Forse finalmente capisco che cosa mi dà terribilmente fastidio in questa fase politica. Non sopporto il fatto che ogni giorno sembra di essere in campagna elettorale, come se domani dovessimo andare a votare. Non sopporto i sondaggi, mi irrita scoprire che una percentuale inferiore al venti per cento può essere interpretata come inesistente. Trovo impressionante la distanza fra la rissa verbale e la realtà delle relazioni umane fra le persone normali. Non accetto di dovermi schierare ogni giorno, di qua o di là, e neppure fra al di là del di qua o al di qua del di là. Penso che la verità sia il frutto paziente dell’ascolto, della ricerca delle buone ragioni, che spesso esistono di qua e di là, magari in percentuali non esattamente individuabili.
Sono stanco di dovermi giustificare ogni volta che prendo posizione, sapendo che chi mi ascolta si chiede da che parte sto. Al momento, ad esempio, per molti aspetti non so bene da che parte sto. Sono sempre stato politicamente in minoranza, direi moderatamente di sinistra, se questo oggi ha un senso e una collocazione.
Ma ho sempre pensato che chiudermi dietro un’etichetta, dietro una bandiera da sventolare, rischia di farmi perdere pezzi di verità e di miglioramento, specie su temi, come quelli che mi stanno a cuore, sicuramente delicati e non riconducibili sempre a logiche di parte.
Questo format di democrazia mediatica può servire a chi comanda, forse a chi si oppone, ma certamente non a chi vive giorno dopo giorno sulla propria pelle la complessità dei problemi, la difficoltà, il disagio.
Abbassare i toni non basta. Ora servirebbe un cambiamento radicale di stile, entrare nel merito dei problemi e delle situazioni, con calma, con forza, con onestà morale e intellettuale. Ecco perché qui mi trovo bene. E voi?
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