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G8 L’AQUILA. Gli industriali italiani scommettono sull’Africa

Le dichiarazioni di Emma Marcegaglia: «Non lasciamo il continente ai cinesi»

di Gabriella Meroni

«Lavorare tutti perché l’Africa diventi un nuovo Far East, perché anche lì si inneschi un processo di crescita simile a quello che ha portato negli ultimi dieci anni milioni di cinesi ed indiani fuori dalla soglia della povertà». Ad affermarlo è la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che, in un’intervista a La Stampa sottolinea: «L’Africa – afferma ancora – è certamente un’opportunità: lo è per l’Europa, ma oggi lo e’ soprattutto per la Cina, che per quest’area ha un’attenzione straordinaria. Però è anche un’opportunità per l’Africa stessa». «Penso soprattutto – continua Marcegaglia – alla parte che soffre di più: l’area subsahariana, il Corno d’Africa, il buco nero dove dilagano povertà e guerre etniche sanguinosissime». «I cinesi – prosegue la presidente di Confindustria – hanno cambiato approccio, si muovono in modo molto intelligente ed efficace. Hanno un bisogno assoluto di materie prime e questo li spinge ad una politica che segue logiche diverse da quelle europee e americane. Sono molto attivi, partecipano a tanti progetti infrastrutturali e realizzano chiavi in mano ponti, strade, edifici governativi, impianti sportivi: oggi in Africa ci sono oltre 800 imprese cinesi impegnate nella realizzazione di ben 900 progetti».

«Credo che l’Africa non si senta particolarmente tutelata dall’Occidente e quindi non le resta che affidarsi ai cinesi. Anche se questo comporta dei pericoli: perché in Africa i cinesi spesso trasferiscono le tecnologie ambientali più vecchie ed inquinanti di cui si vogliono disfare, non formano manodopera locale ma portano la loro». «Spetta a noi europei affiancare la Cina proprio per evitare che quella che si presenta come un’opportunità di crescita globale si risolva nel solo sfruttamento dello loro materie prime. Però dovremmo imparare a muoverci in modo più coordinato», dice ancora Marcegaglia che ribadisce il suo “no al protezionismo” sottolineando che «l’export italiano sarebbe la prima vittima» e ricordando che già «47 Paesi hanno preso misure di chiusura».

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