Welfare

garanti dei detenuti,bun boom che svela un flop

carcere A cinque anni dalla loro istituzione, in Italia ormai i difensori civici sono 17

di Redazione

L’ultimo è stato quello di Rovigo. Spesso si tratta di personalità di alto profilo che però quasi mai incidono sulla vita dei carcerati.
E a volte faticano persino ad avere i permessi per entrare nei penitenziari e a farsi “riconoscere” dai diretti interessati.
Inchiesta sulle ragioni di un insuccesso I l garante? C’è, ma non si vede. L’ultimo arrivato, a metà ottobre, è quello del Comune di Rovigo: Livio Ferrari. Con lui sono 17 i Garanti dei diritti dei detenuti in Italia: 11 comunali, 4 regionali, 2 provinciali. La prima nomina risale a cinque anni fa. Ma cos’è cambiato nel mondo del carcere dopo la loro entrata in scena? Non molto, a conti fatti: spesso poco considerati sia dentro che fuori le mura (sui giornali appaiono di rado), in certi casi risultano persino inutili. Loro malgrado. Perché il più delle volte sono persone autorevoli a livello professionale: avvocati, magistrati in pensione, docenti, ex politici, con le mani però legate da un insieme di fattori. A cominciare dalla burocrazia: «Non abbiamo il permesso per entrare nel carcere liberamente come fanno parlamentari e consiglieri. Entriamo con gli articoli 17 o 78, alla stregua dei volontari: è un limite d’azione molto grave», afferma il garante della Regione Lazio Angiolo Marroni (il primo d’Italia, istituito nel 2003; le altre figure regionali sono in Lombardia, Sicilia e, da poco, in Campania). «Ciò significa che in caso di emergenze dentro le mura, noi non possiamo accedere».

La formula part time
Ma c’è dell’altro. «Come la difficoltà a far capire e accettare la nostra figura ai detenuti e soprattutto ai magistrati di sorveglianza», continua Marroni, già consigliere regionale e volontario in carcere da 25 anni. Anche la lentezza nel veder soddisfatte richieste anche piccole può essere esasperante: «Al Dozza i lavori per migliorare le condizioni igieniche delle celle sono partiti solo dopo due anni di continue pressioni», spiega l’avvocato Desi Bruno , dal 2006 garante del Comune di Bologna, che oltre agli attuali 700 detenuti del carcere emiliano segue i 19 minori dell’Ipm e, unico garante a poterlo fare, i 96 stranieri del Cpt cittadino. «Se gran parte dei casi vengono risolti dopo innumerevoli difficoltà, per altri invece non c’è nulla da fare», aggiunge Franco Corleone , ex sottosegretario alla Giustizia dal 1996 al 2001 e dal 2004 garante del Comune di Firenze, «come nelle ultime elezioni, quando non si è potuto garantire ai detenuti il diritto di voto».
Poi c’è la questione economica: i fondi per il garante variano da ente a ente. Se al top c’è la Regione Lazio, dove con 3mila euro mensili di indennità il garante lavora 7 giorni su 7 affiancato da uno staff di 20 persone e un budget di 250mila euro annuali per le attività, all’opposto ci sono la Provincia di Milano e i Comuni di Sassari, Nuoro e Ferrara dove di fondi ad hoc non ce ne sono, e l’indennità non basta per un impegno assiduo. «Senza budget a disposizione, manca un respiro strategico», interviene Giorgio Bertazzini , dal 2006 garante “part time” della Provincia di Milano, dalla quale riceve un’indennità di 900 euro al mese, troppo pochi per lasciare l’altro suo lavoro di docente alle superiori. «L’impressione è quella di essere un garante dimezzato», prosegue Bertazzini, «visiti una volta a settimana a turno le quattro carceri milanesi di Opera, Bollate, San Vittore, Monza, (4mila detenuti in tutto, ndr ), ricevi e rispondi alle numerose lettere che chiedono aiuto, ma non poterlo fare il 100% del tempo diminuisce l’incisività».

A quando un garante nazionale?
Non pochi problemi, quindi. Che rendono ancor più faticoso un mestiere di per sé difficile, con una gran mole di lavoro da assolvere. «È un impegno doppio, all’interno e all’esterno del carcere: dentro cerchi di rispondere alle esigenze dei detenuti in materia di sanità, igiene, colloqui con i familiari, rapporti con gli agenti», prosegue Bruno, «fuori, presenti relazioni per il consiglio comunale, organizzi incontri, hai rapporti con i volontari, gli assessorati, le scuole, l’opinione pubblica». A questo si aggiungono mansioni diverse a seconda del territorio. Ad esempio, «a Reggio Calabria gran parte dell’attività riguarda lo svincolare il mondo del carcere dalla mafia», spiega Giuseppe Tuccio , garante del Comune calabrese e magistrato in pensione, «tramite l’inclusione sociale abbiamo recuperato parecchie decine di detenuti, e da tre mesi è aperto un centro per l’avvio al lavoro in un bene confiscato». E rivela: «Spesso ho carta bianca nell’agire, ma per le mie credenziali lavorative passate». Non certo nella sua veste di custode dei diritti dei detenuti. «In generale siamo una voce con meno peso di quello che dovrebbe avere», riprende l’autocritica Marroni. E in mancanza di interventi governativi, i garanti per ora fanno da sé. «Molti di noi si sono uniti in un coordinamento che si incontra ogni due mesi, per confrontarsi», spiega Desi Bruno, attuale coordinatrice. Una rete che una prima soluzione ai problemi l’ha già: «La nomina parlamentare di un garante nazionale. L’Italia è fra i pochi in Europa a non averlo».

Vuoi accedere all'archivio di VITA?

Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.