Welfare

Garanzia Giovani: ennesima illusione per 70mila disoccupati?

La disoccupazione giovanile in Italia tocca il 46% proprio mentre parte il programma europeo per favorire l'impiego degli under 29. In un mese sono arrivate quasi 70mila domande (soprattutto dal Sud), ma il meccanismo è complicato e ricorda quello dei fondi europei che non riusciamo a spendere. E i tempi, nonostante l'emergenza, si preannunciano biblici

di Gabriella Meroni

Bisogna fare presto. Con una disoccupazione giovanile record che ha toccato il 46% (il dato peggiore da trent'ani in qua) l'Italia non può certo permettersi di prendere tempo per tamponare l'emergenza, eppure lo strumento fondamentale che abbiamo a disposizione per favorire l'occupazione degli under 29, il programma Garanzia Giovani, sembra fatto apposta per andare a passo di lumaca lungo un cammino che, appena partito, si preannuncia già carico di incognite.
L'allarme l'ha lanciato Tito Boeri, che ha scritto chiaro e tondo che Garanzia Giovani è  “studiato in modo tale da far sì che questi soldi vadano a tutti tranne che ai giovani e ai loro datori di lavoro”. Vediamo perché. Il programma mette a disposizione 6 miliardi in due anni per tutta l'Europa (per l'Italia, secondo il piano di attuazione del governo, in allegato, sono a disposizione 530 milioni), vincolando la loro erogazione a una serie complessa di regole e garanzie, del tutto simili a quelle richieste per gli altri fondi strutturali della Ue, che infatti giacciono in gran parte non spesi (soprattutto da noi), e funziona così: i giovani senza lavoro devono iscriversi online al programma, e da quel momento aspettare, entro 60 giorni, una “chiamata” da parte degli uffici regionali che poi lo reindirizzeranno ai Centri per l'impiego, che hanno l'obbligo di fare a ciascuno di loro una proposta di lavoro, di stage, di riqualificazione professionale o di formazione, ma anche di servizio civile presso un ente non profit, per toglierli dall'inattività forzata. Ma senza fretta: potranno passare anche quattro mesi.
Nonostante i tempi elefantiaci, la prospettiva di uscire dal tunnel della disoccupazione ha allettato molti, visto che gli iscritti dal 1° maggio a oggi sfiorano i 70mila, soprattutto al Sud (la metà arrivano da Calabria, Puglia, Sicilia e Campania), ma al successo riscosso tra i senza lavoro non è detto che corrisponda il successo della proposta: le regioni riusciranno a organizzarsi per sbrigare migliaia di pratiche in soli 60 giorni a pratica? I Centri per l'impiego pubblici, che già non brillano per organizzazione interna, riusciranno a studiare per ciascun aspirante quel “percorso personalizzato” previsto dalle norme europee? E poi: quali percorsi potranno individuare, se la crisi continua a mettere in ginocchio le imprese? “Non è tanto un problema di spingere i giovani a mettersi in coda per trovare un lavoro come previsto da molti piani della Youth Guarantee”, ha osservato Boeri,  “c’è ben poco da cercare quando il lavoro non c’è”.
Fondamentale, infatti, è che al programma partecipino le imprese, che quel lavoro dovrebbero offrirlo. Ma a oggi, nonostante le importanti adesioni delle associazioni di categoria come Confindustria e Confartigianato, sembra proprio essere questo il tasto dolente: per aderire a Garanzia Giovani, infatti, le aziende devono avere requisiti difficilmente riscontrabili, soprattutto di questi tempi: aver assunto almeno un giovane di età compresa fra i 15 ed i 29 anni nei sei mesi precedenti la domanda, oppure offrire programmi di formazione professionale per i giovani o stage, o aver stipulato un accordo con un istituto tecnico o scuola o università, o ancora avere un capitale detenuto per oltre il 50% da giovani sotto i 29 anni. Viene da chiedersi: se le aziende italiane in queste condizioni fossero davvero tante, la disoccupazione giovanile sarebbe al 46%? 


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