Scenari

Gamberini: «Finita la ricostruzione post Covid, si apre una nuova fase economica»

Il presidente di Legacoop analizza i dati sull'economia italiana, che apre un nuovo ciclo dopo la crisi pandemica ed energetica. Le famiglie continuano a restare prudenti a causa della perdita del potere d'acquisto di salari e stipendi

di Redazione

L’Italia si rimbocca le maniche e cerca di superare la fase di ristagno economico causato soprattutto dalla pandemia e dalla crisi internazionale che ha colpito tutti i Paesi, nessuno escluso, con uno shock energetico e inflazionistico che ha messo in seria difficoltà anche chi (come la Francia e la Germania) solitamente fila come un treno. La fine del ciclo espansivo del Superbonus 110% è avviata su un sentiero di normalizzazione, nonostante la pesante eredità continui a gravare sui conti pubblici. Il prevedibile aumento di quasi quattro punti percentuali del debito sul Pil nel 2024 rispetto al 2023 (dal 137,3% al 141,1%), proprio all’avvio dell’applicazione delle nuove regole del Patto di stabilità e crescita con la possibile apertura di una procedura per deficit eccessivi da parte della Commissione Ue, lascia infatti spazi decisamente limitati per la politica di bilancio dei prossimi anni, tra l’altro sullo sfondo di un rallentamento, pur modesto, del tasso di crescita del Prodotto interno lordo, che si prevede passare dall’1% del 2023 allo 0,8% del 2024 nei dati corretti per il numero dei giorni lavorativi. Questo quadro emerge dal Monitor realizzato dall’Area studi Legacoop e da Prometeia, che analizza le prospettive di crescita per l’economia italiana in relazione allo scenario interno e internazionale.

«Il periodo successivo allo shock pandemico ha avuto caratteri di eccezionalità, una sorta di ricostruzione post bellica», commenta Simone Gamberini, presidente di Legacoop. «Cittadini, lavoratori e imprese italiane hanno dimostrato le eccezionali risorse di questo Paese, lo slancio innovativo, la capacità di superare le difficoltà nonostante tutto. Inoltre, le politiche pubbliche hanno finalmente mutato il segno restrittivo e prociclico del decennio precedente, e hanno accompagnato la crescita con investimenti e sostegno alle transizioni. Ora però si è avviata una fase nuova: è finita la “ricostruzione” e occorre scegliere una strada. Da un lato possiamo imboccare nuovamente il sentiero della stagnazione con bassa inflazione, soffocando le energie che abbiamo visto covare sotto la cenere della crescita zero del decennio pre-Covid. Gli orientamenti che sembrano venire dai policy makers internazionali, compresa la Ue, paiono spingere in quella direzione. Ma, dall’altra parte, possiamo invece spingere verso politiche che assecondino la solidità del nostro sistema produttivo, lo orientino e promuovano le transizioni e le innovazioni, attraverso un Piano europeo di politiche industriali finanziate con debito comune. In fondo, lo spirito del Pnrr era esattamente questo. Bene, è ancora questo il banco di prova per dimostrare che politiche pubbliche di investimenti accorti ed efficienti hanno senso e vanno perseguite per sostenere una nuova fase di sviluppo».

Simone Gamberini, presidente di Legacoop

L’analisi stima che gli incentivi abbiano contribuito a una maggiore crescita del Pil dello 0,8% in media per ogni anno dal 2021 al 2023, con 4,5 punti percentuali cumulati. Un effetto “contabile” da considerare con una certa cautela, anche alla luce del rimbalzo negativo che non potrà essere evitato nei prossimi anni. Nello stesso tempo, hanno però prodotto un aumento dei costi. Sul debito pubblico, dove i crediti vengono registrati al momento della compensazione delle imposte dovute, fino al 4 aprile 2024 secondo l’Agenzia delle entrate, sono stati compensati 41,7 miliardi mentre 177,2 miliardi sono ancora da compensare e aumenteranno il debito negli anni 2024-2027. Costi e benefici andrebbero inoltre valutati tenendo conto dei possibili usi alternativi di una massa così consistente di fondi.

Relativamente al Superbonus 110%, l’analisi di Area Studi Legacoop e Prometeia sottolinea che il primo segnale evidente del venir meno degli effetti espansivi dell’incentivo è il netto arretramento della produzione nel settore delle costruzioni. L’indice relativo, fatta pari a 100 la base al 2021, a febbraio di quest’anno passa a 137,2 dal 141,5 di gennaio e a marzo cala ulteriormente a 134,6. Questi effetti verranno attenuati, anche se non completamente, dagli investimenti in costruzioni del Pnrr, la cui spesa nel 2024 è prevista raddoppiare rispetto al 2023. In termini generali, è previsto che l’impulso addizionale del Pnrr agli investimenti sarà di circa 20 miliardi di euro per ogni anno dal 2024 al 2026.

Altro elemento che influisce sulle prospettive di crescita economica è poi l’inflazione. A tale riguardo, l’analisi evidenzia come la forte flessione dei prezzi dell’energia (che rimangono comunque più alti di circa il 40% rispetto al periodo precedente lo shock) abbia schiacciato l’inflazione al consumo dell’Italia a maggio allo 0,8%, inferiore alla media Uem (2,6%), segno di come stia continuando, nel nostro Paese, il processo disinflazionistico, che nel 2024 dovrebbe portare ad un tasso di inflazione al consumo in media d’anno dell’1,6% rispetto al 5,6% del 2023. Malgrado ciò, le famiglie restano caute nelle loro decisioni di acquisto, sulle quali pesano due fattori: il primo è l’erosione, determinata dall’aumento dell’inflazione, del valore reale dell’extra ricchezza finanziaria accumulata dalle famiglie durante la crisi pandemica; il secondo è rappresentato dai salari che, pur crescendo, non riescono a recuperare la perdita di potere d’acquisto subita a causa dell’inflazione passata.

Credit: la foto d’apertura è di Christopher Burns su Unsplash


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