Fundraising, caro Renzi parliamone…

L'intervento e le proposte di Massimo Coen Cagli, direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-Raising .it al festival del Fundraising in programma fino al 16 maggio a Pacengo di Lazise (Vr)

di Redazione

Il Governo italiano ha mandato numerosi segnali in merito alla necessità di ristabilire condizioni di garanzia per il sistema del welfare italiano e di voler aprire ad una maggiore interazione con il mondo non profit. Le intenzioni non mancano e anche la promessa di compiere atti significativi. Ma c’è un pezzo mancante nell’azione di governo: un pezzo fondamentale e indispensabile. Manca una politica del fundraising. Il fundraising viene ancora trattato come se fosse la piccola economia domestica del non profit e non invece, quale oggi è in tutto il mondo, uno strumento fondamentale dell’economia sociale e civile che è alla base del nuovo welfare.

Oggi relegate alla mera funzione fiscale, le politiche del fundraising, invece di chiudere spazi (come nel caso dei tanti ostacoli sul 5 per 1000, sull’accesso ai dati, sulle agevolazioni, sulla titolarità a fare fundraising da parte dei servizi pubblici territoriali, ecc..) dovrebbero aprirli. Stiamo perdendo tempo attorno alla questione del 5 per mille quando questa è una briciola rispetto al potenziale economico del fundraising. Un potenziale inespresso proprio a causa della mancanza di  politiche di agevolazione e defiscalizzazione, d’incentivazione, di garanzia della qualità del fundraising, di sensibilizzazione verso una cultura moderna, razionale e democratica del donare.

Fa comodo a tutti relegare la donazione ad una azione caritatevole e retorica. Va bene alle organizzazioni che ancora usano il genere pietistico o che puntano sulle emergenze e alle organizzazioni pre-moderne, che sognano di essere sostenute “per legge” dai fondi pubblici. Va bene alle macchine di marketing del non profit, che usano per le donazioni esclusivamente i sistemi di vendita dei prodotti. E va bene, tutto sommato, soprattutto allo Stato che così può trattare il fundraising per il non profit come tratta le agevolazioni per alcune categorie sociali ed economiche: “se abbiamo possibilità vi facciamo una agevolazione o un favore, se non ne abbiamo (e oggi con la crisi economica non ne hanno!), allora non se ne parla”. Senza capire che alla base del fundraising non ci sono le sorti del non profit in quanto categoria giuridica di organizzazioni, ma le sorti del welfare e quindi del nostro Paese. Per cui non si pensa a politiche di investimento sul fundraising ma solo a politiche fiscali.

Certo lo Stato, in quanto titolare di politiche pubbliche, gioca un ruolo non indifferente nello sviluppo del fundraising. Ma il primo soggetto che deve operare dei cambiamenti e anche profondi è proprio il non profit e il mondo dei servizi alla collettività. E’ una nostra responsabilità che non ci può far stare con la coscienza a posto solo perché abbiamo manifestato e raccolto firme per chiedere maggiori garanzie sul 5 per 1000.

La morte del paradigma del vecchio fundraising

Infatti il Fundraising è all’alba di un grande cambiamento se non di una vera e propria rivoluzione.
Fino ad oggi il suo ruolo è stato quello di porre rimedio alle mancanze di un sistema fondato sull’economia pubblica (quella basata sulle tasse necessarie a redistribuire ricchezza in termini di servizi di welfare) e dell’economia di mercato (basata sul libero scambio e funzionale alla produzione di profitto). Laddove questi due sistemi erano incapaci di garantire benessere in modo equo a tutti, il fundraising è intervenuto con una “piccola economia” che turasse le falle del sistema.

Presupposto del fundraising, in questo paradigma, è che vi fosse una parte ricca che, per ragioni etiche e culturali e in parte per i vantaggi che poteva percepirne, fosse in grado di gestire generosamente la propria ricchezza a favore di una parte che si trova in bisogno. Altro presupposto è che dovesse esistere un intermediario indispensabile nel trattare determinati problemi sociali, ossia il non profit. Per agire a favore dello sviluppo dei paesi africani bisogna passare dalle ONG. Per aiutare i disabili nell’inserimento sociale e lavorativo serve l’associazione o la cooperativa sociale. Il popolo dei donatori quindi ha un rapporto con i beneficiari che è sempre mediato da una “istituzione” che tende ad escludere altri possibili legami tra donatore e beneficiario.

Questo vecchio paradigma e i suoi presupposti sono completamente saltati. E questo per almeno tre ragioni.
La prima è che il sistema attuale di welfare sociale non solo non è in grado di rispondere a problemi di determinate fasce sociali ma è un sistema che non è più in grado di garantire in modo accettabile il benessere sociale e personale dell’intera comunità: per mancanza di risorse economiche, competenze e di consenso nelle autorità che lo gestiscono. Queste sono le endemiche “falle” del sistema.

Il secondo è che individui, imprenditori e operatori delle istituzioni filantropiche possiedono capacità, conoscenze e informazioni molto maggiori sulle cause sociali per le quali si chiedono fondi. In qualità di donatori, quindi, hanno una enorme capacità di selezione delle proposte che arrivano loro che rompono l’asimmetria informativa tipica del vecchio marketing (l’azienda, o nel nostro caso il non profit, ha informazioni esclusive che il cliente, o il donatore nel nostro caso, non potrà mai avere e quindi ha una posizione di vantaggio enorme nel trattare con essi). In altri termini il donatore di una Ong ha informazioni sulla cooperazione allo sviluppo, sui risultati di programmi di aiuto umanitario, sulle dinamiche delle crisi mondiali maggiori e più approfondite rispetto a chi chiede i soldi.

La terza è che la crisi economica fa diminuire il peso dei fattori teorici ed emozionali negli scambi a favore di un aumento di peso dei fattori razionali che sono basati, nel nostro caso, sul criterio di efficienza ed efficacia delle organizzazioni beneficiate e quindi delle donazioni effettuate. In altri termini, non basta più una buona causa sociale comunicata bene, ma serve soprattutto la capacità di raggiungere la mission e gli obiettivi che ci si è proposti di raggiungere grazie alle donazioni. Chi non è in grado di essere efficace, verrà espulso dai donatori.

Significative in tal senso le affermazioni fatte da Micheal Smith, il capo della struttura voluta da Obama per finanziare il non profit (l’United States government's Social Innovation Fund), che viene da un lungo impegno dirigenziale nel mondo non profit (e quindi è un testimone molto credibile). Smith ha invitato la comunità a non donare neanche un dollaro a chi non produce impatti, a chi non è innovativo (continuando a fare le stesse cose anche se i problemi non vengono risolti), a chi non investe in ricerca e sviluppo, a chi non costruisce e anima un rapporto strategico con la comunità e che non ha strategie di azione pianificate nel tempo proponendo solo “progetti meteora ed emergenziali”. Secondo Smith, i donatori hanno oggi un grande potere perché sono una fonte di finanziamento essenziale per il non profit: quello di premiare i più capaci e di favorire la chiusura di organizzazioni, magari belle, magari “sante” ma che non hanno la forza e la capacità di produrre impatti sulla realtà.

Verso il Manifesto del nuovo Fundraising

Sulla scorta di questi grandi cambiamenti, la Scuola di Roma Fund-raising ha dato vita già da anni ad un itinerario di ricerca che ha portato prima a individuare i grandi trend di cambiamento nel fundraising (Survey: Ritorno al Futuro, 2011), poi a sperimentare forme di community fundraising in settori propri del welfare di comunità (cultura, biblioteche, istruzione, sistemi sociosanitari e assistenziali di base, ecc..) e ad organizzare, dal giugno 2013, il pensatoio itinerante “Fundraising. Un altro welfare è possibile”. Un itinerario di incontri in tutta Italia – al quale partecipano dirigenti e operatori non profit, esponenti del mondo delle fondazioni, delle aziende, della pubblica amministrazione, del credito e della comunicazione – che sta dando vita ad un importante dibattito sulle condizioni alle quali il fundraising possa svolgere un ruolo essenziale e innovativo per la ricostruzione di un welfare di comunità. Scopo dell’itinerario è quello di formalizzare delle indicazioni di policy (frutto di una ampia consultazione) per dare vita ad una stagione nuova e più efficace del fundraising. Una serie di policy che riguardano l’impegno non solo del non profit e dei fundraiser ma anche delle istituzioni centrali e decentrate, delle fondazioni, delle aziende, della ricerca, dei partner del fundraising (mezzi di informazione,  gestori dei canali di comunicazione, fornitori tecnici, mondo del credito). Esito finale del percorso sarà la pubblicazione di un Manifesto per il nuovo fundraising che la Scuola di Roma diffonderà, anche grazie alla partnership con Vita, a tutti coloro che hanno a cuore lo sviluppo e il miglioramento del fundraising.

Un manifesto che sia una guida per i fundraiser ma anche per chi deve oggi dare vita ad una politica sul fundraising e sullo sviluppo del non profit, essenziale per mantenere e migliorare il welfare sociale. Senza non profit, senza cittadinanza attiva, senza partnership tra tutti i soggetti pubblici e privati della comunità non c’è futuro per il welfare. E senza fundraising non ci sarà sostenibilità del nuovo welfare.
Non è un caso che in tutti gli altri paesi moderni già da tempo si sia dato vita, a livello governativo, a programmi e politiche di sviluppo e miglioramento del settore non profit favorendo la nascita di nuove forme di welfare. Politiche dotate di ingenti investimenti che porteranno a ritorni sociali ed economici estremamente rilevanti Come negli USA, ad esempio, dove gran parte della ripresa economica e sociale del paese dopo la crisi viene vista proprio nello sviluppo di questo settore. In Italia invece – dove a dispetto di quello che si possa pensare, il fundraising ha una storia, un peso e una cultura molto rilevanti – manca del tutto una politica, spesso legata al mero aspetto fiscale che peraltro non ha permesso a tutt’oggi di avere misure e azioni che agevolino le donazioni.

Proprio per queste ragioni le recenti azioni promosse da alcune importanti realtà del nostro Paese in merito alla sperimentazione di nuovi modelli di welfare (ad esempio la Fondazione Cariplo con il bando Welfare in Azione) e, contestualmente, di nuovi modelli di sostenibilità basati sul fundraising, sono accolte dalla Scuola di Roma come una innovazione importante e si augura che questo tipo di approccio venga raccolto e reso concreto anche dal resto del mondo della filantropia, dalle aziende e soprattutto dalle istituzioni centrali che si occupano di welfare e dal mondo degli enti locali.

Durante il Festival del Fundraising si terrà una tappa speciale dell’itinerario durante la quale verranno presentati i risultati di questo pensatoio a metà del suo percorso e verranno coinvolti i fundraiser presenti al Festival per contribuire all’ elaborazione delle policy contenute nel Manifesto. Un manifesto promosso dalla Scuola, quindi, ma scritto a più mani e tenendo conto del punto di vista di coloro che ogni giorno sono in prima linea nel raccogliere fondi.

Cosa emerge dal Pensatoio ad oggi

Politiche fiscali e dell’agevolazione e facilitazione dei sistemi di fundraising
Fiscalità
Privacy
Accesso ai mezzi di informazione
Sistemi premianti e certificanti per l’impegno sociale delle imprese

Politiche di governance sociale del welfare e del suo fundraising
Concertazione tra donatori e beneficiari delle donazioni

Politiche di sensibilizzazione e promozione di una cultura moderna della donazione
Il ruolo dei media
La cultura della donazione nelle scuole

Politiche economiche
Sanità
Istruzione
Servizi socio-assistenziali territoriali
Distribuzione beni di prima necessità
Cultura

Politiche della qualità e della regolazione del fundraising
La fidelizzazione
Il bilancio di missione
Il coinvolgimento
Il controllo

Politiche di sviluppo delle tecnologie

Politiche di empowerment delle organizzazioni
Il 10% dei finanziamenti dei progetti vincolati all’auto-sostenibilità (come nella 266)
Formazione alle radici dell’erba (370.000 soggetti devono imparare a fare fundraising questo vuol dire portare bene il fundraising a casa di tutti gli italiani)


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA