Galileo e i Galilei

di Gianfranco Marocchi

Un passo indietro: 22 ottobre 2012, viene emessa la sentenza condanna a sei anni di reclusione nei confronti dei membri della Commissione Grandi Rischi per avere impropriamente rassicurato i cittadini aquilani che pochi giorni dopo sarebbero stati vittime del sisma. Nelle ore immediatamente successive si scatenarono commenti inorriditi: sentenza strana e ibarazzante, disse lo Schifani seconda carica dello Stato, morte del diritto e follia allo stato puro, disse il moderato Casini, la morte (di nuovo! ma, vista la circostanza, non era meglio lasciarla stare, la parola “morte”?) del servizio prestato dai professori e dai professionisti allo Stato, sosteneva un emerito fisico e, ultimo e più erudito, il ministro Clini si riconosceva nell’affermazione che “l’unico precedente a questa sentenza è quello di Galileo Galilei”. Bersani, un po’ imbarazzato rispetta la sentenza ma ritiene importante che prosegua la solidarietà verso gli aquilani (che c’entrava?). Insomma, tutto questo lacerarsi di esimie vesti per dire che 1) se a fare i consulenti si rischia di finire in galera nessuno consiglierà più alcunchè e 2) è folle pensare che la politica possa giudicare la scienza (di qui il riferimento a Galileo), tanto più in un campo così incerto come qullo della previsione dei terremoti, ecc.

Alcuni giorni fa sono uscite le motivazioni della sentenza. Ciascuno di noi può farsi un’opinione sulla sua correttezza o meno in termini di diritto e potranno esservi altri gradi di giudizio competenti a valutare eventuali altri fatti che dovessero emergere a carico o a discolpa degli imputati.

Ma almeno una cosa possiamo dirla. Rispetto ai citati commenti della prima ora, ciò che i giudici – a torto o a ragione – hanno voluto affermare è esattamente il contrario di quanto contestato dai loro critici. Non si è condannata la scienza, bensì il tradimento della scienza per motivi di opportunità politica. Il conoscere cioè – sempre secondo i giudici – determinati potenziali rischi e volerne tacere per ossequienza alle richieste del Potere. Non l’errore in buona fede o semplicemente l’impossibilità, date le attuali conoscenze, di dare le corrette indicazioni alla popolazione, ma il sapere – sempre nei limiti delle attuali conoscenze – che bisognerebbe dire una cosa e consapevolmente dirne un altra per compiacenza verso le indicazioni di un personaggio potente.

Insomma, per dirlo con le parole di questo blog, la colpa sarebbe quella di non avere tenuto le schienedritte. Be’, a dire il vero nemmeno Galileo la tenne del tutto, la schiena dritta, quando fu disposto che “fosse interrogato sulla sua intenzione, anche comminandogli la tortura se l’avesse sostenuta”. Insomma, si piegò al potere – certo non al potere delle lusinghe e delle convenienze, ma alle minacce di un’istituzione sadica e feroce come l’Inquisizione. Ho però il sospetto che non fosse a questa cedevolezza che Clini, con il suo paragone, si riferisse.

 (grazie all”amico Massimo per ispirazione e suggerimenti su questo post)

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