Cultura

Francia: De Villepin, il fedelissimo di Chirac

Un ritratto del nuovo Premier francese

di Joshua Massarenti

Lo aveva annunciato il 17 aprile scorso, annusando la cattiva aria che si stava aggirando sul referendum francese: “la Francia ha bisogno di una politica ancor più volontarista, ancor più audace, ancor più solidale”. A lui, che ormai è diventato il nuovo Primo ministro dell’hexagone, spetta tramutare le parole in fatti. Di sicuro, l’impresa si rivelerà osticissima: dopo la débacle referendaria, dovrà riconquistare la fiducia dei francesi nei confronti del suo eterno compagno di strada Jaques Chirac, messo a durissima prova dopo il No alla Costituzione europea. Non a caso, il presidente francese ha rimpiazzato il dimissionario e mai amato Jean-Pierre Raffarin con un suo fedelissimo, noto per il suo fascino e la sua ambizione di vedere riaffermarsi una Francia che da tempo non esiste più: quella imperiale, illuminista, dotata di un peso diplomatico incontrovertibile sullo scacchiere europeo e internazionale. La Francia di Napoleone, di De Gaulle e di Mitterand, ormai (questo per la meno la visione dell’élite politica ed economica francese) caduta nelle mani dei vari Fabius, De Villiers, Le Pen, Besancenot, per non parlare di blogisti alla Chouard. “Tutti personaggi di mediocrissima leva” direbbe lui. Ma ora si tratta di rimettersi in sintonia con frange larghissime della società francese, con il Paese reale al quale De Villepin, Chirac & co. non sanno più interlocuire. Almeno rispettare. Ma veniamo al personaggio. Dominique de Villepin nasce in Marocco nel 1953 per poi passare un’infanzia tra Rabat, New York e Caracas. “La Francia l’ho segnata ancor prima di conoscerla” ama ripetere. E’ il suo padre Xavier de Villepin, Senatore rappresentante dei francesi all’estero, a convincerlo di entrare nella diplomazia d’oltralpe. Dopo studi all’Ena, de Villepin muove all’inizio degli anni ’80 i suoi primi passi nell’amministrazione centrale del Quai d’Orsay, il Ministero degli esteri francese, dove assume l’incarico di seguire le questioni africane. In tasca era già in possesso della tessera del partito di Chirac, l’Rpr (Rassemblement pour la République). Quest’ultimo cercava un “giovane diplomatico sveglio e capace”. La carriera diplomatica lo conduce a New York e poi in India. Al suo ritorno, siamo nel 1992, diventa direttore di gabinetto del ministro degli esteri Alain Juppé, un suo intimo amico e altro fedele di Chirac. Gli anni sono durissimi e forgiano un poeta di vocazione (due le sue raccolte di poesie) in un uomo “capace di gestire con il pugno di ferro un comando” (dixit Chirac): Bosnia, Rwanda e Algeria sono i terreni pericolanti su cui de Villepin matura la convinzione che la Francia perde con rapidità sconcertante il suo prestigio internazionale. Per questo, quando assume nel 2002 l’incarico di Ministro degli esteri, non esita a sfruttare la delicatissima questione irachena come un cavallo di battaglia dal quale imporre un nuovo ordine mondiale, alternativo a quello americano. Epico e applauditissimo il suo discorso del 14 febbraio 2003 al Consiglio di sicurezza dell’Onu (siamo alla vigilia della guerra in Iraq) quando sostiene che il disarmo iracheno può compiersi senza l’uso della forza (oggi a Washington c’è da giurare che Bush abbia festeggiato alla grande la sconfitta referendaria di Chirac). Nel marzo 2004, lascia il Quai d’Orsay per rimpiazzare Nicolas Sarkopzy, nemico giurato suo e di Chirac, assumendo le funzioni di Ministro degli interni. Finita l’era delle ambasciate e degli incessanti spostamenti da un capo all’altro del mondo. Ormai, le sue visite si svolgono nei commissariati, nei posti di gendarmeria e tra i pompieri. “Questo incarico mi permette più a contatto con il popolo francese” sostiene convinto. Ora, lo sarà più di prima perché ormai la partita si giocherà a tutto campo. In vista delle prossime presidenziali del 2006, si tratta di aprire la strada a un terzo mandato a Chirac. Se non addirittura diventare l’erede ufficiale dell’attuale presidente francese per conquistare l’Eliseo. Sarkozy (tornato agli interni dopo un passaggio alle finanze) e Hollande (o Fabius, Jospin?) permettendo.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA