Mondo

G8 ed Enciclica, segni di discontinuità

Editoriale

di Giuseppe Frangi

L’attesa Enciclica sociale del Papa incrocia i suoi destini con un altrettanto atteso G8, il primo dopo la grande crisi che ha scosso l’economia occidentale. Il primo di Obama. Il primo ospitato in un contesto spartano, per scelta, opportunistica fin che si vuole, ma certamente consona al momento che stiamo vivendo. È una coincidenza che suggerisce un messaggio chiaro: siamo davanti ad una congiuntura delicatissima, e non solo a livello politico e di strategie globali. Qualche mese fa uno dei maggiori imprenditori editoriali attivi in Italia, discutendo della crisi congiunturale e strutturale che sta colpendo tutto il settore dell’informazione, diceva che l’unica chance è quella di avere il coraggio della discontinuità. “Discontinuità” è una parola azzeccata, che vale per tanti se non forse per tutti. Vale per chi ha in mano le redini del potere, ma vale anche per la società civile e per la coscienza dei singoli. Discontinuità significa, ad esempio, non pensare manicheisticamente che il mondo sia diviso in due, i buoni (noi) e i cattivi (chi ha il potere). Perché a volte anche dal potere possono arrivare segnali positivi, di coraggiosa discontinuità. Ne è testimone Pierbattista Pizzaballa, il francescano custode di Terrasanta, che, nell’intervista pubblicata su queste pagine, spiega come la svolta di Obama (in particolare il discorso pronunciato a inizio giugno al Cairo) abbia cambiato la percezione che i palestinesi e la base del mondo arabo hanno degli americani. E nel suo blog su Vita.it, Giulio Albanese coglie un altro segnale positivo innescato dal presidente americano: la scelta di Scott Gration come mediatore per l’intricata e drammatica situazione sudanese è una scelta coraggiosa e in netta discontinuità con il passato. In tutt’e due i casi l’amministrazione americana punta sul dialogo, archiviando le rigidità culturali e fondamentaliste del passato (per esempio Scott Gration non parla più di “genocidio” per il caso sudanese, e in questo modo tiene aperto un rapporto, per ora costruttivo, con Karthoum).
Ma la discontinuità è una scommessa che riguarda anche la società civile. Lo spiega con chiarezza e senza mezze parole, sempre sulle pagine di questo numero di Vita, un grande esperto delle società africane come Giorgio Blundo, antropologo all’École des Hautes Études en Sciences Sociales. Secondo lui la strategia degli aiuti sta producendo progetti spesso banali, che più che ottenere miglioramenti strutturali finiscono con sedimentare posizioni di potere. E spesso le organizzazioni umanitarie subiscono o sono accondiscendenti a questa logica.
Anche l’Enciclica del Papa è un forte segnale di discontinuità rispetto a quei cattolici che negli anni passati hanno fatto coincidere la Chiesa con l’Occidente. La condanna della speculazione finanziaria e del sistema politico amministrativo che l’ha permessa è una condanna anche culturale: l’aver concesso libertà d’azione a un’avidità dagli effetti devastanti non è solo frutto di una mancanza di regole. È un’idea di società che è venuta meno. E ora, scrive il Papa citando un suo grande predecessore, «ciascuno faccia la parte che gli spetti e non indugi». La discontinuità comincia da qui, dalle scelte di ciascuno.

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