Non profit

Fund raising. Intervista a Geoff Peters:” Italia, sei ostaggio dei burocrati”.

"La vostra legislazione sulla privacy lega le mani alle associazioni. Fare raccolta fondi rischia di diventare impresa proibitiva".

di Redazione

Il cosiddetto Codice della privacy, contenuto nel decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 e in vigore dal 1° gennaio 2004, ha introdotto una serie di pesanti restrizioni sull?utilizzo degli strumenti per contattare direttamente i cittadini. Già dall?inizio di quest?anno le liste elettorali non sono più utilizzabili per fare marketing diretto e gli elenchi telefonici pubblicati a partire da agosto 2005 – cartacei, digitali, online – prevederanno un simbolo per indicare il consenso dell?abbonato, da raccogliere entro il gennaio 2005, a ricevere pubblicità via posta o via telefono; la pubblicità via email o sms potrà inoltre essere inviata solo se espressamente richiesta dall?abbonato. La situazione diventa poi addirittura paradossale nel caso che l?associazione in questione si occupi di tematiche inerenti i cosiddetti ?dati sensibili?, cioè idonei a rivelare lo stato di salute, opinioni politiche, religiose, filosofiche, sindacali, vita sessuale, origine razziale o etnica. Se un?associazione si occupa, poniamo, di ricerca su una rara malattia, non potrà infatti raccogliere nominativi di cittadini a cui chiedere adesione senza preventiva autorizzazione del Garante e consenso scritto dell?interessato. Questo perché a giudizio del Garante se un cittadino decide, poniamo, di donare dieci euro a un?associazione di ricerca sul morbo di Parkinson, questo potrebbe significare che il cittadino è affetto da quella patologia e questa informazione costituisce appunto un dato sensibile. Difficile, di fronte a questa seria di lacci e bavagli, non pensare a un attentato alla democrazia, a una seria limitazione, cioè, della libertà di ogni cittadino di raccogliere consenso e adesione di altri cittadini intorno a una causa senza dover passare dalle maglie del potere. Di questa opinione è anche Geoff Peters, esperto statunitense di direct marketing, autorità internazionale nel campo del fund raising che opera in tutto il mondo con la sua agenzia, la Creative Direct Response. Lo abbiamo incontrato a Forlì, in occasione di un convegno organizzato nell?ambito del master in Fund raising e corporate social responsability della Facoltà di Economia di Forlì. E&F: Il nuovo Codice sulla privacy rende ancora più difficile la vita delle associazioni non profit italiane? Come vede questa situazione? Geoff Peters: Penso che se confrontiamo l?interesse di un cittadino a non ricevere un?informazione con l?interesse di un?associazione non profit a comunicare liberamente per difenderne i diritti , è sufficiente dar al cittadino la facoltà di dire «stop». Se però mi dite che non posso nemmeno cominciare a parlare senza avere il permesso del cittadino a comunicargli qualcosa, allora questo è davvero un problema. E&F: Lei conosce bene la realtà europea. Qual è la situazione degli altri Paesi a questo proposito? Peters: Le direttive europee non contemplano la richiesta del consenso preventivo per poter comunicare con un cittadino. Le uniche richieste sono di conservare in modo sicuro i dati e di dare al cittadino la possibilità di dire che non vuole ricevere più informazioni o che vuole essere cancellato dalla lista. In Italia è persino vietato avere una lista di chi non desidera essere contattato! È un caso unico in Europa che, tra l?altro, ci crea non pochi problemi quando vogliamo gestire campagne che coinvolgono più Paesi. In Italia puoi acquistare una lista da un broker per fare una campagna di fund raising, ma poi non puoi utilizzare la lista perché per farlo avresti bisogno del consenso di chi vi compare a ricevere informazioni? È senza senso! E&F: Tutto questo però viene presentato come una difesa del diritto alla riservatezza dei cittadini, soprattutto circa la salute, la religione, le abitudini sessuali? Peters: Trovo assurdo questo utilizzo del concetto del dato sensibile. Pensate a cosa sarebbe avvenuto quindici anni fa a un?associazione che avesse voluto promuovere la ricerca su quella strana malattia che sembrava colpire di preferenza gli omosessuali. Se avesse voluto chiedere il sostegno ai cittadini, con l?attuale legge italiana non avrebbe potuto farlo: donare a questa associazione avrebbe voluto dire che probabilmente si era omosessuali? Ma perché un burocrate deve bloccare la possibilità di coinvolgere altri cittadini sulle tematiche che ci stanno a cuore, sui problemi ai quali si vuole cercare una soluzione? È un attacco indebito alla democrazia. Credo che sarebbe una cosa eccellente se Vita si facesse promotrice di una campagna di opinione su questo.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.