Sostenibilità

Frutta esotica e sushi? No, grazieMeglio i “sapori dietro casa”

acquisti a km zero I consigli per la spesa di Luca Mercalli

di Redazione

«Se in casa si ha un giardino, suggerisco di utilizzarlo per coltivarci pomodori, insalata e non per riempirlo di statuine o piscine per i bambini. Si vedono tantissime abitazioni dove si bada più all’apparenza con giardinetti insulsi che potrebbero invece diventare degli ottimi orticelli. Con la convenienza che, producendo gli alimenti in casa propria, si acquista meno al supermercato e ci si guadagna in qualità». Parte da un semplice esempio, Luca Mercalli, climatologo del Comitato scientifico WWF e presidente della Società meteorologica italiana, per spiegare la filiera corta. Un’attività che, grazie al rapporto più diretto fra produttore e consumatore, accorcia il numero degli intermediari commerciali, ovvero trasformatori e distributori. Per questo si chiama filiera corta o a circuito breve.
Parola d’ordine, allora, ridurre le distanze tra il campo e la tavola e, di conseguenza, favorire la vendita dei prodotti tipici locali e promuovere la loro stagionalità. Ma non solo, perché tra i molti vantaggi la filiera corta permette di avere una migliore conoscenza delle proprietà degli alimenti e di chi li produce. Un nuovo modo di consumare più ecosostenibile, dunque, attento all’ambiente, alla conservazione della biodiversità in agricoltura.
«Il problema», sottolinea Mercalli, «è che oggi siamo fortemente influenzati dalla pubblicità. In molte città si consumano tantissimi alimenti di importazione, vedi il sushi: una moda più che una necessità. E che dire della frutta esotica che troviamo ormai ovunque e in ogni stagione? Dovremmo cominciare a scrollarci di dosso questi condizionamenti pubblicitari e valorizzare i prodotti tipici territoriali che, in molti casi, stiamo invece sempre più perdendo. Gli olivi secolari della Puglia, per esempio, vengono sradicati, venduti al prezzo di circa 5 mila euro ognuno e reimpiantati al Nord solo come ornamento. E, per assurdo, poi compriamo l’olio da Turchia o Spagna. Altro caso emblematico è quello degli aranceti siciliani che stanno via via sparendo perché acquistiamo gli agrumi da altri Paesi».
Olio, vino, formaggi, miele, frutta e verdura: la filiera corta è un meccanismo versatile. Basta saper rispettare il concetto di stagionalità e cucina tipica, specie la nostra, considerata la migliore al mondo. E la convenienza? «Apparentemente», svela Mercalli, «i costi potrebbero essere più elevati con la filiera corta, ma ci si guadagna in qualità. Dietro a un prezzo più basso spesso ci sono operazioni finanziarie poco corrette. A volte le casse di frutta provenienti da Paesi poveri e vendute a pochi euro nascondono qualità decisamente inferiori. Meglio quindi acquistare un prodotto più costoso ma sicuro e per il quale è certificata la provenienza».
Con la filiera corta, infatti, l’alimento che arriva in tavola è più sano, fresco e se ne conosce meglio la provenienza. E, cosa non di poco conto, si produce un minor impatto ambientale grazie alla riduzione dei trasporti e degli imballaggi. Considerando che per ogni chilometro di strada percorsa un camion emette circa 2 chilogrammi di anidride carbonica, è facile capire quale sia il mancato inquinamento se si privilegia l’acquisto con la filiera corta. «Per valorizzare al meglio e ottimizzare il consumo di prodotti locali si deve fare innanzitutto molta informazione e anche introdurre delle tassazioni sui prodotti che vengono da lontano, imponendo un prezzo all’inquinamento occulto».


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