Dalla Striscia

Gaza, la protesta anti-Hamas prende coraggio

Da due giorni centinaia forse migliaia di cittadini palestinesi, soprattutto nel Nord, esprimono dissenso verso il governo del gruppo terroristico. Ma per Catherine Cornet, ricercatrice di SciencesPo, «è davvero difficile ipotizzare che dietro questi episodi ci sia un qualche tipo di organizzazione» mentre per Luigi Toninelli, Ispi, «il dissenso è noto: colpisce che si manifesti pubblicamente»

di Francesco Crippa

Per il secondo giorno consecutivo nella Striscia di Gaza si sono registrate proteste contro Hamas. Si tratta di episodi circoscritti che però testimoniano un sentimento negativo nei confronti del gruppo che finora era rimasto per lo più latente.

«In questo momento è molto difficile capire cosa pensino i palestinesi di Hamas», precisa a VITA Catherine Cornet, ricercatrice esperta di Medio Oriente a SciencesPo e scrittrice per vari giornali italiani e francesi. «Dopo il 7 ottobre molte persone si sono riavvicinate ad Hamas per ragioni di nazionalismo, sotto la spinta della guerra, ma non per ragioni ideologiche. Il consenso, quindi, è rimasto debole. L’unica cosa certa è che i palestinesi non vogliono continuare la guerra».

La ricercatrice di SciencesPo, Catherine Cornet:
«Gente esasperata, non sa più dove sfollare»

Le proteste sono iniziate martedì 25 marzo. La maggiore è stata a Beit Lahia, nel nord della Striscia, «una delle città più martoriate di tutte», spiega Cornet. Diverse centinaia di persone, qualcuno parla di migliaia, hanno sfilato tra le macerie intonando slogan come «Hamas fuori, fuori» e «Il popolo vuole l’allontanamento di Hamas». Secondo Cornet, si tratta di una «reazione super epidermica» dovuta al fatto che la popolazione di Beit Lahia è esasperata. L’esercito israeliano, infatti, aveva chiesto un’evacuazione per procedere con un nuovo bombardamento in risposta a un lancio di missili verso Israele effettuato da Hamas nelle ore precedenti. Ma, sottolinea la ricercatrice, «la popolazione chiede di smettere di sparare razzi verso Israele perché non sa più dove sfollare».

Qui un video dal profilo del cristiano-palestinese originario di Ramallah, Ihab Hassan.

Sebbene episodi simili siano rari nella Striscia, esistono dei precedenti rilevanti. Gli slogan intonati, per esempio, «sono un chiaro riferimento alle manifestazioni del 2019 del movimento Bidna Na’eesh [Vogliamo vivere, ndr]», nota Cornet. «Quella fu una delle più importanti proteste contro Hamas: si alzava la voce contro le condizioni economiche, imputando al gruppo la colpa di pensare più alla guerra che alla vita delle persone».

Altre proteste ci sono state nei campi profughi di Jabalia e a Khan Yunis, mentre il 26 marzo alcuni decine di cittadini di Gaza City sono insorti nel quartiere Shejaiya. Cornet esclude che dietro ci possano essere macchinazioni politiche. «È davvero difficile ipotizzare che dietro questi episodi ci sia un qualche tipo di organizzazione», commenta. «Anche perché», aggiunge, «sotto questa doppia occupazione, israeliana da un lato e di Hamas dall’altro, è molto complicato sia organizzare una protesta che riuscire a far espandere un movimento di questo tipo».

Dal canto suo, il ministro della Difesa di Tel Aviv, Israel Katz, ha provato a soffiare sul (timido) fuoco, invitando la popolazione gazawa a imitare chi è sceso nelle strade: «Chiedete la rimozione di Hamas da Gaza e il rilascio immediato di tutti gli ostaggi israeliani. È l’unico modo per fermare la guerra». Anche l’Autorità nazionale palestinese – Anp ha provato a mettere il cappello sulle proteste. «Le manifestazioni nella Striscia di Gaza sono un grido dei residenti contro le politiche di Hamas», ha detto il portavoce di Mahmoud Abbas, presidente dell’Anp e leader del partito laico Al-Fatah.

Toninelli (Ispi): «Non sorprende il dissenso
ma la sua manifestazione»

Il sostegno di cui godono, dentro la Striscia, l’Anp e Fatah, è però molto debole. «Secondo l’ultimo rapporto, di settembre, del Palestinian Center for Policy and Survey Research – Pcpsr, il consenso dei palestinesi verso l’Anp è solo del 20 per cento», spiega Luigi Toninelli, ricercatore dell’Ispi. «La vedono come un’entità corrotta e troppo asservita ai dettami israeliani», osserva.

Lo scoramento emerso in questi giorni, dunque, non è interpretabile come la richiesta di un passaggio dal regime di Hamas al governo dell’Anp, ma solo come un dissenso verso la politica del gruppo terroristico. «Quello che sorprende di queste manifestazioni non è tanto il dissenso, perché il report del Pcpsr aveva segnalato che solo il 39 per cento dei palestinesi supportava Hamas, in calo del 10 per cento rispetto al rilevamento precedente. È sorprendente, piuttosto, il fatto che abbiano voluto manifestarlo apertamente».

Nella foto di apertura, di Felipe Dana per AP Photo, parata delle milizie di Hamas nel 2021. Siamo esattamente a Beit Lahia, teatro delle proteste pacifiste di questi giorni.

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