Medio Oriente
Gaza, il valico di Rafah chiuso condanna a morte tutti i civili
A Rafah si trovano 1,5 milioni di persone. L’esercito israeliano ha iniziato l’invasione di terra e preso il controllo del valico. «Quello che sta accadendo in queste ore è un incubo», dice Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Il valico di Rafah era il cuore pulsante di qualunque operazione umanitaria. Se non entreranno acqua, medicine, cibo e carburante non sappiamo cosa ne sarà dei civili»
di Anna Spena
La Striscia di Gaza è impenetrabile. Non si entra e non si esce. Soprattutto non entrano gli aiuti umanitari dopo la chiusura dei valichi di frontiera di Kerem Shalom e Rafah. Se non saranno riaperti il prima possibile, se Israele non permetterà l’ingresso di aiuti umanitari salvavita, non ci sarà più nessuno da salvare.
«Quello che sta accadendo in queste ore è un incubo», dice Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Le operazioni militari via terra a Rafah saranno una catastrofe. Parliamo di un luogo dove sfollati migliaia e migliaia di palestinesi, oggi Rafah ha una densità abitativa più alta di quella New York. Inoltre è il cuore pulsante di qualunque operazione umanitaria».
A Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, vivevano, prima del sette ottobre, 250mila persone. Oggi si stima che la presenza sia arrivata a 1,5 milioni. Circa la metà della popolazione è costituita da bambini. Nella Striscia di Gaza sono morte 35mila persone, quasi 80mila è il bilancio dei feriti.
La Mezzaluna rossa palestinese continua con le sue attività umanitarie: «ma con capacità limitatissime», spiega Della Longa. «Nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia, teniamo aperto un piccolo presidio medico avanzato. Diamo primo soccorso. La Mezzaluna rossa palestinese negli ultimi decenni è stata drammaticamente abituata a lavorare con poche risorse pochi farmaci. Ha una capacità di centellinare che altri non hanno, ma è comunque al limite, allo stremo. Abbiamo riaperto anche l’ospedale di Khan Yunis, ma solo per le urgenze, e pochissimi posti letto per il reparto di maternità. Ma con i valichi chiusi, già nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore, tutto andrà esaurito perché la logistica è ferma. Acqua, cibo, medicine, carburante – che per Gaza è un bene salvavita – saranno completamente irreperibili. Pensavamo di aver visto il peggio del peggio. E invece ogni mattina ci svegliamo e scopriamo che si può andare ancora oltre».
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«Questa è», dice Della Longa, «la tempesta umanitaria perfetta. Per gli umanitari è diventato quasi impossibile lavorare. A rendere ancora più drammatica la situazione anche le condizioni climatiche. A fine aprile ci sono state ondate di calore che hanno fatto arrivare la temperatura a 38 gradi. Non posso immaginare come andrà nei prossimi mesi, dove si raggiungeranno anche i 45 gradi. Come si fa a vivere sotto un pezzo di plastica? Non oso nemmeno chiamarla tenda. Tutto quello che sta accadendo è allucinante».
Nonostante la contrarietà degli Usa, il premier israeliano Benjamin Netanyahu vuole andare avanti con l’invasione di Rafah. L’invasione via terra era già stata preceduta da pesanti bombardamenti. Ora i carri armati hanno già preso il controllo del valico fra l’Egitto e la città, isolandola da Sud.
«Abbiamo poche informazioni su questa invasione», continua Della Longa. «E anche se non fosse su larga scale, ma questo non possiamo saperlo, se prendi il controllo del valico di frontiera crei una situazione di totale confusione. I colleghi ci raccontano che le persone sono terrorizzate, e che sono arrivate a Rafah dopo sei o sette spostamenti. Man mano che l’invasione scendeva da Nord a Sud le persone scappavano per trovare rifugio. Ma ora non hanno più nessun posto dove andare. La Striscia di Gaza è un luogo invivibile. Come Croce Rossa continuiamo a chiedere a gran voce le stesse cose: un cessate il fuoco immediato e duraturo, la possibilità di far entrare in quantità adeguate gli aiuti umanitari, la sicurezza per la vita degli operatori umanitari che li distribuiscono, la protezione dei civili e la liberazione di tutti gli ostaggi».
Rafah/Foto AP/Fatima Shbair Associated Press/LaPresse
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