Non profit

Fundraising troppo aggressivo: necessario un cambio di stile. E di strategia

di Massimo Coen Cagli

L’autorevole rivista inglese Third sector apre oggi con un articolo dedicato ad un tema più volte richiamato, seppure in modo molto soft, anche in questo mio blog, ossia i  limiti di un approccio troppo aggressivo delle campgne di fundraising.

Il titolo è: Le Raccolta fondi aggressive fanno diminuire la fiducia del pubblico.E lo si può leggere qui

A sancire questo preoccupante fenomeno è l’All Party Parliamentary Group on Civil Society and Volunteering, un gruppo di parlamentari di tutti i partiti che garanitsce un forum permanente (aperto ai dirigenti non profit) sulle tematiche legate al terzo settore e alla società civile (il che è spia di come un paese moderno – non certo l’Italia – tenga in considerazione le politiche sullo sviluppo del terzo settore al pari di quelle dello sviluppo del settore privato).

L’allarme riguarda il fatto che il ricorso a forme aggressive di fund raising (tra le righe si capisce che si fa riferimento da un lato alle pratiche tipo “porta a porta” sia a campagne volte semplcemente a portare via i soldi – come diremmo noi – “sporchi, maledetti e subito”) sta facendo calare in modo molto significativo la fiducia del pubblico circa il fundraising e quindi il non profit.

Inoltre il gruppo parlamentare mette in evidenza che le strategie di breve termine legate solo alla “cassa” tendono ad essere poco efficaci rispetto al vero problema di fondo che è la sostenibilità nel tempo delle cause sociali.E denuncia anche che da troppo tempo i dirigenti del non profit, rispetto a queste crescenti accuse da parte dell’opinione pubblica,  si limitano a fare orecchie da mercante o a dire che non riguardano le proprie organizzazioni mostrando una certa preoccupante impermeabilità rispetto al mutato contesto sociale e al “sentimento” della società civile.

Di questo forse si discute poco in Italia, dove il dibattito sul fundraising è ancora troppo ancorato o al piagnisteo di chi dice che la gente non dona più a causa della crisi economica o allo sviluppo di tecniche di marketing che massimizzino i risultati a qualunque costo. Mettendo in secondo piano il dibattito sul miglioramento delle strategie per intessere un rapporto duraturo e fiduciario con i propri donatori.

Ancora una volta, si tratta di prendere atto in modo inequivocabile che il contesto nel quale il fund raising si sviluppa è profondamente cambiato: le persone che donano sono diverse, i valori ai quali fanno riferimento sono cambiati, e soprattutto l’intelligenza e la soggettività delle persone è evoluta, grazie anche all’alto livello di istruzione e al facile accesso alle informazioni che rendono un doantore in grado di avere maggiore capacità di cernita. Per cui le attese in termini di contenuti, capacità strategica e accountability sono molto aumentate.

Il tema della fiducia è essenziale in una fase del nostro paese (del nostro mondo) in cui vi è crisi di fiducia nelle istituzioni di ogni tipo. Incluse le organizzazioni non profit, troppo spesso protagoniste di campagne autoreferenziali che toccano il vecchio tasto del senso di colpa dei donatori o strizzano l’occhiolino  al vecchio approccio di marketing (fare qualunque cosa per vendere) e meno a condividere la causa sciale e i progetti con i propri donatori. Secondo questo approccio la causa viene trattata alla stregua di un prodotto vendibile e l’organizzazione alla stregua di una azienda che deve fare cassa a tutti i costi.

A muovere tale atteggiamento non credo sia la malafede (sarebbe veramente una tragedia se fosse così) ma la cecità strategica e la scarsa capacità di analisi del contesto. Come dire: troppa attenzione alle tecniche e poca attenzione a contenuti e strategia.

Da questo articolo ci viene un bel segnale d’allarme che qualcuno aveva già percepito sia in generale (vedi la Survey della Scuola di Roma sui trend di cambiamento del fundraising), sia  nello specifico di alcune pratiche che hanno destato una risposta negativa da parte dei potenziali donatori (si veda il dibattito acceso, svoltosi non più tardi di un anno fa sui dialogatori e sulle campgne massmediali per i SAD su vari blog e sulle pagine di Vita.it).

Insomma un aspetto sul quale riflettere. Magari a partire dal prossimo Festival del Fundraising che rappresenta una occasione di incontro importantissima per i professionisti del settore e coloro i quali fanno del fundraising la loro sfida per cambiare la società.

 

 

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