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Francia: no burqa e no legge

No al velo integrale, ma al Parlamento di Parigi manca il consenso su una legge «di divieto generale e assoluto»

di Martino Pillitteri

Al termine di sei mesi di lavoro la commissione francese sul burqa ha presentato all’Assemblea nazionale il suo rapporto nel quale suggerisce una serie di 18 misure da adottare contro il velo integrale, per scoraggiarne l’uso nei servizi pubblici. Le donne che per motivi religiosi indossano il burqa e il niqab in Francia sono circa 2.000,  due terzi delle quali di nazionalità  francese; una su quattro si sarebbe convertita all’Islam e la metà avrebbero meno di 40 anni.
 Il deputato comunista Andre’ Gerin, presidente della commissione di studio, ha scritto nell’atteso rapporto che i membri della commissione hanno unanimemente condannato il velo integrale, ma non hanno raggiunto il consenso su una legge «di divieto generale e assoluto del velo integrale negli spazi pubblici». Il rapporto suggerisce anche l’adozione di una disposizione che «assicuri la protezione delle donne costrette» a indossare il burqa.

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«Noi crediamo che il viso debba essere lasciato scoperto ma detto questo, sapendo che ci sono diverse scuole di interpretazione, crediamo che vada tutelata la libertà religiosa di ognuno garantita dalla Costituzione, anche da quella francese». E’ quanto dichiara Izzedin El Zir, portavoce dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii).
 
«Concordiamo con la posizione francese nei confronti del burqa. La decisione di proibire il velo integrale nei luoghi pubblici è perfettamente compatibile con l’Islam, che non prescrive assolutamente di coprire il volto delle donne». Lo ha affermato oggi Ahmad Gianpiero Vincenzo, presidente degli Intellettuali Musulmani Italiani e consulente della Commissione Affari Costituzionali del Senato.

«C’e’ una mia proposta di legge per vietare l’utilizzo del burqa in Italia che e’ all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera e a questo punto mi auguro che venga approvata al più presto» ha detto Souad Sbai, presidente dell’Associazione donne marocchine in Italia e deputata del Pdll. «La mia -spiega l’esponente del centrodestra- e’ un’iniziativa a favore delle donne, contro gli estremisti che vogliono imporre la loro politica sulla testa delle donne. Il burqa non è  un simbolo religioso, ma anche se lo fosse siamo in Occidente dove c’e’ libertà e le donne devono avere gli stessi diritti dell’uomo. Nei giorni scorsi, ad esempio, la Corte suprema indiana ha stabilito che le donne musulmane che indossano il burqa non possono avere la carta di identità: e che facciamo, per riconoscerle scriviamo loro un numero sulla mano o sul burqa? Ripeto -conclude Sbai- vietare il burqa significa condurre una battaglia a difesa delle donne».

«Apprezzo il coraggio della Francia contro quella che io definisco una vera e propria prigione portatile per le donne. Non posso, dunque, che plaudire all’iniziativa della commissione parlamentare». Daniela Santanchè, leader del ‘Movimento per l’Italia’, accoglie con favore la notizia che la Francia si prepara a una stretta sul velo integrale in pubblico. «Se non risolviamo questo problema che riguarda le donne musulmane nel nostro paese -spiega Santanchè – non potremo mai garantire una convivenza civile e pacifica e favorire il processo di integrazione. Auspico che ci siano sempre di più iniziative di questo tipo a livello europeo per favorire l’integrazione. Mi dispiace che l’Italia sia in ritardo. Da mesi giace in Parlamento una mia proposta che vieta il burqa nei luoghi pubblici e nelle scuole dell’obbligo. Questo provvedimento sarebbe una legge di libertà. Non ho dubbi -avverte- che le donne musulmane portano il burqa non per convinzione, ma solo per costrizione».

«Quello del burqa e’ un falso problema». Lo sottolinea un corsivo pubblicato su ‘Ffwebmagazine‘, il periodico online della Fondazione ‘Farefuturo’, presieduta da Gianfranco Fini. «Già qualcuno -prosegue l’articolo- chiede che tale provvedimento venga applicato anche in Italia. In linea di principio proibire l’utilizzo del burqa e’ un’idea che può essere giusta. Proprio perchè, al di là del tecnicismo normativo e delle leggi che in Italia già esistono e che proibiscono di girare per strada con il volto occultato, e’ un fatto che in alcune regioni di tradizione islamica e in molti contesti familiari questo significhi di fatto uno strumento di oppressione della dimensione femminile. Detto ciò, allo stesso tempo, quello del burqa e’ anche un falso problema. Perché non solo riguarda una fetta più che minoritaria della popolazione, immigrata e non, di religione musulmana. Ma soprattutto non e’ con un semplice imposizione (o peggio con la repressione) che si risolve un problema che e’ prima di tutto di natura culturale».

La realtà italiana
Nessun divieto di burqa in Italia, ma una legge del 1975 impone la riconoscibilità  delle fattezze del viso nel caso in cui vi possano essere risvolti di ordine pubblico. L’utilizzo di burqa e veli che coprono il volto e’ naturalmente vietato per quanto riguarda tutte le procedure burocratiche di rilascio di documenti di identità. Ma questo  vale anche per gli occhiali da sole o qualsiasi altro elemento che possa rendere difficoltoso il riconoscimento. L’articolo 5 della legge 152 del 1975 sancisce il divieto di «prendere parte a pubbliche manifestazioni, svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, facendo uso di caschi protettivi o con il volto in tutto o in parte coperto mediante l’impiego di qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona». Sull’argomento e’ da registrare un precedente giurisprudenziale specifico: la sentenza numero 3076 del 2008, con cui il Consiglio di Stato sottolineava che l’utilizzo del burqa «generalmente non e’ diretto a evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture». Il velo integrale, quindi, «non costituisce una maschera, ma un tradizionale capo di abbigliamento di alcune popolazioni, tuttora utilizzato anche con aspetti di pratica religiosa».


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