Cultura

Fuocoammare, la tragedia degli sbarchi convince Berlino

L'unico film italiano in corsa alla 66esima edizione del Festival di Berlino si è aggiudicato il massimo premio. Il documentario, che racconta il flusso dei migranti verso il nostro Paese, è stato girato da Gianfranco Rosi nell'isola di Lampedusa nel corso di un anno

di Monica Straniero

L'unico film italiano in corsa alla 66esima edizione del Festival di Berlino si è aggiudicato il massimo premio. Il documentario, che racconta il flusso dei migranti verso il nostro Paese, è stato girato da Rosi nell'isola di Lampedusa nel corso di un anno. Gianfranco Rosi, Leone d’Oro a Venezia nel 2013 con Sacro Gra, si è trasferito per più di un anno a Lampedusa per affrontare ciò che lui stesso ha definito come la peggiore tragedia umanitaria dopo l'Olocausto.

Da questa esperienza è nato Fuocoammare che prende il titolo da una canzone popolare degli anni Quaranta in cui si narra di navi da guerra in fiamme che accendevano il mare di luci. Attraverso gli occhi del piccolo Samuele, dodici anni, della sua famiglia e di altri personaggi, il regista ci mostra in parallelo la realtà di chi vive da sempre a Lampedusa e di chi ci arriva per andare altrove, i migranti. «Era necessario superare la tendenza tipica di giornali e televisione di raccontare la tragedia dei migranti in termini di cifre, statistiche: quante vittime, quanti profughi», racconta Gianfranco Rosi nell’incontro con la stampa. «E se l’Europa ha scoperto il dramma dei profughi un anno e mezzo fa, a Lampedusa è un problema che si protrae da oltre vent'anni. Anche se oggi l'arrivo di tutte queste persone è istituzionalizzato. Prima i barconi giungevano direttamente all’isola. Oggi con l’avvento delle missioni come Mare Nostrum, Frontex e Triton, le imbarcazioni vengono intercettate in alto mare e i naufraghi fatti sbarcare in un molo laterale del porto vecchio». Nel documentario vediamo il centro di accoglienza dove i migranti vengono assistiti ed indentificati per poi ripartire qualche giorno dopo verso il continente.

«Qui ho avuto la possibilità di avere un contatto più ravvicinato, per scoprire un mondo nel mondo, nettamente separato dal quotidiano dell’isola, con i suoi ritmi, le sue regole, le sue religione e le tragedie personali».

Il documentario di Rosi è l’unico film italiano in concorso per l’Orso d’oro al Festival di Berlino. Nel centro di un paese che si sente sopraffatto dal numero crescente di rifugiati e dove i fatti di Colonia hanno infiammato le polemiche contro la politica di Angela Merkel, accusata di aver aperto le porte a circa un milione di profughi arrivati dalle stesse aree geografiche da cui si dice che provengano gli autori delle aggressioni. «Anche se il pubblico e la stampa tedesca hanno accolto con entusiasmo il film, ho comunque avvertito la tensione legata all'accoglienza dei rifugiati. E poi si apre soltanto ai migranti siriani. E tutti gli altri?», chiede il regista.

Nel film, Samuele è costretto a portare una benda per contrastare un occhio pigro. Un difetto che per Rosi diventa metafora perfetta dell’incapacità di istituzioni europee e mondiali di trovare una qualsiasi soluzione efficace alla crisi dei rifugiati. «Sono buone solo a chiudere le frontiere» dice Rosi. L’anno scorso la Bulgaria, nel tentativo di contenere il flusso, ha sviluppato un vero e proprio muro, una barriera lunga 160 km costruita lungo il confine con la Turchia. L'Austria ha deciso di installare delle recinzioni di filo spinato lungo in confini con Slovenia e Italia.

Ma non saranno i muri a fermare chi fugge da guerra e povertà in Africa e Medio Oriente e uomini, donne e bambini continueranno ad essere inghiottiti dalle acque. Lo sa bene il regista che dopo tre mesi su una nave della Marina Militare per riprendere i momenti drammatici dei soccorsi in mare, ha incontrato la tragedia nella stiva di un barcone. E Rosi ce li sbatte davanti al naso i corpi senza vita di decine di migranti morti di fame e sete, o uccisi dalle esalazioni del motore. Le immagini sono tutto ciò che ci rimane dei migranti che arrivano. Perché se non li guardiamo siamo anche noi complici di una mattanza vergognosa e di trafficanti senza scrupoli.

«Quello degli scafisti è un business fiorente che frutta miliardi» Pietro Bartolo, il medico dell’Isola, ma soprattutto il medico dei migranti. Ne ha salvati a centinaia ma ha anche contato i morti, di tutte le provenienze e di tutte le età. «Sui barconi c’è la prima, la seconda e la terza classe. Chi sta in basso, nella stiva, non ha pagato abbastanza per avere più possibilità di salvarsi in caso di naufragio. E se riescono a sopravvivere alla traversata, dopo giorni senza acqua né cibo, hanno profonde ustioni sul corpo. È la nafta che fuoriesce dai bidoni e che unita all'acqua di mare brucia la pelle. Immagini che ti lasciano dentro il vuoto».

Per Rosi anche la parola tragedia è ormai fuori luogo. «Ormai siamo assuefatti alle notizie dei migranti che muoiono, al punto che il commento che facciamo è sempre lo stesso, poveri cristiani».

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