Politica

Fuori dai recinti della politica

In questi dieci anni si è liquidato il modello concertativo che aveva permesso riforme con il consenso e aveva salvaguardato stipendi e salari. Intervista a Savino Pezzotta.

di Ettore Colombo

Se prendi appuntamento con ?l?orso bergamasco?, alias Savino Pezzotta (60 anni, sposato con prole) e chiedi di andarlo a trovare nella sua tana, ti aspetti una roba da sindacalismo anni 50. Sarà quel suo anti look, le giacche sempre troppo aperte su camicie sempre troppo bianche, le cravatte dal nodo improbabile e dal colore peggio, la parlata stretta e veloce, un po? roca, che sa tanto di fabbrica. Tipo quella dalla quale Pezzotta proviene, roba da classe operaia. Cattolica, certo, moderata, ma sempre classe operaia. Una bestemmia, in un mondo dove – dicono – gli operai non dovrebbero esistere più. E invece il segretario della Cisl, il secondo sindacato italiano, lavora in una sede, quella nazionale di via Po, che è un gioiellino. Fuori, magari, il palazzo appare dimesso, ma dentro è bello, tirato a lucido, elegante. Aspettiamo il segretario in un ufficio stampa, silenzioso ed efficientissimo, e l?ufficio di Pezzotta è solare, accogliente. Anche lui sembra meno burbero del solito: sarà che Vita lui la apprezza per davvero, sarà che è l?uomo del giorno da tanti di quei giorni che qualcuno potrebbe anche cominciare a ingelosirsi. Lui è l?uomo del dialogo (col governo), del pungolo (con l?opposizione), delle riforme (con tutti). Al ?Riformista day? il leader del nuovo Ulivo sembrava lui. I Ds lo temono, la Margherita lo corteggia, Prodi lo cerca, Maroni pure, gli industriali lo rispettano. Piace anche al movimento pacifista e al mondo dell?associazionismo. Altro che ?segretario di transizione?: la Cisl è casa sua. Da un po? di tempo, poi, l?orso ha una fissa, in testa, assieme ai temi sindacali: la mobilitazione per l’Africa. “è un continente dimenticato pieno di guerre, fame e miserie ma anche di risorse umane che non sappiamo cogliere. C?è una ricchezza, un?umanità, lì, fatta di culture, musiche, colori, cose belle, che rischiano, a causa della nostra insipienza e avarizia, di perdersi e impoverire la dimensione umana del mondo”, dice con calore alla fine dell?intervista, mentre ci allunga la spilla con un?Africa d?oro, simbolo di una grande iniziativa che lui ha voluto e che si farà ad aprile a Roma, auspice il sindaco Veltroni, che dell?Africa è un altro buon amico.

Vita: Il 1994 è stato una specie di anno spartiacque, anche per il sindacato. Lei cosa faceva, nel 1994?
Savino Pezzotta: Ero segretario della Cisl Lombardia? Sono stati anni difficili, quelli, ma anche gli anni in cui viene lanciata la politica della concertazione e in cui la prospettiva di portare il nostro Paese in Europa diventa un obiettivo a portata di mano. Sono anni di costruzione di un sistema di relazioni sindacali (che arrivano fino alla fine degli anni 90) che hanno consentito al nostro Paese di raggiungere l?obiettivo della moneta unica, di entrare in Europa, che hanno determinato la possibilità di un abbassamento dell?inflazione e anche di modificare in positivo il sistema dei consumi. Questo grazie all?aver messo in piedi, allora, un sistema di relazioni virtuose che, dalla concertazione alla politica dei redditi alle nuove modalità contrattuali, ha consentito un governo dei processi sociali che ancora oggi giudico positivo.

Vita: Ci furono anche parecchie contestazioni, però, di fronte alla scelta della politica della concertazione.
Pezzotta: Con l?accordo del 93 le contestazioni cessano: certo, non fu un passaggio semplice. C?era il fenomeno degli ?autoconvocati? e alcune aggressioni in piazza, ma nel 94 il sindacato recupera spazio e ruolo anche a causa della grande debolezza della politica. Siamo in piena Tangentopoli, quando il sindacato gioca, per necessità, un ruolo politico-istituzionale che non aveva mai giocato prima: di fatto, sostituisce la forza dei partiti in una fase di crisi profonde delle rappresentanze politiche. Bisogna anche sfatare certi miti della ?letteratura? sindacale di allora: non ci fu, nei lavoratori, la sfiducia nel sindacato. Ci furono alcune frange, il più delle volte marginali, che approfittarono di situazioni difficili. Ma un sindacato che ha una visione generale, ha un?attenzione al bene comune, che media la forza dei forti per rafforzare i deboli è sempre la scelta vincente. Questo dimostra tutta la storia del sindacalismo. Nel 1993 me li ricordo i bulloni che volavano nelle piazze. Ma quando il sindacato mette in campo una strategia complessiva, è quella che vince, non chi vive di parzialità. Perché poi, alla fine, chi fa gli accordi è il sindacato confederale: io non ho ancora mai visto un accordo fatto dai Cobas? Mi piacerebbe vedere un accordo fatto da loro per poterlo criticare. Un sindacato non può vivere senza fare accordi.

Vita: Il modello della concertazione oggi è finito?
Pezzotta: Non penso affatto che sia finito, penso che c?è qualcuno che non lo vuole più praticare. è come chi ha una bella macchina, la mette in garage e va in giro a piedi: ecco cosa sta succedendo. E se ne vedono le conseguenze nelle tensioni sociali e negli scioperi di questi mesi. Anche allora venne contestato il modello concertativo, anche da parti importanti dello stesso sindacato: nel 1992 Bruno Trentin, allora segretario della Cgil, diede le dimissioni. Vi fu, nel sindacato, una dialettica interna vera, forte, con molte difficoltà, all?inizio, a far recepire il modello ma da quando partì i risultati si videro subito: chiudemmo velocemente i contratti, si ritrovò la pace sociale e demmo un aiuto forte al Paese. Non sarebbe agganciato così fortemente alle dinamiche europee se non avessimo abbassato l?inflazione e abbassato il debito pubblico. Tutti risultati ottenuti con la concertazione. La riforma delle pensioni nasce, non a caso, proprio in quel periodo. Riforme profonde fatte con il consenso. La differenza è questa: la politica della ?non concertazione? porta a tentativi di riforma senza consenso.

Vita: Nel 1994 si discuteva anche di ?unificazione? tra i tre sindacati. La Cisl si sentiva ?ancella? della Cgil?
Pezzotta: Sì, è vero: come Cisl (io divenni segretario generale solo nel 2000) lanciammo la proposta di una costituente per l?unità ma venne rifiutata dall?allora segretario della Cgil, Sergio Cofferati: non c?erano le condizioni per aprire la fase di un nuovo sindacato unitario, disse, e lo disse anche con grande nettezza. Allora iniziò la fase della cosiddetta ?unità competitiva? e anche qualcosa di più. La Cisl non era affatto in affanno, allora. Fummo noi a volere con più forza il modello della concertazione, per la nostra stessa natura, che è quella di un sindacato partecipativo. La Cisl continuava ad andare avanti su una strada molto chiara, quella di affermare l?autonomia del sindacato rispetto alle forze politiche, che non vuol dire estraniarsi o non partecipare ai dibattiti politici ma vuol dire non schierare il sindacato a favore di nessuno. Il sindacato ha un solo compito: far avanzare e tutelare i diritti di lavoratori e pensionati. Una società plurale prevede la rappresentanza della politica, ma anche le rappresentanze sociali, con una funzione diversa ma non subordinata. Esse esprimono certamente una politicità parziale perché rappresentano interessi parziali (parzialità cui il sindacato confederale aggiunge una visione generale) ma hanno un?idea di società plurale nella quale le persone si organizzano e si rappresentano attraverso associazioni, sindacati, movimenti. Alla politica noi neghiamo il dominio sulla società: essa ha il compito del governo, dell?orientare i cittadini, compito con il quale bisogna stare in un rapporto positivo e dialettico. Ma poi ci siamo noi – forze sociali, corpi intermedi – che rappresentiamo non uno schema politico, ma la costituzione stessa della società. La politica dovrebbe favorirli. La tutela dei corpi intermedi significa la tutela di quella sussidiarietà orizzontale che è necessaria tanto quanto la sussidiarietà verticale.

Vita: Cosa pensa dei leader sindacali che fanno politica? E Cofferati lo voterebbe a sindaco di Bologna?
Pezzotta: L?impegno di un sindacalista in politica non mi scandalizza purché restino distinti ruoli e funzioni: non posso usare il mio ruolo di sindacalista per fare politica. La distinzione fa bene a entrambi. Cofferati sindaco di Bologna? Dipenderà dal programma (ride).

Vita: Tranvieri, piloti, tassisti sul piede di guerra. La legge sul diritto di sciopero va bene così com?è?
Pezzotta: Per me sì. Perché non è una legge che può evitare gli scontri sociali, ma la politica. Se nei miei interlocutori vi fosse più sensibilità politica per le richieste dei lavoratori, le tensioni e le eresie che esprimono non ci sarebbero. Il problema è capire perché non funzionano le relazioni sindacali: non certo per colpa del sindacato.

Vita: Quella di oggi è la peggiore Confindustria?
Pezzotta: Con questa Confindustria abbiamo fatto accordi e liti come avviene in tutte le relazioni sindacali. A me interessa una Confindustria che dialoghi con il sindacato. Dipende da loro. Quanto sono geloso della mia autonomia, tanto rispetto quella altrui. Si sceglieranno il presidente che vogliono. Spero sia un presidente che guardi alle relazioni sindacali come a un?opportunità e non come a un vincolo, non bisogna mai criminalizzare gli interlocutori: vanno giudicati sui fatti. Inoltre sono convinto che molte volte interessi delle imprese e interessi dei lavoratori possono anche convergere.

Vita: Rimpiange i grandi capitalisti di una volta rispetto ai Tanzi di oggi?
Pezzotta: Mah, i Tanzi ci sono sempre stati, nella storia d?Italia? Quello che auspico è una ?rifondazione? del capitalismo italiano, non perché sono contro il capitalismo ma perché credo che lo stato della democrazia economica nel nostro Paese, rispetto alla globalizzazione e alle nuove sfide mondiali, avrebbe bisogno di una riforma profonda e più ampia. Non bastano le ?super-Authority?, serve una politica economica in grado di spingere le imprese sul terreno dell?innovazione, nel sostegno della competività e sui nuovi mercati. Servirebbe uno statuto economico che regoli meglio il rapporto tra banche e imprese. Il capitalismo italiano va riformato profondamente: è un dato di necessità.

Vita: Parliamo del suo rapporto con questo governo. Era tacciato di essere suo amico. Ora ne è nemico?
Pezzotta: Io faccio il sindacalista. Quando c?è stato da fare un accordo (il Patto per l?Italia) l?ho fatto: i temi che abbiamo posto sul tappeto allora erano quelli su cui bisognava intervenire (Mezzogiorno, innovazione e ricerca, scuola e formazione, infrastrutture, mercato del lavoro). In generale, cosa deve fare un sindacato quando si trova di fronte un governo? Finge che non ci sia o ci si confronta? Questo governo ha lasciato che il modello di relazioni sindacali costruito in questi dieci anni andasse a esaurimento e non l?ha sostituito con nient?altro. Ecco perché ci troviamo in una situazione in cui il conflitto, i contratti, le politiche economiche, la tutela del potere d?acquisto del salario e delle pensioni non sono governati. Una politica sbagliata.

Vita: Il nuovo Ulivo le piace?
Pezzotta: Tutto ciò che di nuovo si muove in politica va seguito con attenzione, e poi sono convinto che per avere un buon governo bisogna avere una buona opposizione. Noi dobbiamo arrivare, in questo Paese, a un?opposizione che dia ogni giorno l?impressione che potrebbe prendere il posto del governo. Mi piacerebbe una bella opposizione capace di far tremare la sedia di chi governa. Sempre, tutti i giorni, a prescindere da chi governa.

Vita: Si parla molto d?impoverimento dei ceti medi…
Pezzotta: Io sono convinto che l?impoverimento è reale. Ma dico anche attenti, va bene parlare del ceto medio, ma mi preoccupano soprattutto le fasce più deboli della popolazione, quelle che stanno pagando di più. Pensi al rincaro degli affitti e dei prezzi. Paga di più chi è più debole. Serve subito una politica per le famiglie.

Vita: E i dieci anni del Terzo settore come li ha visti?
Pezzotta: Noi abbiamo seguito con attenzione la nascita del Terzo settore perché abbiamo un idea plurale dell?economia: in mezzo, tra economia pubblica ed economia privata, c?è lo spazio del sociale e di un sociale che può e deve essere in grado di esprimersi in termini economici. Non c?è un solo modo per fare economia né ci deve essere solo lo scontro tra economia pubblica ed economia privata. Di mezzo c?è un sociale che è in grado di autorganizzarsi e di produrre beni.

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