Economia

G8: ecco i veri numeri. Cari grandi, ora parliamone

Intervista a Marco Vitale, economista, e a Luca De Fraia, coordinatore di Sdebitarsi.

di Giuseppe Frangi

Più che di dollari parliamo di diritti
Marco Vitale, economista: “I piani Marshall non sono la ricetta giusta. Se il Terzo mondo non riesce a creare ricchezza non è solo per mancanza di capitali”

Professor Vitale, lei sostiene che per combattere la povertà i piani Marshall non bastano. Anzi possono essere controproducenti. Qual è allora l?arma vincente?
Marco Vitale: Quando ci caliamo in situazioni di non sviluppo e abbiamo l?opportunità di studiarle a fondo, scopriamo che la causa ultima di quel mancato sviluppo è una mancanza di diritto. È quello che il grande economista peruviano Hernando de Soto sta dimostrando con i suoi studi in vari Paesi del terzo mondo: la questione fondamentale è capire perché in questi Paesi il capitale non diventa sviluppo. Tradizionalmente si risponde dicendo che i capitali non ci sono. Invece non è vero: i poveri hanno attivi notevoli, sotto forma di risparmio e di case. Ma questi beni non sono capitale perché non sono legalmente riconosciuti. In questi paesi il 90% delle case sono abusive. Cioè è come se non esistessero.
Vita: Quindi, lei dice, quella povertà non è frutto della globalizzazione?
Vitale: Dico che innanzitutto è frutto di culture in cui il concetto di dirttto non esiste o è stato stravolto dal colonialismo. Ricordo che anche un grande economista come Novak diceva che il Sud America inizialmente era più ricco del nord. È stato il deficit di diritto a ribaltare la situazione: nel ?700 gli Stati Uniti seppero dar vita ad un diritto che tutelava i produttori, che dava certezza a chi operava, che garantiva a chi risparmiava che il proprio denaro fosse lecito e protetto, cioè diventasse capitale. Del resto anche Cattaneo e Romagnosi nell?800 sostenevano una tesi simile, e lo sviluppo della Lombardia è storicamente spiegabile così. Insomma l?economicismo alla fine non crea ricchezza, il diritto sì.
Vita: In un certo senso questa è una buona notizia?
Vitale: Non ne sono sicuro. È più facile mandare aiuti finanziari che favorire e aiutare il consolidarsi di un diritto. Comunque questo è il criterio a cui dovrebbero attenersi le istituzioni finanziarie per evitare di sperperare tanti sforzi.
Vita: E la questione di una più equa distribuzione dei redditi conta oppure no?
Vitale: Il punto centrale, nel nuovo schema economico non è più questo ma la distribuzione delle capacità di produrre. La distribuzione, insomma, deve avvenire a monte. Si creano le professionalità, le specializzazioni, le nuove imprese, e queste producono reddito in forza della loro capacità e utilità e non come effetto di una benevola redistribuzione del reddito. Qundi il ruolo fondamentale è quello delle scuole e delle istituzioni formative. Lo sviluppo passa solo da qui.
Vita: Invece la povertà sta provocando processi opposti: guerre fratricide, dissoluzione sociale anche a causa del flagello dell?Aids?
Vitale: Proprio per questo hanno un grandissimo valore esperienze come quella di Yunus, che aiutano la ricostruzione sociale su piccola scala. Questi sono meccanismi che non solo creano un minimo di ricchezza ma, alla fine, aiutano la convivenza. Così gli aiuti dell?Occidente se non sono finalizzati – cioè se non arrivano ai destinatari giusti, ai poveri, non a chi governa i poveri -, possono essere anche controproducenti. Gli aiuti devono rafforzare processi di sviluppo legati alla ricostruzione dei diritti della persona. Se alla fine del processo avremo cittadini più autonomi e tutelati gli aiuti sono andati a buon fine. Se non si è innescato o favorito un simile processo, al massimo ci si è lavati la coscienza.

…Per un millesimo dei nostri soldi
Luca De Fraia: “Ogni anno noi ci arricchiamo di 28mila miliardi di dollari. Il debito dei 41 paesi più in rosso è di 9 miliardi. Meno di un millesimo di quella cifra. Eppure…”

Al convegno dei giovani industriali ho sentito tanti luoghi comuni, ma anche alcune affermazioni rivoluzionarie. Come la proposta del presidente Garrone di costruire le politiche economiche per i Paesi poveri su indicatori diversi, quali l?indice di sviluppo umano. Non so quanti dei presenti in sala abbiano capito la portata dell?idea, perché nessuno ha replicato?». È un po? stanco Luca De Fraia, il coordinatore di Sdebitarsi. Stanco ma felice, come si usa dire: stanco per i continui viaggi in treno da Roma a Genova (o Santa Margherita), per ribadire le ragioni della contestazione anti G8, ma felice perché in mezzo ai tanti strilli che offuscano i temi davvero in ballo al vertice, comincia a farsi sentire qualche voce degna di attenzione.
Vita: Ci fa qualche esempio?
Luca De Fraia: Sempre al convegno degli industriali ho sentito parlare a lungo di carbon tax. E poi ci sono stati, in ordine cronologico, gli interventi di Amato, Ciampi e Berlusconi a favore di una cancellazione totale del debito da parte italiana.
Vita: Già, la legge di cancellazione. A che punto siamo con il condono dei nostri 8000 miliardi di crediti?
De Fraia: A un punto morto. La legge è ottima, ma ha avuto un regolamento pessimo che la vanifica. La norma prevede, all?articolo 1, che il nostro Paese possa condonare i debiti unilateralmente e quando vuole; il regolamento del ministero del Tesoro riporta la nostra azione nell?alveo delle iniziative concordate con il Club di Parigi, cioè il programma Hipc che prevede di alleggerire solo 41 Paesi di una parte del debito.
Vita: Cosa si può fare per tornare indietro?
De Fraia: Si dovrebbe riscrivere il regolamento, o intervenire in tribunale nelle singole applicazioni della legge, Paese per Paese. Ma sarebbe un procedimento lungo e per specialisti. Amato, Ciampi e Berlusconi hanno dichiarato di voler accelerare le procedure, aggirando di fatto il regolamento e obbedendo alla legge. Ma dovranno confermare le parole con i fatti.
Vita: A quali Paesi nel mondo è stato condonato effettivamente il debito?
De Fraia: Ad aprile, data dell?ultima rilevazione, risultava che solo l?Uganda ha potuto godere di un alleggerimento significativo. Ha raggiunto cioè la ?soglia di sostenibilità? fissata dal club di Parigi. Ben altra cosa sarebbe la cancellazione, però.
Vita: Quando i governi parlano di cancellare il debito, di quanti soldi si discute?
De Fraia: Di meno di un millesimo della ricchezza annuale mondiale. Mi spiego. Ogni anno noi diventiamo più ricchi di 28mila miliardi di dollari. L?Africa, tolto il Sudafrica, è titolare di una minima parte di questa ricchezza, 300 miliardi; l?Italia vi contribuisce per 1150 miliardi. Ora, il debito dei 41 Paesi più indebitati ammonta a 9 miliardi di dollari. Nove su 28 mila. Dov?è il problema finanziario? Ancora: l?Africa subsahariana spende 13,5 miliardi di dollari l?anno per il servizio del debito. Ne basterebbero 15, secondo l?Onu, per curare i malati di Aids di tutto il continente. Dov?è il problema umanitario? Forse allora la questione è politica: il 40% dei crediti dei Paesi poveri sono in mano a Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, che sono poi gli stessi istituti che decidono le procedure di riduzione.

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