Medio Oriente

Gaza: accordo instabile, ma necessario per garantire gli aiuti

«Il 70% delle infrastrutture è distrutto. Sarà necessario costruire nuovi campi di accoglienza per gli sfollati», dice Giovanna Fotia, rappresentante Paese di Weworld in Palestina. «Ora stiamo preparando il coordinamento per l'ingresso degli aiuti umanitari e ci aspettiamo un aumento del livello di tensione sociale»

di Alessio Nisi

La tregua a Gaza poggia su un accordo instabile, che potrebbe saltare da un momento all’altro, e che già nella notte successiva al suo annuncio è stato messo alla prova da altri bombardamenti e altri morti, più di 70. Da una parte le autorità israeliane, sotto pressione per la tregua, dall’altra Hamas, accusata di rinnegare gli accordi. Gli stessi che domenica 19 gennaio potrebbero portare ad un cessate il fuoco. 

Un equilibrio precario in cui si intravede la possibilità di accesso nella Striscia di Gaza di, si calcola, almeno 600 camion. Il minimo per ripristinare le condizioni di vivibilità per la popolazione. Non solo. La possibilità di una tregua potrebbe aprire la strada ad un flusso di centinaia di migliaia di persone, finalmente in grado di spostarsi da Nord a Sud di Gaza. 

Garantire adeguati aiuti umanitari alla popolazione

«Rimaniamo a fianco delle persone a Gaza, continuando a fornire accesso ad acqua, cibo, kit igienici e qualche momento di svago per i bambini e le bambine, e chiediamo che venga fatto il necessario per garantire adeguati aiuti umanitari alla popolazione», fa sapere Weworld, ong italiana, attiva nell’area.

La speranza è che questo cessate il fuoco sia duraturo e che ci permetta di continuare a lavorare al miglioramento delle condizioni di vita di una popolazione alla quale in questo momento manca una casa, l’accesso alla salute, all’acqua, al cibo, all’educazione

Dina Taddia, ceo di Weworld

Tregua, momento fondamentale

«Questo passo, ancora molto fragile, rappresenta un momento fondamentale della guerra su Gaza che va avanti da oltre un anno. Chiediamo che venga rispettato il diritto umanitario internazionale in tutte le fasi di questo accordo e che il cessate il fuoco diventi effettivamente permanente», si aggiunge, «per quel che riguarda la risposta umanitaria,  il nostro lavoro, ancora niente è cambiato».

Le condizioni a Gaza restano drammatiche

Per supportare le persone colpite da 15 mesi di bombardamenti, si spiega, «sono necessarie risorse e risposte rapide. Ad oggi, le condizioni della popolazione a Gaza rimangono drammatiche: lo sfollamento, le basse temperature, il mancato accesso a beni di primissima necessità e condizioni prolungate di sofferenza». 

L’accordo non significherebbe necessariamente stabilità per Gaza

Giovanna Fotia – direttrice paese Weworld in Palestina

La gioia di una popolazione allo stremo

Nel freddo del secondo inverno di guerra, il paradosso è che il cessate il fuoco potrebbe aprire una nuova fase di tensione nell’area. Ne abbiamo parlato con Giovanna Fotia, direttrice paese Weworld in Palestina, che VITA ha raggiunto a Ramallah, in Cisgiordania, dove c’è il coordinamento principale della ong. Emozione, festeggiamenti, fermento, sui telefonini e per le strade: così descrive l’arrivo della notizia della tregua. «Una grande gioia da parte di una popolazione allo stremo».

Gaza
I volontari di Weworld distribuiscono l’acqua alla popolazione di Gaza

Come vi state preparando al momento del cessate il fuoco?

Una delle prime cose che sta avvenendo a livello di coordinamento con gli altri attori umanitari è il conteggio dei materiali in termini di aiuti che sono già disponibili nei magazzini dell’organizzazione.

Quando verranno aperti i valichi dovremo essere tempestivi nella distribuzione e internamente ci stiamo preparando per una incremento della nostra operatività. Con l’accordo infatti auspicabilmente ci saranno meno ostacoli e potremo portare più supporto ad un numero maggiore di persone e stiamo cercando di organizzarci dal punto di vista logistico.

Dove ci sarà più bisogno?

Vogliamo essere più presenti nel Nord, dove sicuramente ci sarà più necessità.

Si parla della possibilità che possano accedere 600 camion di rifornimenti.

Si parla proprio di 600 camion, che, dopo più di un anno di guerra, è la quantità minima per soddisfare i bisogni di base di tutta la popolazione. Nell’accordo si è parlato anche di come saranno distribuiti: 300 andranno a Nord, 250 serviranno il Sud e 50 saranno destinati al combustibile.

Sono previsti anche spostamenti della popolazione.

Finalmente la popolazione sarà libera di spostarsi. Nell’accordo che sono circolate viene indicato che la libertà di movimento interno al territorio sarà garantita. Però ovviamente dobbiamo capire se i termini saranno rispettati. Pensiamo però che i flussi andranno da Nord verso Sud, verso Rafah. Moltissime persone che vivevano nel Nord della Striscia ora sono sfollate. Ci aspettiamo, una volta che sarà possibile muoversi con più libertà, che tutti vorranno tornarci. Purtroppo, va detto, il livello di distruzione infrastrutturale è veramente altissimo, si stima che circa il 70% delle costruzioni sia distrutto. Sicuramente ci sarà la necessità di nuovi campi e siti di accoglienza per gli sfollati. Questo lo scenario che ci immaginiamo.

Quali rischi può comportare la fase del cessate il fuoco?

L’aumento del livello di tensione sociale con l’ingresso degli aiuti umanitari. Gli attacchi ai convogli sono già molto frequenti e aumenteranno. Sì, anche per le condizioni di sicurezza in cui opera il personale umanitario, ci prepariamo ad una fase molto tesa e incerta.

Parliamo del focus dell’impegno di Weworld su Gaza.

La nostra attività per la larga maggioranza è legata a tutto ciò che riguarda acqua, igiene e ambiente: dalla distribuzione di acqua potabile per uso domestico alle pulizie. Siamo operativi nell’area dal 1997.

In apertura foto di WeWorld. Nel testo foto di WeWorld e in coda di Omar Ashtawy / APAimages

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