Il Papa del dialogo
Francesco, costruttore di ponti e tessitore di speranza
L’imam Hamdan Al-Zeqri, delegato nazionale Ucoii per i rapporti con il Dap e gli istituti penitenziari ricorda Papa Francesco: «Ha costruito sempre ponti di dialogo, di incontro, di comprensione. Ha ribadito che il dialogo non c'è quando tutto va bene, ma nel momento di difficoltà»

«Ovunque è passato, ha lasciato sempre una pietra di speranza, un gesto di carità, una parola di cura». A parlare, cercando di nascondere l’emozione per la scomparsa di Francesco, è Hamdan Al-Zeqri, delegato nazionale Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia-Ucoii per i rapporti con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria-Dap e gli istituti penitenziari, nonché imam nel carcere di Sollicciano (Firenze). «Come guida spirituale islamica e come delegato nazionale dell’Ucoii, da quando il 21 aprile mattina abbiamo avuto la notizia, da subito ho invitato tutti i fratelli e sorelle, tutte le nostre moschee e i centri di culto ad essere vicini a tutte le chiese, a tutti i credenti cattolici praticanti, ma non soltanto a loro».
Al-Zeqri, perché dice che siete vicini «non soltanto ai credenti cattolici praticanti»?
Perché la scomparsa di Papa Francesco è una perdita per tutta l’umanità. La vicinanza che abbiamo avuto con lui è stato un legame che abbiamo stretto con tutta la Chiesa cattolica, ma non solo. Lui è stato un uomo attivo dal primo momento, da quando è stato eletto 12 anni fa. Nonostante la sua età, è stata una persona che ha vissuto pienamente la propria fede, la propria umanità, insegnando e lasciando traccia ovunque passasse. Nei suoi 47 viaggi apostolici ha costruito sempre ponti di dialogo, di incontro, di comprensione. Ha avviato processi di pace, ha introdotto dei linguaggi al di là della fede, che sono diventati pietre, sia per i credenti, sia per i non credenti.
Ad esempio?
Mi viene in mente la «fratellanza umana universale», che è diventata una pietra nella pedagogia umana quotidiana e noi ci dobbiamo lavorare. Ci ha lasciato un’eredità immensa. Come credenti, sia musulmani, sia cattolici, sia cristiani, abbiamo il compito, soprattutto nella nostra Italia, di portare avanti il suo impegno. A partire dalla comunicazione.

Com’è il linguaggio di Francesco?
È un linguaggio nuovo, molto accessibile a tutti, non è difficile. Non è un linguaggio teologico, dottrinale. È un linguaggio di una nuova visione dell’umanità, da cui trapela un altro modo di tessere relazioni, come lui sempre ha detto «di essere tessitori di speranza», ovunque siamo. Durante il suo pontificato, ha raggiunto ogni luogo etichettato come il luogo dello scarto che la società ha prodotto, ad esempio le carceri. E ha voluto aprire, infatti, la Porta Santa a Rebibbia lo scorso dicembre. «Tessere speranza» fa capire che la speranza si costruisce giorno dopo giorno, fa parte dei compiti quotidiani. E la speranza si costruisce a piccoli passi, soprattutto nelle persone disperate di questo mondo, di cui ha cercato di prendersi cura fino all’ultimo.
Nel suo ultimo messaggio di pace del giorno di Pasqua, l’Urbi et Orbi, per esempio ha parlato dello Yemen («Un pensiero speciale rivolgo anche al popolo dello Yemen, che sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie “prolungate” del mondo a causa della guerra, e invito tutti a trovare soluzioni attraverso un dialogo costruttivo», ndr): nessuno ne parla, di questa guerra dimenticata. Il Papa non si è limitato a stare a letto, ma voleva dare il proprio contributo (questo è un messaggio molto importante) non soltanto ai credenti. Ha voluto dare il suo messaggio per la pace, rivolgendosi a tutta l’umanità, fino all’ultimo. Ovunque è passato, ha lasciato sempre una pietra di speranza, un gesto di carità, una parola di cura. Mi viene in mente, in particolare, un viaggio di Papa Francesco.
Quale viaggio?
Quello in Iraq, nel quale la figura di Abramo è stata al centro (a marzo 2021, ndr). È andato in quel Paese parlando di una figura che unisce. Ed era una grande sfida in quel luogo. Ma lui è andato sempre oltre, ci teneva ad avviare questi processi. Uno dei più importanti messaggi che ci ha lasciato Francesco è che il dialogo, la carità, il contributo di ognuno non ci sono quando tutte le cose vanno bene, ma nel momento di difficoltà, di avversità.
Ovunque è passato, ha lasciato sempre una pietra di speranza, un gesto di carità, una parola di cura
Termini e contenuti come quelli di Fratelli tutti (la terza enciclica di papa Francesco scritta nel suo ottavo anno di pontificato, ndr) li inserirei nell’educazione scolastica e universitaria. Nella società, oggi, stiamo perdendo tanti valori. Francesco usava termini semplici ma fondamentali per costruire la nostra società.
Foto dell’intervistato. In apertura, Bergoglio con Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia-Ucoii.
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