Verso una nuova economia
Fuga dagli Esg, Zamagni: «I governi sostengano i costi della transizione»
Il professore emerito di Economia Civile all'Università di Bologna interviene sul futuro degli investimenti esg dopo che Blackrock ha lasciato l'alleanza per l'azzeramento delle emissioni di gas serra e a pochi giorni dall'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca
di Alessio Nisi
Una transizione sostenibile non può che essere ambientale, sociale ed economica e richiede lo sforzo dei governi capaci di disegnare politiche di medio lungo respiro, con schemi di compensazione per quelle categorie su cui gravano e graveranno i costi della stessa transizione. Ma, a oggi, l’impegno della politica va nella direzione opposta, puntando su azioni con una visione a breve e con una massimizzazione delle risorse che punta su carbone, petrolio e gas. A scapito di politiche esg.
E gli investimenti? «Molti si dichiarano disposti a favorire il processo di transizione green, ma di fronte al “richiamo della foresta” e alle condizioni di contorno, cedono», spiega Stefano Zamagni, professore emerito di Economia Civile all’Università di Bologna, a proposito del passo indietro di Blackrock sugli investimenti esg.
Nonostante questa arretramento, per Zamagni la transizione verde non può arrestarsi. «Il problema è quando. Forse sarà troppo tardi e ne soffriremo tutti».
Professore, è veramente fuga dagli esg secondo lei?
Quanto è stato annunciato nei giorni scorsi da parte di Larry Fink, amministratore delegato di Blackrock, è qualcosa che non deve sorprendere. L’avevo già previsto tre anni fa. Fink è la stessa persona che nell’agosto del 2019 fece quella famosa uscita, che per un po’ di tempo incendiò gli animi di tanti, quando disse che dobbiamo uscire dallo schema inizialmente proposto da Milton Friedman, secondo cui l’unica responsabilità sociale di ripresa è la massimizzazione del profitto.
Perché non deve sorprendere?
Io, come altri, dubitai della autenticità di questa affermazione. Dire cose di quel tipo serviva solo ad aumentare il capitale reputazionale. Bisognava accertare la motivazione intrinseca. Ebbene, quello che è avvenuto nei giorni scorsi dimostra esattamente questo punto. Non basta che uno dichiari di volere, ma deve anche indicare qual è il sistema di vincoli cui accetta di sottoporsi, per mantenere fede all’impegno preso. E questo non c’è mai stato. Se io sento uno che mi dice di sposare i criteri esg, ma non mi dice come concretamente intende agire, ovviamente non posso fidarmi. Si chiama social washing.
Come possiamo riconoscere questo fenomeno?
Molti si dichiarano disposti a favorire il processo di transizione green, ma poi di fronte al “richiamo della foresta” e alle condizioni di contorno cedono. Il caso di Fink è chiarissimo.
Ha detto in sintesi: “Mi dispiace, ma per continuare a fare questo mestiere, in presenza di meccanismi competitivi come quelli che si sono visti negli ultimi 3 anni evidentemente ho dovuto cedere. Perché altrimenti avrei perso tutti i clienti”. D’ora in poi bisogna essere un po’ più avvertiti e meno ingenui. Una dichiarazione deve essere accompagnata dalla indicazione dei vincoli che uno accetta di dare a se stesso per mantenere fede all’impegno.
Ma Blackrock per la dimensione e la rilevanza degli investimenti anche in esg è la traccia di un segnale?
Il problema è che se ho un obiettivo, un ideale da perseguire, non è giustificabile che di fronte ad una difficoltà faccia venire meno le mie finalità. Vuol dire che quello non era un ideale, ma soltanto una mossa che doveva servire ad aumentare la reputazione. Per una serie di ragioni si è fatto un passo indietro sul fronte dei interventi a favore dell’ambiente. Non a caso la Cop29 si è conclusa a novembre scorso con un nulla di fatto.
Perché secondo lei?
La transizione verde sta ponendo dei costi che ricadono su certe categorie di soggetti imprenditoriali e lavoratori, facendo guadagnare altre categorie. La nostra classe politica non è capace di risolvere il cosiddetto trilemma, secondo cui la sostenibilità è ambientale, sociale ed economica. Se non trovo schemi di compensazione tali per cui, coloro i quali ci rimettono dalla transizione vengano compensati da coloro i quali ci guadagnano, è ovvio che la massa verso l’obiettivo desiderato non potrà che arrestarsi.
Ma la marcia verso la sostenibilità a livello di investimenti si ferma o rallenta?
Il problema è che è i governi non hanno intenzioni e capacità intellettive per sciogliere il trilemma della sostenibilità. Non c’è a livello generale la consapevolezza che i processi di transizione recano vantaggi per alcuni e costi per altri. Per le politiche esg ci sarà un aggravamento se non addirittura una arretramento. Trump in questo senso è stato chiaro: anziché trovare schemi di compensazione, porta via risorse alla natura. Ha un orizzonte un breve termine, i 4 anni della sua precedenza. A lui interessa massimizzare. Dal suo punto di vista, conviene, perché carbone, gas e petrolio danno un risultato immediato. La transizione verde darà risultati ottimi, ma nel medio lungo termine.
Foto in apertura credit Lapresse
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