Sostenibilità
Furto d’acqua: le mani delle multinazionali su un bene comune
Il 22 marzo è la Giornata mondiale dell'acqua. Cosa c'è da sapere e capire sul fenomeno del water grabbing, il furto d'acqua che condanna popoli e Paesi e arricchisce le multinazionali in un importante libro di Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli, pubblicato da Emi
di Marco Dotti
Chi ricorda La grande scommessa, il film di Adam McKay, premio Oscar nel 2015, ricorda anche una piccola, ma allarmante indicazione fra i titoli di coda: il fisico e hedge fund manager Michael Burry, dopo aver vinto la scommessa sul crollo del mercato dei mutui immobiliari che provocò la crisi sistemica del 2008, stava indirizzando attenzione e investimenti «su una commodity: l'acqua».
Anche i fondi speculativi hanno da tempo orientato parte dei loro investimenti sull'acqua, una risorsa fragile e, pehttp://www.emi.it/water-grabbingrtanto, scarsa. Ovvero: appetibile. Benché il 74% della superficie terrestre sia composta da acqua, soltanto l’1% di quest'acqua è potabile. Scarsità e affari. Ma anche guerre, per una risorsa sempre più strategica per la sopravvivenza di popoli e Paesi. È il fenomeno del water grabbing.
far luce su questo fenomeno è indispensabile il ricorso a Water grabbing. Nuove guerre per l'accaparramento dell'acqua, il libro di Emanuele Bompan e Marirosa Iannelli, che esce proprio oggi per Emi (pagine 208, euro 19.50). Con il neologismo "water grabbing" o accaparramento dell'acqua, leggiamo, ci si riferisce a situazioni in cui attori potenti sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi che sono depredati». Gli effetti del water grabbing sono devastanti: migrazioni forzate, privatizzazione delle fonti idriche, «controllo forzato per progetti di agrobusiness di larga scala, inquinamento dell'acqua per scopi industriali che beneficiano pochi e danneggiano gli ecosistemi, controllo delle fonti idriche da parte di forze militari per limitare lo sviluppo».
L'espressione "water grabbing", si riferisce a situazioni di conflitto asimmetrico in cui determinati attori sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi che vengono depredati.
La geopolitica del water grabbing tocca vaste aree del pianeta: Medioriente, America Latina, Afriche, Asia, Australia. Ma al contempo, la zoan di contesa e di guerra latente per conquistare le risorse idriche si sta allargando. Il 97% è costituito dagli oceani, il 2,1% si trova nelle calotte polari e nei ghiacciai, mentre solo lo 0,65% è concentrato nei fiumi, nei laghi, nelle falde acquifere e sotterranee e nell’atmosfera.
A fronte di questa realtà, ci sono 1 miliardo di persone che non hanno accesso all’acqua potabile nel mondo, mentre il 70% delle terre emerse è oggi a rischio desertificazione.
Con l'aumento dei consumi idrici e della popolazione, osservano gli autori, la disponibilità di acqua pro capite a livello globale è passata dai 9.000 metri cubi d'acqua potabile/anno che erano a disposizione negli anni Novanta ai 7.800 della prima decade del XXI secolo. Gli scenari a breve termine prevedono inoltre che, nel 2020, questa disponibilità scenderà a poco più di 5.000 metri cubi, «circa l'equivalente di due piscine olimpioniche».
A questo problema globale, si affianca però il problema della distribuzione. Con un paradosso: mentre diminuisce la disponibilità di acqua pro capite, aumenta il consumo. «Se in Italia nel 1962 ogni cittadino aveva a disposizione 3.587 metri cubi d'acqua, nel 2018 questa disponibilità è scesa a meno di 3.000». Una riduzione da poco, se comparata a quella del Ruanda, passato da 3.114 metri cubi a 837, e alla Siria: da 1463 metri cubi a circa 300». E nei prossimi vent'anni la domanda di acqua crescerà di circa il 40% , con picchi di oltre il 50% nei paesi in via di sviluppo.
Spiegava d'altronde l'ex segretario delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali che nel secolo in cui ci troviamo, l'acqua sarà presto più importante del petrolio. Ed è attorno a questo nuovo oro, l'acqua, che si combattono e si combatteranno sempre più guerre.
Water wars: si chiamano così i conflitticombattuti per l'acqua o per la sua mancanza. Ne abbiamo avuti esempi in Siria, dove la siccità avrebbe secondo alcune letture contribuito all'innesco della guerra civile, in Sudan, ma anche lungo la faglia geopolitica dell'Indo, che crea continue tensioni fra Pakistan e India. Oggi le guerre dell'acqua sono responsabili di gran parte dei fenomeni di migrazione interna: fenomeni altamente destabilizzanti sia a livello locale, che globale.
Ma il rischio riguarda anche noi. Per questo, osservano gli Autori di Water grabbing, «speriamo di creare una community intorno al progetto water grabbing, di cittadini, imprese, ricercatori, per essere attivi sui territori e per segnalare casi nuovi e importanti ricerche in corso. Rendersi attivi nella lotta all'accaparramento idrico è il modo migliore per contribuire alla tutela del nostro diritto all'acqua e a perseguire il principio di equità intergenerazionale, affinché anche i nostri figli e pronipoti possano godere di questo incredibile pianeta e di tutti i suoi servizi ambientali insostituibili».
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