza City, l’ospedale Al Quds. Era circondato dai combattimenti, l’area continuava – e continua – ad essere pesantemente bombardata. Non avevamo più nè medicine, nè acqua, nè cibo. Non ce le avevamo neanche per i nostri medici. Siamo fortunatamente riusciti ad evacuare tutti nel nostro altro ospedale a Sud della Striscia, a Khan Younis, che è più sicura del Nord, ma comunque non è sicura. E in questo ospedale da una settimana si lavora senza elettricità, si operano i pazienti alla luce di lampade portatili. Può un medico lavorare così? Può un pronto soccorso essere operativo così? Gli ospedali aperti e chiusi, gli ospedali funzionanti e non funzionanti fanno la differenza tra la vita e la morte per migliaia di persone».


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La tregua

«Speriamo solo che inizi», chiosa Della Longa, «speriamo che gli ostaggi vengano liberati presto e che l’ingresso degli aiuti possa portare – anche se minimo – un po’ di sollievo alla popolazione di Gaza. La Mezzaluna Rossa palestiense ha lavorato incessantemente in queste settimane. Ma a Gaza ci sono delle aree che sono sotto bombardamenti continui e questo significa che migliaia di persone che non ricevono nessun aiuto. Siamo arrivati a questa situazione paradossale in cui, in qualche modo, ci sentiamo felici se riusciamo ad evacuare almeno i feriti e il personale dal Nord al Sud della Striscia. Ma questo significa una sola cosa: che gli ospedali continueranno a chiudere e che centinaia di migliaia di persone non avranno più accesso alle cure».

Credit foto: profilo Twitter Mezzaluna Rossa palestinese

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