Qualche settimana fa ho partecipato all’iniziativa Blogforcare lanciata da Mattia Marasco, che per la seconda volta quest’anno ha invitato blogger e specialisti della comunicazione a intraprendere un viaggio alla scoperta di un’associazione non profit. Dopo l’ospedale Meyer di Firenze, è toccato a 1caffè.org, un’organizzazione nata per diffondere una bellissima abitudine del sud Italia, quella del caffè sospeso: al bar, un cliente può pagare per due caffè, bevendone uno solo, lasciando l’altro in “sospeso” per chi non può permetterselo.
Così abbiamo passato un pomeriggio nel quartier generale dell’associazione, negli spazi del Cortile del Maglio di Torino, per discutere di una questione che prima o poi tutte le associazioni non profit si trovano ad affrontare: come trasformare i “mi piace” su Facebook in una partecipazione più attiva? Per un’associazione che conta già undicimila fan, rispondere a questa domanda equivale a vincere una lotteria, o quasi. Abbiamo provato a ragionare sullo storytelling, sulla semplificazione del messaggio (quanti, ad esempio, conoscono la tradizione del caffè sospeso?), e su nuove iniziative che potrebbero coinvolgere direttamente le onlus che beneficiano delle donazioni. In realtà, il fundraising online è il cruccio di moltissime associazioni. Anche per la mia ricerca sulle ong e l’uso dei social media in Italia, il 48% delle associazioni considera non soddisfacente i risultati della raccolta fondi online.
Mentre eravamo in pieno brainstorming ho provato a condividere la questione con i miei amici su Facebook, che secondo me hanno centrato in pieno il problema:
Perché le persone non donano online?
Elena: perchè… non hanno soldi manco nelle tasche?
Gigi: C’è ignoranza dal lato utente, dei circuiti di sicurezza che regolano le transizioni online. Transizioni monetarie che, a mente ingenua, sembrano non sicure. Lo user medio che “naviga” regolarmente è diffidente se ignora.
Mariangela: pigrizia per la registrazione, dare il 5 x mille è più semplice, devo solo firmare un foglio che già devo compilare.
Dunque, come dice Elena, le donazioni calano per la crisi economica, ma una campagna di raccolta fondi via sms invece ottiene ancora moltissimo successo in Italia. Perché supera i problemi identificati da Gigi, la diffidenza degli utenti, e da Mariangela, la pigrizia della registrazione.
Quale soluzione allora? Sicuramente continuare a promuovere la cultura delle donazioni online, il modo da diminuire la percentuale di utenti che vorrebbero donare, ma si scoraggiano per il metodo a disposizione. Mai smettere di spiegare come funzionano le transazioni online, dove finiscono i dati inseriti e i soldi donati.
Poi, sperimentare il crowdfunding. Che non è la trasposizione della raccolta fondi dal sito internet a una piattaforma più interattiva. Il meccanismo deve cambiare: le persone devono sentirsi gratificate da un risultato finale che in qualche modo gli “torna” in quanto benefit sociale (ad esempio, possono condividere sui social la loro donazione), riconoscimento di status (“sei anche tu un donatore junior/senior/ninja”, con il titolo che aumenta in base alle donazioni inviate), premio materiale (gadget, partecipazione a un evento).
Segnalo ancora questa ricerca interessante su come i millennials (i nati dal 1978 al 1992), navigano sui siti delle onlus, leggono le notizie, le condividono sui social network e decidono di donare per una causa. La maggior parte di loro vuole storie di persone che vengono aiutate all’organizzazione, sono molto critici sui siti internet che non si leggono via mobile e partecipano a una call to action quando è indicato chiaramente cosa devono fare.
Ci sono 20 video in cui i giovani interpellati sono filmati mentre navigano online e commentano gli aspetti più critici dei siti delle non profit. Sono in inglese ma ognuno dura al massimo 2 minuti. La visione è altamente consigliata, magari davanti a una tazza di caffè 🙂
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