Caro direttore, vorrei proporle una riflessione. Non so se ha seguito la vicenda di Garlasco sulle pagine del Corriere, ma io sono rimasta abbastanza perplessa. Come giornalista junior. Per il Corriere ha seguito il caso Giusi Fasano, che ha scritto anche un libro (con foto private), spedito in tutte le edicole. C’è un modo di raccontare questi casi che non mi convince. Forse Alberto è l’assassino, forse è un freddo calcolatore con tendenze pedofile. Ma non so perché, mi sembra che il Corriere abbia deciso prima del tribunale. E questa cosa mi sconcerta. C’è un bel film, La giusta distanza, che racconta un caso molto simile. Nel film si scopre che l’accusato non è colpevole. Dopo il carcere e dopo che i giornali hanno sentenziato che è lui l’assassino. Qual è la giusta distanza in un caso come quello di Garlasco? Come si fa a non essere coinvolti dal dolore indefinibile e incalcolabile di una famiglia che ha perso la figlia con una brutalità ingiusta? Penso. Come si sentono i genitori di Alberto? Penso al padre di Erika. Penso a Novi Ligure. Penso a una frase che ha detto Enzo Biagi, che più o meno dice di ricordarsi sempre di scrivere delle persone come se fossero figli, familiari, con la stessa dignità. Mi rimane davvero l’amaro in bocca. È vero che tanti altri hanno scritto cose altrettanto indecenti, ma il Corriere dovrebbe essere una fonte più autorevole. Forse, tutti i cronisti di nera sognano di seguire un caso come Garlasco (e qui il Lansdale di Atto d’amore avrebbe molto da dire sulla morbosità e la follia delle coperture mediatiche di questi fatti).
Ammetto, forse perché io, il mio fidanzato e i nostri amici abbiamo l’età di Alberto e Chiara, sono sconvolta dal futuro che aspetta questo ragazzo. Perché per una vita dobbiamo distruggerne un’altra? Non è la mia idea di giustizia. E ammetto che se il mio direttore mi chiedesse questa linea, io non lo farei. Spero di non cambiare mai idea. Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa perdere amici e persone care. E a 16, 20 e 23 anni non c’è ingiustizia più feroce. Ma so che il vuoto della morte non lo riscatti con un’altra. Neanche con la morte civile, pubblica.
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