Volontariato

Franco Bomprezzi: è Venezia la città simbolo. 2003, ultimo tram per i diritti

Nel 1981, l’anno delle persone handicappate. Dopo 22 anni cos’è cambiato davvero per i disabili? Dal linguaggio alla qualità della vita, ecco le sfide.

di Franco Bomprezzi

Che cos?è cambiato rispetto al 1981, anno internazionale di quelle che allora si chiamavano ?persone handicappate? e ora sono, alle soglie del 2003, definite ?persone con disabilità?? Che cosa ci possiamo aspettare da un anno di celebrazioni e di attenzioni dedicate a questo mondo spesso trascurato o enfatizzato, mai adeguatamente conosciuto? Da giornalista ?con disabilità? vedo ancora troppa approssimazione attorno a noi, nel mondo della comunicazione ?competente?. Mentre esiste un giornalismo del ?sociale? con specializzazioni ormai consolidate nel campo dell?ambiente, delle organizzazioni non governative, della cooperazione sociale, del non profit in generale, trovo ancora assai carente l?occhio professionale rivolto alla cultura nuova della disabilità. In questi venti anni si è passati dalla cultura del risarcimento, dell?indennizzo del danno e dell?handicap, alla cultura dei diritti di cittadinanza, e di non esclusione sociale, economica, morale. Ma questa trasformazione riguarda ancora delle élite, rappresentate dalle associazioni di ?categoria? (che brutta parola) o da ricercatori universitari, o da persone di buona volontà che per hobby si dedicano alla scoperta antropologica delle tante diversità, delle mille ricchezze esistenti all?interno di questo indistinto universo delle disabilità. Se il 2003 riuscisse almeno a focalizzare con chiarezza il concetto di pari dignità, e di ricchezza culturale (e quindi, potenzialmente, sociale ed economica) delle persone con disabilità, avrebbe centrato un obiettivo forte, decisivo, cardine di una trasformazione complessiva dell?atteggiamento della società nei confronti di una parte di sé. Se invece il 2003 si limiterà a mettere sotto i riflettori della pubblica opinione una serie slegata di eventi e di realizzazioni, a volte contraddittorie, e comunque non riconducibili al concetto di dignità, di giustizia, di rappresentanza, avremo perso forse definitivamente il treno di una Europa intesa come grande opportunità per tutti, come laboratorio della qualità della vita. In questi mesi, attraverso le colonne virtuali di www.superabile.it sto combattendo assieme ai migliori tecnici italiani dell?accessibilità per tutti, una battaglia di forte valore simbolico, ma dalle enormi conseguenze pratiche: cerchiamo infatti di convincere il Comune di Venezia a ripensare le modalità di realizzazione del quarto ponte sul Canal Grande, un ponte affidato al più grande nome dei progettisti mondiali di ponti, l?architetto Santiago Calatrava, che in questo caso (contrariamente alle sue realizzazioni più famose) ha trascurato gravemente il requisito dell?accessibilità per tutti (anziani, persone in sedia a rotelle, ciechi, ipovedenti). Un nuovo ponte, a Venezia, città del mondo, non può escludere, non può essere elemento di discriminazione. Sembra che l?amministrazione comunale sia disposta, finalmente, a ripensare questa scelta dissennata e grave. Ecco, se su questo tema io vedessi davvero la convinta adesione dei mezzi di comunicazione di massa, degli opinion makers, dei grandi nomi dell?architettura e della progettazione urbanistica, significherebbe che finalmente è entrata nella coscienza collettiva la consapevolezza del dovere dell?inclusione sociale di ogni diversità. E questo simbolo, questo ponte, potrebbe diventare il simbolo positivo di un 2003 dedicato a tutti, persone disabili comprese. Quando i turisti americani, giapponesi, nordeuropei, africani, australiani, verranno a Venezia, incontreranno subito questo nuovo spettacolare manufatto, e se il ponte sarà un esempio di progettazione accessibile e funzionale per tutti, potremo dire alto e forte che l?Italia è un Paese civile. Se perderemo questa battaglia, a mio giudizio, le altre saranno chiacchiere al vento. E io, personalmente, rimarrò in silenzio.


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