Volontariato

Franco Gabrielli: «Sarà un’estate da incubo»

L'intervista premonitrice a Vita dello scorso 6 aprile

di Stefano Arduini

Mentre continuano le scosse in Emilia le istituzioni cercano di capire cosa non ha funzionato. Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, oltre a dirsi «fiducioso che riusciremo a superare anche questa nuova grave emergenza» aggiunge che «non c’è dubbio, bisogna cambiare completamente le politiche pubbliche, perché dal lato della prevenzione sono state gravemente inadeguate, e poi quando arriva il conto ci si accorge che è ben più salato di quello che sarebbe stato con politiche della prevenzione ben piu’ efficaci».

A ruota si è allineatio anche il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, secondo cui «occorre aggiornare la mappa del rischio sismico e le norme per costruire in sicurezza in quelle aree». Un tema ricorrente dopo ogni catastrofe quello della prevenzione.

A dire il vero però non era necessaria la tragedia emiliana. Sarebbe bastato ascoltare il grido di allarme che, dalle pagine di Vita (numero 14 del 6 aprile la copertina in allegato) aveva lanciato Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile. “Mister emergenze: sarà un’estate da brividi” era il titolo.

Ecco l’intervista shock 

Zero. Come i fondi per l’emergenza a disposizione delle casse del Dipartimento. E quasi zero. Come il numero dei piani d’emergenza realmente esistenti sul territorio italiano. Risultato: l’Italia è un Paese a rischio, come mai lo è stato negli ultimi decenni. Franco Gabrielli, da un anno e mezzo mister Protezione civile, affida alla colonne di “Vita” il suo grido d’allarme: «Oggi il nostro sistema non è in grado di fronteggiare le emergenze. Dal passato non abbiamo imparato nulla. Nulla». Tanto è vero che proprio per ri-disegnare i modelli di intervento, a 12 anni di distanza dall’ultimo appuntamento è tornato a convocare gli Stati generali del volontariato di Protezione civile. Un segnale inequivocabile. Partiamo da qui.

Quali obiettivi vi siete dati?
Per migliorare le cose dobbiamo prendere coscienza che il volontariato organizzato di protezione civile in questi anni è cresciuto non solo numericamente, ma anche in termini di aspettative ed esigenze.

Uno dei temi più caldi è proprio quello dei fondi…
Andiamo con ordine. Il primo tema è quello dei valori: la solidarietà, la partecipazione e la democrazia. A cui va aggiunta la gratuità. In questa occasione vogliamo affermare che il nostro volontariato non venga vissuto come forza lavoro a basso costo. Il secondo tema è quello della rappresentanza. Abbiamo bisogno che il volontariato pesi nelle decisioni del sistema.

Insomma, superare la Consulta per far entrare il volontariato nella stanza dei bottoni?
Le posso confermare che noi non intendiamo il volontariato come massa di manovra, ma come asse del sistema. E quello che dico non è banale: abbiamo un mondo del volontariato organizzato ben riconoscibile e ben visibile e un altro mondo, quello dei 2mila gruppi comunali per esempio, molto parcellizzato. In più c’è la massa dei volontari singoli. Che non sono un male, anzi. Anche se dobbiamo sempre tenere a mente che un volontario è lì per soccorrere, non per essere soccorso. E qui si inserisce il terzo tema degli Stati generali: quello dei ruoli di attivazione e di  partecipazione del volontariato ai vari livelli: comunale, provinciale, regionale e nazionale.

In altri termini, teme il ritorno degli “angeli del fango” come accaduto in Liguria?
Non bisogna essere manichei. Se come a Genova i ragazzi delle università e delle medie superiori hanno preso le pale spostandosi da un quartiere all’altro della città, questo è un fenomeno da elogiare e da auspicare. Considero invece controproducente chi arriva da fuori senza preparazione. Perché queste persone una volta passate 6/7 ore a spalare hanno poi  bisogno di un pasto e di un letto. Senza considerare che in questi casi non si spala solo fango.

Passando da Bertolaso a Gabrielli qualcuno sostiene che il Dipartimento sia diventato meno efficiente. Come risponde?
È una rappresentazione che io contesto. Non è vero che il prefetto Gabrielli, perché è prefetto e perché è attento alle regole, ha un atteggiamento più timido. È una grande fesseria e una grande mistificazione per la semplicissima ragione che il dottor Bertolaso, che io stimo e apprezzo e riconosco come un grande capo della Protezione civile, aveva un vantaggio che Gabrielli non ha più. Bertolaso andava, faceva, tornava in ufficio e si scriveva le regole che poi trovavano riscontro nelle norme. Io prima di muovermi devo avere l’autorizzazione del ministero dell’Economia e della Corte dei Conti. Non è un problema di osare o meno. La mia attività è molto più complessa di quella di chi c’era prima.

La struttura così com’è non funziona. Lei cosa propone?
I controlli devono avvenire dopo, non prima. Non è ingessando le nostre capacità che si garantisce sicurezza.

Sta dicendo che in questo momento la Protezione civile non è in grado di dare garanzie al Paese?
Io credo che per un periodo che può andare da 2 a 4 mesi i nostri comportamenti non possono es sere messi di fronte a un vaglio preventivo. Che inevitabilmente rallenta la nostra operatività, come i fatti di questi mesi hanno dimostrato.

Ne ha parlato con Monti?
Il premier è tanto convinto di questa criticità, che ha dato disposizione di modificare la norma.

Nel frattempo cosa ci dobbiamo aspettare?
Sono molto preoccupato. I prossimi saranno mesi difficili. Il primo allarme è quello degli incendi. Ci sono moltissime aree del Paese che soffrono di siccità. Sotto il profilo idrogeologico, poi, il territorio non sta migliorando la sua sicurezza. E in più ci dobbiamo aspettare eventi estremi nella tarda primavera e all’inizio del prossimo autunno.

Che fare?
A fronte dell’impossibilità di mettere mano a una seria politica strutturale, perché servirebbero tempi e denari non reperibili, l’unica soluzione è investire in prevenzione e in piani di emergenza sui territori.

Lo state facendo?
Queste cose non si impongono, attengono alla sensibilità di ogni singolo territorio.

C’è una zona del Paese che la preoccupa maggiormente?
Farei prima a dirle quelle che non mi preoccupano. Dalla Liguria alla Sicilia, alla Calabria hanno evidenziato che non c’è un Nord più evoluto e un Sud meno attrezzato. Domina la macchia di leopardo. Purtroppo il nostro rimane un territorio molto fragile, ma che non ha fatto tesoro degli insegnamenti del passato e che rimane inadeguato sotto il profilo della protezione civile.

Cosa intende?
Non ci sono né piani aggiornati, né strutture, né formazione adeguate. Questo intendo. Lo dico sapendo di esser facile profeta, ma anche che qualcuno potrebbe dire che prima di me le cose funzionavano meglio. Non credo proprio che fos se così. Negli ultimi cinque anni in Italia sono morti per alluvioni e frane 133 persone. Nel solo 2011, 43. Di cui 17 in Liguria, regione che era già stata colpita nel 2009 e nel 2008. Così come la Sicilia aveva già avuto la sua Giampilieri. La media quindi si sta di nuovo alzando. Stiamo tornando indietro. Questi dati hanno una forza anche tragica di fronte alla quale ogni discorso edulcorato perde di senso. Io dico sempre: i piani di protezione civile devono avere tre livelli. Il primo è sapere se esistono. Il secondo sapere se sono aggiornati. Il terzo se la popolazione ne è informata.

In percentuale a che punto di copertura siamo?
Non la metto in numeri, ma sono molto pessimista.

Insisto: in che percentuale?
Non posso dare cifre perché noi come Dipartimento non abbiamo la possibilità di verificare la situazione dei singoli Comuni. Quello che io dico è frutto di una verifica ex post, a tragedie avvenute.

Veniamo alle risorse. Quanti fondi avete sul capitolo emergenze?
Zero. Dal 2004 il fondo non è stato più finanziato. Solo che in periodi di vacche grasse il governo metteva di volta in volta quello di cui c’era bisogno. Ma da quando ci sono io, non ho visto un euro.

E i fondi per il volontariato, il quarto punto degli Stati generali?
Oggi l’unica scommessa vincente che può fare il Paese è quella di puntare sul volontariato. La cosa di cui vado più fiero in questo anno e mezzo tribolato è che nonostante il budget nel triennio 2011/2013 sia stato ridotto complessivamente di oltre il 50% io non ho sottratto un solo centesimo al capitolo del volontariato. Nessun altro ambito ha la sua capacità moltiplicativa. In mancanza di fondi statali, l’accesso all’8 e al 5 per mille e i fondi europei possono essere delle strade da battere.

Da ex prefetto dell’Aquila come giudica il fatto che tre anni dopo il terremoto l’Abruzzo sia ufficialmente ancora in emergenza?
Mi stupirei del contrario. Il terremoto oltre ai morti ha distrutto una delle 20 città d’arte italiane e il centro storico più vincolato del Paese, assieme a quello di Arezzo. Non si può non tenerne conto.

Sta dicendo che non si poteva fare di più?
La cosa che mi stupisce e avvilisce non è lo stato attuale del centro storico, ma quello della cintura esterna e penso alle case. I lavori hanno avuto un fortissimo rallentamento per motivi legati a questioni a volte di bassissima bottega. Qui sì che si poteva fare di più.

Chi poteva fare di più?
In gran parte le responsabilità sono locali. Tanto più che quando ero prefetto a L’Aquila, considerando la realtà economica e sociale dicevo che in quella città il terremoto era arrivato ben prima del 6 aprile. Quello era un territorio già segnato. Poi forse anche le autorità centrali potevano fare meglio.

In che senso?
A livello di indirizzo e di pressioni che potevano venir esercitate in taluni frangenti.


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