Non profit

Fundraiser chi?

di Elena Zanella

Ma quanti sono i fundraiser in Italia?

Nei giorni scorsi, Cristina Galasso (@cristinagalasso) di Pluraliweb del Cesvot, collega sempre molto attiva sul web, mi fa avere via Twitter un articolo di Enzo Riboni del Corriere della Sera. Il giornalista parla del popolo dei fundraiser e identifica in 6mila il numero di professionisti impegnati nel Belpase (se te lo sei perso, scarica il pdf qui).

Ecco cosa si legge: “Oggi si valuta che in Italia siano circa 6 mila i professionisti che svolgono la difficile attività, soprattutto in questi anni di crisi economica, di sollecitare donazioni (…). Se poi si conta anche «l’indotto», cioè chi opera attorno al mondo del fundraising fornendo strumenti per migliorare l’efficacia della raccolta (…) si arriva a quasi 10mila persone”.

Un numero che mi sorprende. Non so quale sia la fonte del giornalista, non la cita, ma temo sia un pochino ottimista. Prudenzialmente, mi fermerei a mille, fundraiser più, fundraiser meno. Come scrive Cristina, quando si parla di nonprofit è facile dare i numeri e non posso che concordare. Ne è seguito un “twitt a tre” tra la Galasso, Alberto Cuttica (@albertocuttica) di Engaged.net e la sottoscritta.

Diverse le riflessioni emerse: crisi, maturità del settore, volontà di sapere e, soprattutto, di circoscrivere e fare chiarezza intorno a una professione, quella del fundraiser, e una disciplina, quella del fundraising, che di chiarezza ne meritano. Più semplicemente:

Chi è e cosa fa un fundraiser?

E’ questa la domanda a cui dobbiamo dare risposta. Scrive Assif all’articolo 1 del suo regolamento: “Sono professionisti nell’ambito del fundraising coloro che in modo continuativo (dipendenti, liberi professionisti, collaboratori) contribuiscono alla realizzazione di progetti di raccolta fondi globali o specifici a favore di uno o più enti senza scopo di lucro privati o enti pubblici. Si intendono professionisti nell’ambito del fundraising anche coloro che prestano in maniera continuativa le sopraddette attività a titolo volontario (pertanto senza remunerazione diretta o indiretta) su mandato formale da parte dell’organizzazione”.

Francesco Quistelli, sul suo blog in un post di qualche anno fa, raccoglie le sintesi dei pensieri dei grandi nomi di chi la storia del fundraising l’ha fatta. Tra queste, quelle dei nostrani Francesco Ambrogetti e Massimo Coen Cagli. Tutte molto in linea l’una con l’altra e che segnano – insieme – la profondità della materia.

Io stessa, nel mio piccolo e sull’esperienza maturata, ho provato a dare con il tempo una definizione ragionata ai termini fundraising, in modo allargato, e fundraiser in termini più specifici. Ecco cosa si legge da più parti sul mio blog:

FUNDRAISING. Disciplina che rientra nella branca del marketing, trova la sua naturale applicazione nelle organizzazioni nonprofit. Di matrice e impiego prevalentemente anglosassone, solo da qualche anno è entrata a far parte delle scelte strategiche delle organizzazioni del Terzo Settore italiane più all’avanguardia o, comunque, più strutturate. Obiettivo delle attività di Fundraising è garantire la sostenibilità dell’ente attraverso l’attuazione di strategie per il reperimento di fondi e la costruzioni di processi relazionali complessi.

FUNDRAISER. Professionista preparato ed eclettico con competenze nel marketing, nella comunicazione, in economia. All’interno dell’ONP ricopre un ruolo importante e ha una funzione strategica finalizzata a rendere autonoma e autosufficiente l’organizzazione. I suoi compiti sono l’individuazione degli strumenti e dei canali adatti a sollecitare la donazione da parte di pubblici diversi, pianificando tempi, budgetizzando, valutando possibili redemption e prevedendone i roi. La scelta di costituire un’area di raccolta fondi all’interno dell’organizzazione va necessariamente inquadrata come investimento di lungo periodo perché i ritorni tendono a crescere in modo direttamente proporzionale al crescere dell’attività dedicata.

E’ forse la prima volta che raccolgo in modo ordinato un’idea esposta più e più volte. La tendenza, un po’ ingenua, è quella di dare per scontati alcuni passaggi e poi accorgersi che così scontati non sono. L’immagine più sopra è una rappresentazione perfetta di ciò che significa essere un fundraiser per me. Ma ognuno ha la propria rappresentazione e i propri vissuti che vale la pena investigare.

Quindi, proviamo a interrogarci?

Ecco il mio invito: preso atto di quanto più sopra e della complessità dell’argomento, secondo te:

1. quanti sono i fundraiser professionisti in Italia? (A questa domanda sta cercando di rispondere in modo ufficiale il primo censimento dei fundraiser che credo ancora in corso nonostante la deadline. Se sei interessato a parteciparvi, lo trovi qui).
2. chi è e cosa fa un fundraiser?
3. quali sono le tue aspettative per la professione?
4. sarebbe auspicabile disciplinarne i confini?

Rispondi comunque, anche se non sei un fundraiser. Fallo qui o, se preferisci, su Nonprofi Blog. Punti di vista diversi arricchiscono una riflessione che merita di non essere autoreferenziale se vuol essere produttiva e di vantaggio per l’intero settore. Grazie.

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