Sostenibilità

«Fukushima peggio di Chernobyl»

Lo studioso Schneider: «Non decidono Berlusconi e Sarkozy ma le banche»

di Redazione

«L’11 marzo sarà ricordato come l’11 settembre per l’industria nucleare, un settore che è sempre stato consapevole di non potersi permettere una “nuova Chernobyl” e che invece deve affrontare una crisi a Fukushima che avrà un impatto anche peggiore». È netto il giudizio di Mycle Schneider, studioso francese e consulente di diversi governi, fra gli autori di Scram. Ovvero la fine del nucleare, raccolta di saggi di prossima uscita in Italia presso Jaca Book. Venticinque anni dopo Chernobyl , quell’orrore è stato superato, secondo lo studioso.

La sua obiezione all’energia prodotta dalle centrali è di natura tecnica ed economica: «A Fukushima – spiega – la situazione è un incubo, i tecnici giapponesi sono andati avanti improvvisando, non avevano nessuna preparazione per un evento del genere: prima hanno cercato di proteggere le strutture, poi si sono decisi a provare a raffreddarli con l’acqua, ma lo hanno fatto troppo tardi e troppo a lungo. Un mio amico, un ingegnere locale, mi ha detto: “Su queste cose il Giappone e’ un paese del Terzo Mondo”. E la sua non era una battuta», sottolinea Schneider.

Sulle conseguenze della contaminazione di Fukushima, l’esperto ricorda che «a Chernobyl c’è stato un “effetto camino” che è durato una decina di giorni e si è diffuso ai paesi vicini, in Giappone invece c’è un effetto di “rilascio” che colpisce un’area più ristretta ma in maniera più forte. E comunque, bisogna vedere quanta radioattività finirà in mare o nell’aria». Senza contare, aggiunge, «i problemi che aspettano il Giappone, che in estate tocca il picco di consumo energetico».

Lo studioso smonta anche le obiezioni legate alle ricadute di un addio al nucleare in termini di Pil e di posti di lavoro: «Certo, la crisi di Fukushima per le aziende è un duro colpo: è il caso di Areva che lo scorso anno ha chiuso il bilancio in passivo di 400 milioni di euro, nonostante una costosa campagna pubblicitaria». Il colosso francese, ricorda Schneider, «nel dicembre scorso è stato minacciato dall’agenzia Standard and Poor’s di un possibile taglio del rating stand alone per problemi di liquidita, dopo un aumento di capitale di 900 milioni di euro giudicato ben al di sotto delle stime».

Quanto alle conseguenze sull’occupazione, il giudizio è ancora più netto: «L’impatto sarebbe minimo: quella nucleare è una industria che genera pochi posti di lavoro, o per brevi periodi – come nel caso della costruzione delle centrali – o molto costosi». Schneider contesta l’importanza del nucleare per lo sviluppo: «In Francia abbiamo lanciato il programma nucleare nel 1974 dopo lo choc della crisi petrolifera: eppure nel 1973 il petrolio copriva solo il 20% dei nostri consumi di elettricità».

Ma questa scelta, è la sua obiezione «ha avuto un duplice effetto: il primo è che abbiamo iniziato a esportare energia a basso prezzo, il secondo è che siamo diventati un’economia ad alto consumo di elettricità, con un forte sviluppo di riscaldamento prodotto da questo tipo di energia. Il risultato è che da qualche tempo abbiamo ricominciato a importare elettricità dalla Germania».

Quanto al futuro, il timore di Schneider «è che non abbiamo ancora visto il peggio. A Fukushima ci sono 35 tonnellate di combustibile ma se consideriamo il sito francese di La Hague, dove l’Italia ha inviato le sue scorie nucleari, è come se ci fossero 100 reattori. E cosa succederebbe se un aereo fosse lanciato contro questo deposito?».

Così, a proposito della decisione del governo italiano di rimandare la discussione di qualche anno, Schneider la definisce «un modo per far passare l’acqua sotto i ponti». Il tutto, sottolinea, «mentre anche la Cina che pure ha 27 reattori in costruzione, ha annunciato di voler congelare per motivi di sicurezza fino al 2012 sia i progetti futuri che quelli in via di realizzazione». Ma, aggiunge Schneider, «è ridicolo pensare che in pochi anni si potranno avere miglioramenti sul fronte della sicurezza, e’ solo un pio desiderio».

Comunque, conclude, «l’ultima parola sul nucleare non spetterà a Sarkozy o Berlusconi bensì alle aziende del settore costrette a prendere in prestito denaro a costi sempre maggiori. E dopo Fukushima, per le banche prestare soldi costruire centrali nucleari è diventato davvero troppo rischioso.

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