Mobilitazioni
“Free Tagliamento”, le associazioni contro il Mose formato fiume
Ambientalisti schierati compatti contro i progetti di imbrigliare "il Re dei fiumi alpini": invocando la messa in sicurezza dei territori si progetta un ponte traversa con paratoie mobili fra Spilimbergo e Dignano. Dal costo di 200 milioni, l'opera, secondo molti ricercatori, non garantirebbe dal rischio alluvioni e altererebbe in maniera irrimediabile la dinamica fluviale
Il fiume Tagliamento scorre per 170 chilometri nel Friuli Venezia-Giulia, viene chiamato il “Re dei fiumi alpini” perché conserva la sua originale morfologia a canali intrecciati che gli conferisce un fascino antico, oltre a creare una particolare e unica abbondanza di biodiversità e una moltitudine di ecosistemi.
È, per questo motivo, da tempo, studiato da ricercatori di tutto il mondo. Questi, oltre ottocento, provenienti da 35 Paesi, hanno firmato un appello contro un progetto che reputano oltremodo dannoso che prevede: un ponte-traversa con paratoie mobili, da realizzare tra Spilimbergo e Dignano, volto a creare un bacino di espansione in linea, direttamente nell’alveo attivo. Una sorta di “Mose” fluviale, con un costo stimato di 200 milioni di euro.
I ricercatori sostengono che non risolverebbe il problema delle alluvioni e che altererebbe in modo irreparabile questa sua particolarissima dinamica fluviale. “Free Tagliamento” è l’invito rivolto ai cittadini, attraverso una petizione on line, sottoscritta da Cipra Italia, Club Alpino Italiano, Federazione nazionale pro natura, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness, Protect Our Winters e Wwf che affermano: «Gli interventi in progetto fanno riferimento a una piena con tempo di ritorno di cento anni, e quindi non potrebbero garantire la stessa efficacia in caso di eventi di maggiore intensità. Una prospettiva limitata e inadeguata nell’era dei cambiamenti climatici». E ancora: «I recenti eventi in Emilia-Romagna, così come in altre località italiane ed europee, dovrebbero spingere le istituzioni verso modelli di pianificazione più avanzati, capaci di mitigare gli impatti degli eventi estremi legati al cambiamento climatico. Quanto accade oggi dovrebbe essere un monito sufficiente per abbandonare consolatorie certezze e affrontare con coraggio nuovi percorsi di adattamento».
Tre motivi per opporsi al progetto
La “messa in sicurezza” del territorio contro le alluvioni non può essere garantita da misure strutturali che sono basate solo su interventi tecnici o ingegneristici, senza una parallela riduzione della presenza di elementi antropici e della loro vulnerabilità. Un obiettivo, peraltro, irrealizzabile, poiché esisterà sempre un rischio residuo da considerare.
La realizzazione di una “grande opera” rischierebbe di generare una incauta percezione di sicurezza, incentivando richieste di declassamento di aree a rischio per favorire nuove urbanizzazioni, come già avvenuto in passato, soprattutto nella parte bassa del fiume.
Il rischio alluvionale dovrebbe essere affrontato con un approccio differente, in linea con le indicazioni europee, come quelle della Nature restoration law, che promuovono la restituzione di spazio al fiume. Questa normativa evidenzia la necessità di ripristinare la continuità fluviale, anziché interromperla, come invece prevede il progetto in questione.
Quando invece occorrono…
Interventi strutturali green, basati sull’arretramento degli argini, sulla riconnessione di spazi di pianura inondabili e sulla delocalizzazione di edifici situati in aree esondabili, rappresenterebbero soluzioni più efficaci. Queste misure consentirebbero di ridurre significativamente il rischio alluvionale, coniugando la protezione delle comunità con la salvaguardia del patrimonio naturale.
Se le associazioni possono lanciare moniti alle istituzioni, ogni cittadino può conoscere, informarsi e firmare la petizione per lasciare alla affluenza di questo fiume la sua maestosa autonomia di essere.
La foto in apertura, di Alice Durigatto per LaPresse, mostra il Tagliamento in piena, nei giorni scorsi, in prossimità di Udine.
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