Europa
Gaza, la finzione in cui si culla la diplomazia europea
A Bruxelles i leader europei non sono riusciti a superare le divisioni interne su un conflitto che a Gaza ha mietuto più di 20.000 vite dopo le 1.400 vittime israeliane della follia omicida di Hamas. Bisognerebbe avere il coraggio di ricordare al governo di Tel Aviv che quello della sicurezza è per sua natura un concetto collettivo. La scelta di garantire la sicurezza di Israele ai danni di quella dei palestinesi si sta rivelando impraticabile
L’Unione europea ha perso credibilità a causa della sua incapacità di assumere una posizione più forte e unita su Israele e Palestina, ha affermato la scorsa settimana il primo ministro irlandese Leo Varadkar all’inizio del vertice europeo. “L’Ue dovrebbe condannare il terrorismo perpetrato da Hamas ma anche chiedere giustizia per il popolo palestinese”, ha poi continuato. Varadkar ha esortato invano gli altri leader dell’UE a chiedere la cessazione dei combattimenti, piuttosto che una pausa limitata alla consegna di aiuti umanitari. “Abbiamo perso credibilità agli occhi del Sud del mondo, che in realtà è la maggior parte del mondo, a causa di quelli che vengono percepiti come due pesi e due misure e c’è del vero in questo, francamente”, ha concluso amaro.
A Bruxelles i leader europei non sono riusciti a superare le divisioni interne su un conflitto che a Gaza ha mietuto più di 20mila vite dopo le 1.200 vittime israeliane della follia omicida di Hamas che si aggiungono alle 450 vittime palestinesi in Cisgiordania dall’inizio dell’anno. Nella precedente riunione di ottobre, i leader dell’Ue si erano limitati a chiedere un accesso e aiuti continui e senza ostacoli attraverso corridoi e pause per le esigenze umanitarie.
Pochi giorni prima la spaccatura europea era emersa in tutta la sua evidenza al palazzo di vetro a New York sul voto della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite presentata dall’Egitto che chiedeva un cessate-il-fuoco umanitario immediato. Austria e Repubblica Ceca hanno votato contro, otto Paesi Membri si sono astenuti (fra i quali l’Italia) e diciassette hanno votato a favore. Come è risaputo per quanto riguarda la Politica Estera Comune vale la regola dell’unanimità; basta anche solo un voto contrario per bloccare qualsiasi decisione in sede di Consiglio. Conciliare storie, sensibilità e relazioni consolidate fra opinioni pubbliche così diverse non è affatto facile. Per quanto riguarda la Germania, ad esempio, vige una consuetudine interna bi-partisan che obbliga il Paese a schierarsi sempre e comunque dalla parte di Israele indipendentemente dalle forze che compongono il governo di Tel Aviv e delle relative politiche. Altrettanto fa l’Austria come se questo comportamento potesse fare perdonare le colpe storiche nei confronti del popolo ebraico. Da tutt’altra estrazione proviene, invece, il governo di Dublino che assimila la drammatica situazione palestinese sotto l’occupazione israeliana alla lotta di liberazione dell’Irlanda dal colonialismo inglese.
Troppi ministri degli esteri europei non si rendono conto che la divisione europea incrina la coerenza della posizione dell’Ue sull’Ucraina indebolendone la reputazione sulla scena internazionale. “Due torti non fanno una ragione”, recita un proverbio italiano, analogo di un motto inglese molto citato, che calza a pennello con l’approccio strabico di alcuni paesi europei. Non si espia il male commesso dai regimi nazi-fascisti ai danni degli ebrei concedendo alle autorità israeliane di violare il diritto internazionale con politiche di occupazione che le più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani assimilano all’apartheid. Dovremmo avere il coraggio di ricordare al governo di Tel Aviv che quello della sicurezza è per sua natura un concetto collettivo. La scelta di garantire la sicurezza di Israele ai danni di quella dei palestinesi si sta rivelando impraticabile.
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Benjamin Netanhyau ha pervicacemente perseguito il suo disegno di ottenere sicurezza senza pace accantonando la questione palestinese con la connivenza europea e la complicità ancora più grave di alcuni paesi arabi pronti comunque a normalizzare le relazioni con Israele. Ripetere ossessivamente come un mantra ciò che è ovvio, ovvero che Israele ha il diritto di difendersi, vorrei ben vedere non fosse così, serve solo a ripulire per un attimo la fedina penale della storia europea senza preoccuparsi di quello che viene dopo.
Non vi è nessuna garanzia o impegno da parte di chi è oggi al potere a Tel Aviv che una volta silenziate le armi il processo di pace si rimetterà in moto così come non vi è alcuna certezza che l’obiettivo ultimo sia la soluzione dei due stati. Per quanto tempo ancora la diplomazia europea continuerà a cullarsi in questa finzione non è dato sapere. Purtroppo.
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