Cultura

Francia: l’Islam radicale non fa rappresentanza

Sono le conclusioni di un rapporto dell'International Crisis Group sull'islamismo politico in Francia

di Joshua Massarenti

“La Francia di fronte ai suoi musulmani: tumulti, jihadismo e depolitizzazione”. E’ il titolo di un rapporto presentato oggi a Parigi dall’organizzazione non governativa International Crisis Group (Icg). Il primo di una serie che sarà dedicata all’Islamismo in Europa. Codiretto da Robert Malley, ex consigliere speciale di Bill Clinton per il conflitto israelo-palestinese, e da Patrick Haenni, specialista francese dell’Islam, il rapporto nota in sintesi un indebolimento dell’islamismo politico piuttosto che una sua radicalizzazione presso la comunità musulmana della Francia, e in particolar i giovani. Prova ne è i tumulti urbani scoppiati nei mesi di ottobre e di novembre 2005 nelle principali città francesi. “Gli islamisti” si legge nel documento di analisi, “non hanno assunto il ruolo atteso di agenti di controllo sociale”. Infatti, “sono stati incapaci di inquadrare i tumulti, tantomeno i quartieri”. Eppure, “il sollevamento delle banlieue e l’ondata di arresti tra i jihadisti hanno riposto l’Islam al centro delle preoccupazioni dei francesi”, mettendo nel contempo il vento in poppa “a coloro che brandiscono la minaccia del mondo musulmano organizzato attorno agli ideali dell’islamismo politico”. Il fallimento delle politiche di rappresentanza radicale degli islamisti mette tuttavia in luce un fenomeno più inquietante: “quello della de-politicizzazione dei giovani musulmani, in particola modo quella più sfaccendata delle banlieue, molto più pericoloso rispetto a una loro ipotetica ri-communitarizzazione su basi radicali”. All’origine di questa crisi della rappresentanza politica delle popolazioni musulmani meno agiate, l’Icg chiama in causa il principale attore islamico dell’esagono, l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia (Uoif), molto vicina ai Fratelli musulmani. Protagonista di un discorso politico “sempre più orientato alle classe medie e colte”, l’Uoif è accusata dalla “base” di essere rimasta troppo “neutra” durante le polemiche infuocate attorno alla legge sul velo oppure sulle caricature di Maometto. Stesso discorso vale per i movimenti giovanili musulmani emersi alla fine degli anni ’80. Nati in qualità di “attori dell’inquadramento associativo nei quartieri”, questi movimenti hanno finito per scontare una duplice diffidenza: “da parte delle autorià francesi, che le sospettano di legami troppo stretti con i militanti islamisti nordafricani; da parte dei giovani residenti nei quartieri defavorizzati che considerano il movimento troppo staccato dalle loro preoccupazioni”. Se di penetrazione islamista si può parlare, questa riguarda il movimento salafita, un movimento missionario che, invocando una rottura con le società occidentali, si concentra sulla morale e la condotta individuale. Ecco perché secondo l’Icg, in Francia non si può parlare di islam politico in grado di sollevare masse di giovani musulmani. Anzi, il successo dei salafiti “si traduce molto più con preoccupazioni individualiste, il ripegamento su se stesso e la dimissione politica”. A fronte dell’individualismo che contraddistingue i giovani musulmani di Francia, si rafforza “un communitarismo repubblicano che si iscrive nella tradizione francese di ghettoizzazione sociale e di strumentalizzazione clientelista delle elite religiose. Che questo communitarismo sia contradditorio rispetto al dogma repubblicano non è il nocciolo del problema” prosegue Icg. “Il problema è che risulta inadatto alla gestione delle popolazioni dove l’individualismo predomina e dove le richieste rivolte allo Stato rimangono numerose e prive di risposta”. Da qui l’invito di non limitarsi all’idea di rimuovere il disagio sociale delle comunità musulmani favorendo l’affermazione di un Islam moderato. “Come il passato ci insegna, la presenza di un Islam tranquillo e sotto controllo non potrà opporsi alla tentazione radicale, né alla dinamica delle rivolte urbane”. Al contrario, “la risposta deve investire il campo politico diminuendo le pratiche repressive nei quartieri periferici a rischio;favorendo nuove forme di rappresentanza politica credibile di giovani musulmani, ivi compreso attraverso i grandi partiti politici nazionali; infine, affrontando seriamente i grandi dossier che alimentano i movimenti della Jihad, in primis la questione palestinese e quella irachena”.


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