Cultura

Foppa Il genio in grigio

Sino al 2 giugno si può a vedere a Brescia una mostra strepitosa. È dedicata a uno dei più misconosciuti maestri del 1400 italiano. Un grande pittore di periferia.

di Giuseppe Frangi

Protagonista chi? Vincenzo Foppa, se potesse vedere la bellissima mostra che Brescia gli ha dedicato, porrebbe senz?altro questa domanda. Perché protagonista del Rinascimento lo definisce il sottotitolo che campeggia sul manifesto, mentre lui protagonista non lo fu né volle proprio esserlo. E non è un particolare da poco. Del resto se di Vincenzo Foppa si è parlato poco e si sa poco, non è un caso. Lui fu un genio dietro le quinte, un genio ammantato di grigio, per dar meno nell?occhio. La sua pittura non grida, non sgomita, non cerca mai i riflettori. Il magistrale allestimento della mostra bresciana del resto accompagna questa sua caratteristica. E i quadri di Foppa quasi si deve andare a scovarli, nascosti nel gruppo di opere che li accompagnano, sembrano farsi ombra dietro le vetrine che li custodiscono. Foppa, per tutto questo, davvero, fu l?antitesi del Rinascimento. Ma chi è Vincenzo Foppa? Bresciano di nascita, visse nella stagione più grande dell?arte italiana, a cavallo tra 1400 e 1500. Lavorò, maestro riconosciuto, tra Pavia, Genova e la Milano di Bramante e Leonardo. Uno sguardo distratto lo collocherebbe tra i maestri minori; così fece Vasari che lo allineò tra i barbari che non avevano assimilato con sufficiente disinvoltura il verbo del Rinascimento. In realtà Vincenzo Foppa parlava un?altra lingua, poco ortodossa e poco comprensibile (e ancora meno accettata) dall?ufficialità. Una lingua che sembrò arcaicizzante in quanto lui, per temperamento, era uno che si tirava veramente indietro. La grande astrazione intellettuale su cui si era retto il Rinascimento proprio non lo riguardava. Ma estraniandosi dalle categorie dominanti del suo tempo, si trovò a esserne, come dire?, più avanti. A superarlo. Ecco il punto: con Foppa inizia un?altra storia, un?altra tradizione, che nel giro di 80 anni pemetterà la rivoluzione di Caravaggio. Il nome di Caravaggio serve a far capire come quest?altra storia non fu affatto una storia minore; né una storia locale. Con Vincenzo Foppa la pittura lascia la strada maestra, a sorpresa e senza dare nell?occhio, non per perdersi nei dedali, pur commoventi, di una tradizione locale, ma per cercare (e trovare) nuovi campi d?azione, nuovi linguaggi, nuovi orizzonti. Non è un caso che la biografia di Foppa sia quasi una lunga marcia indietro, una fuga da quelli che erano i luoghi importanti seppur non centrali della vicenda rinascimentale. Lui non amava entrare in dialettica con nessuno, neppure per far capire la sua diversità. Piuttosto preferiva fingere di assimilare qualcosa pur di non essere chiamato su un proscenio di dialettica culturale che non sentiva come terra per i suoi piedi. E poi, appena potè, se ne tornò per sempre nella sua Brescia (anno 1489), per non muoversi più sino alla sua morte (anno probabile 1516). Questa marcia indietro, dal punto di vista artistico, lo porta anche a tanti arcaismi. Torna ad usare gli ori; sembra quasi cercare lo sgraziato dei corpi. Chissà che storcere di occhi e che risolini tra i big suoi contemporanei vedendo quei quadri! Eppure sfuggiva loro qualcosa. Che Foppa aveva smesso per sempre di guardare la pittura da un punto di vista zenitale, come una linea puntata verso un assoluto, e aveva introdotto uno sguardo orizzontale: da un punto relativo a un altro punto relativo. Foppa si muove ad altezza d?uomo, anzi sarebbe più corretto dire, ad altezza terra. La sua pittura per questo apre davvero le porte a un altro mondo. E parla non più per enfasi ma per affetti; non più per artificio ma per concretezza; e soprattutto non più per assiomi ma per sedimentazioni. Con Foppa la realtà torna a dire la sua. Non ha bisogno di gridare per farsi vedere. Le basta esserci, affiorare per determinare, sommessamente, un passaggio epocale. Perché la forza della realtà è trascinante. E Foppa, che lo sa, non ci mette molto del suo. Semplicemente lascia agire. Per capirlo basta visitare la mostra davvero straordinaria di Brescia. Allora si potrà notare come i curatori abbiano giustamente scelto un monocolore, anche per gli allestimenti. è il grigio. è il non-colore nuovo di Foppa, quello da cui scaturiranno le ombre di Caravaggio. Il grigio di cui sono fatte le ombre, ma di cui sono impastatate soprattutto le luci; il grigio che si insinua sotto la pelle, proprio come la terra sotto le unghie del contadino che consuma la sua vita chino su di lei. Il grigio che solca tutti gli sguardi e che li riempie di una dimensione che davvero era integralmente estranea al Rinascimento: la tenerezza. Nell?ultima sala della mostra, la più esplicita e la più indimenticabile, tutto il cammino di Foppa appare nella sua assoluta esplicitezza. Di suo vi è esposta un?opera sola, l?ultima. Uno stendardo processionale, commissionatogli da una piccola comunità della Bassa, Orzinuovi, per ringraziamento della fine della peste. Da una parte ci sono la Madonna con san Bernardino e santa Caterina; dall?altra san Sebastiano tra i colleghi Giorgio e Rocco. è pittura povera, magra, dimessa, con quella tempera che non riesce a scavalcare neanche le trame grosse della tela. è un ultimo atto nel cono d?ombra della provincia più provincia che ci sia. Eppure, se guardate bene questo capolavoro, se guardate soprattutto la figura di Sebastiano potete scorgere che, senza nulla di retorico, qualcosa di grande si è rimesso in moto. Un qualcosa di eroico, ma di eroico quotidiano. Sebastiano è un non-protagonista che con ritrosia e con un impaccio da comparsa di un film neorealista, accetta per una volta di salire sul podio, che sarebbe poi il patibolo della rappresentazione del martirio. La sua è un?epica dimessa, magra, spogliata di ogni enfasi. è un?epica che non deve travestirsi né cambiare pelle. Al di là del san Sebastiano la grande sala si apre ad ospitare, con un gioco di rimandi assolutamente perfetto, quello che verrà dopo di lui. Le immense ante d?organo del Moretto, il Cristo seduto sulla scala del Pretorio. Si potesse continuare, vedremmo anche Savoldo, Romanino, Moroni e il Caravaggio. Con la sua solita pacatezza, Foppa in realtà aveva prodotto un terremoto? Foppa Il genio in grigio La mostra di Vincenzo Foppa è aperta al Museo di Santa Giulia a Brescia sino al 3 giugno. Curata da Giovanni Agosti, Mauro Natale e Giovanni Romano, è per tanti sensi una mostra controcorrente, pensata per essere accessibile al grande pubblico ma senza nessuna artificiosità. Anche il catalogo, edito da Skira, rappresenta una novità: si tratta infatti di una guida alla mostra, maneggevole e sfogliabile anche durante la visita, precisa ma molto accessibile nel linguaggio. Il catalogo vero e proprio verrà invece pubblicato tra qualche mese, per sfruttare anche la possibilità di studiare le opere dal vivo in mostra. Di Foppa a Brescia si possono vedere anche gli affreschi nella cappella Averoldi. Mentre la sua opera più celebre sono gli affreschi della cappella Portinari a Sant?Eustorgio a Milano, città in cui ha lasciato anche una delle più belle vetrate del Duomo, con le storie della Natività (quinta campata a sinistra).


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