Welfare

Fra loro i disoccupati sono 400mila. Ma oltre 100mila posti riservati rimangono scoperti. Perchè e cosa si può fare

di Redazione

Sono almeno 400mila i disabili disoccupati in Italia. Un esercito di persone, tenendo conto del fatto che in totale le persone con disabilità in età lavorativa sono 2 milioni e 600mila. Di questi tempi è dura per tutti, si può pensare, ma per i diversamente abili il paradosso è che ci sono almeno 100mila posti nel settore pubblico e privato a loro riservati che rimangono vuoti. Le aziende preferiscono pagare le multe piuttosto che assumerli. Lo strumento principe per l’inserimento lavorativo è il collocamento mirato, istituito dalla legge 68 del 1999. «Una delle più avanzate al mondo», secondo Claudio Messori, consulente dell’Anmil Lombardia.

Nemmeno precari
Oltre i due terzi delle persone con disabilità del nostro Paese sono fuori dal mercato del lavoro, se si considera che gli iscritti al collocamento sono 721.613 e il 54,4% di loro dichiara di essere disposto a rimboccarsi le maniche. Gli ultimi dati disponibili sono del 2007, contenuti nella quarta Relazione al parlamento sull’attuazione delle norme per il diritto al lavoro dei disabili: tre anni fa i posti da riservare erano 311.289 e ne rimanevano scoperti 65.346. Più di un quinto del totale. «Ma oggi sono certamente di più», stima Claudio Messori, che di recente ha curato la relazione Lavoro e disabilità: lo scenario in Italia per il convegno “Dalle parole ai fatti” della Fondazione Sodalitas. Ed è d’accordo Franco Deriu, ricercatore dell’Isfol che cura per il ministero la relazione al parlamento: «Nel corso degli anni è sicuramente aumentato il numero dei posti non assegnati», dichiara. «Solo in Lombardia», fa notare Messori, «più di 20mila sono quelli non assegnati ed èimpossibile che una sola regione esaurisca un terzo del totale nazionale. Possiamo perciò stimare che in tutto il Paese siano almeno 100mila i posti vacanti».
«Siamo così invisibili che non ci sono a disposizione neanche le statistiche», dice Pietro Barbieri, presidente della Fish – Federazione italiana per il superamento dell’handicap. «La crisi ha inciso ancora di più sulla disoccupazione: l’effetto è stato devastante. Senza tenere conto del fatto che noi siamo esclusi anche dai contratti a termine: non abbiamo la possibilità neanche di essere precari», aggiunge.

Disabili psichici, il buco nero
Ma come si giustifica il comportamento delle aziende? «I controlli sono carenti e si preferisce correre il rischio», dice Messori. Colpa delle norme? No, perché la legge che regola la materia, la numero 68 del 12 marzo 1999, ha anche ridotto la cosiddetta “quota di riserva”: con la vecchia legge (la 482 del 1968) l’obbligo, ampiamente disatteso, era del 15% dei dipendenti, dieci anni fa è stato portato al 7. «Un’azienda spende anche 9mila euro l’anno per pagare l’esonero di un singolo lavoratore, piuttosto che inserirlo», ricorda il consulente del lavoro. Oltre agli obblighi, la legge stabilisce anche degli incentivi alle imprese, come il Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità, del ministero del Welfare: serve per finanziare le convenzioni e nel 2010 era di 42 milioni.
Tornando agli ultimi dati a disposizione, nel 2007 sono stati fatti 15mila avviamenti lavorativi di disabili, la maggior parte direttamente tra le aziende e gli uffici pubblici, mentre solo per una minima parte (183 persone, l’1% dei lavoratori disabili inseriti nella cooperazione) si è fatto ricorso alle convenzioni con le cooperative sociali introdotte dall’articolo 14 del decreto legislativo 276 del 2003. Eppure questo potrebbe essere uno strumento utile per alleggerire le aziende da quello che considerano “un peso”. «Prendiamo ad esempio un’azienda di 136 dipendenti, che ha una “quota di riserva” di 10 lavoratori disabili», spiega Messeri. «In effetti non sono pochi e le cooperative sociali possono intervenire togliendo alle imprese fino al 20% del “carico”».
Ma ci sono disabili e disabili: le difficoltà maggiori nella ricerca – e nel mantenimento – di un posto di lavoro le incontrano i disabili psichici. «Su di loro c’è il pregiudizio più pesante», osserva Barbieri. L’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che entro il 2020, tra le persone con disabilità, il 50% della popolazione attiva e in cerca di lavoro sarà composto da disabili psichici. E già ora sono quelli con le percentuali di inserimento più basse. Anche qui, nessun dato a livello nazionale, ma sttistiche a macchia di leopardo. In Provincia di Milano nel 2009 sono stati solo l’1,7% del totale degli inseriti al lavoro. Un po’ meglio a Torino, dove secondo la Provincia un decimo degli assunti è un disabile intellettivo o psichiatrico. «Se questi sono i dati del Nord, per il resto d’Italia possiamo immaginare solo percentuali disastrose», “azzarda” Messori. Come riparare? «Si potrebbe partire da un’attività ispettiva più intensa. Ma dal ministero ci rispondo con un desolante “non abbiamo risorse ad hoc”».

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