Non profit
Fuggono dalla siccità e da troppe parole al vento
La Somalia vittima della speculazione
di Redazione
Se la fame si nutrisse di parole questo gruppo di rifugiati somali, fotografati nel campo di Kobe, non avrebbero avuto di che preoccuparsi, né avrebbero dovuto scappare dalle loro terre, per quanto colpite dalla siccità. In quel campo, al di là dei confini che dalla Somalia portano in Etiopia, sarebbero oggi in 25mila: le tende fuori dalle quali stanno in dignitosa attesa sono quelle in cui avviene la distribuzione del cibo.
Sono loro la dimostrazione vivente che la fame purtroppo non si nutre delle parole che ad ogni emergenza riempiono la bocca dei responsabili della politica e delle agenzie internazionali. Sono scappati da un Paese in cui sino allo scorso anno comperavano un sacco da 50 chili di mais a 5 euro, mentre oggi dovrebbero sborsarne 40. E 40 va oltre ogni loro possibilità. Solo colpa della siccità? Oggi siamo richiamati dall’emotività dell’emergenza, ma quest’ennesima emergenza alimentare del Corno d’Africa va vista per quella che è: un fenomeno non determinato da soli fattori naturali. Oltre alla siccità, infatti, c’è una lunga serie di fattori geopolitici come l’assenza di uno Stato di diritto in Somalia, determinato da un’accesa conflittualità, per non parlare della mancanza di corridoi umanitari e dunque di sicurezza. Ci sono le interferenze dalla vicina sponda yemenita di soggetti che perseguono interessi stranieri. Inoltre, c’è la scarsità o l’assenza di servizi primari in molti Paesi della regione ? sanità, comunicazioni, gestione delle acque ? che acuisce la sofferenza delle popolazioni autoctone.
Sta di fatto che l’allarme lanciato dalle ong non può essere inteso all’insegna dell’attimo fuggente, quasi fosse un modo per appagare le coscienze. Non possiamo continuare a passare da un’emergenza all’altra dimenticando che la vera sfida nelle relazioni “Nord-Sud” è il rilancio di una cooperazione che tenga conto non solo degli effetti, ma anche delle cause del sottosviluppo. La verità è che gli spiccioli elargiti dai donatori internazionali alimentano l’assistenzialismo e la dipendenza, mentre la povera gente avrebbe bisogno della rete per pescare e non soltanto del pesce in scatola per lenire i morsi della fame.
Finché a dettare le regole del gioco non sarà la politica, soggetti come il Capital World Investors, il più potente controllore di titoli azionari sulle Borse globali, faranno il bello e il cattivo tempo. Stiamo parlando di chi detiene anche la quota maggiore, oltre il 12%, delle due maggiori agenzie di rating, Moody’s e Standard & Poor’s, che tanto stanno facendo per minare la credibilità degli Stati europei, acuendo peraltro la divaricazione tra ricchi e poveri a tutte le latitudini. Non basta perciò sfamare le bocche nel Sud del mondo, occorre anche riformare, in funzione anti speculativa, un’economia globalizzata protesa alla massimizzazione dei profitti di uno sparuto manipolo di nababbi. Il Corno d’Africa galleggia sul petrolio e la competizione per il controllo delle fonti energetiche sta generando disastri da quelle parti. Non si può più restare alle parole. Perché di parole quei popoli sono sazi. Bisogna avere il coraggio di passare ai fatti.
Agire ha lanciato un appello
per aiutare il Corno d’Africa
www.agire.it – numero verde 800.132870
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